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Tony Bennett

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Parco della Musica - Roma - 15.07.2012

Ascoltare dal vivo Tony Bennett (classe 1926) è un'esperienza da non perdere: dopo Sinatra è il più grande crooner della storia. Le differenze con The Voice sono molte, includono il timbro e la diversa collocazione generazionale, portando a modalità interpretative assai diverse e guidate dalle peculiarità caratteriali. Al dramma spesso cupo di Sinatra, spesso inframmezzato da un'ironia acida e pungente, Bennett risponde con straripante vitalità e grande voglia di comunicare in modo diretto col pubblico. Questo non implica esiti superficiali, Bennett è autorevole interprete di ballad, ma in lui il lucido realismo non porta all'esaltazione eroica della sconfitta tipica di Sinatra, bensì a una visione dei drammi personali all'interno della quale riposano sempre una speranza e un sorriso.

Bennett è anche un miracolo di longevità vocale, dato che negli ultimi venti anni la sua emissione ha subito cambiamenti minimi, mantenendo quasi tutte le caratteristiche degli anni migliori. Al punto da permettersi un vecchio trucco dei suoi concerti, quello di cantare un brano (a Roma Fly Me to the Moon) senza microfono, risultando perfettamente udibile nella grande Sala Sinopoli del Parco della Musica. Sul piano dell'articolazione, rimane maestro nell'alternare la distensione melodica italoamericana, ad accenti e sbalzi dinamici carichi di swing. A suo agio con ogni tempo metronomico, Bennett eccelle negli andamenti medi, il vero banco di prova per la pronuncia di ogni jazzista. Il relax è palpabile e carico di energia, grazie anche alla perfetta intesa con una sezione ritmica che vede Harold Jones alla batteria, motore della Count Basie Orchestra e perfetto batterista per cantanti. Con lui Marshall Wood al contrabbasso, sempre dalle fila di Basie, la cui pulsazione è perfetto complemento per la voce di Bennett.

Il cantante è uno degli ultimi a dare pieno e giusto valore ai verse introduttivi dei brani in repertorio, un maestro del recitativo, spesso eseguito in duo con la chitarra di Gray Sargeant. Questi è armonizzatore lirico, solista bruciante e intelligente nel tessere il difficile dialogo col pianoforte. Alla tastiera, un tempo gestita dal grande Ralph Sharon, motore di arrangiamenti perfetti, troviamo Lee Musiker, solista virtuoso e abile regista.

Bennett si è esibito a lungo, presentando una selezione affascinante dal Great American Songbook. Citiamo solo alcuni momenti che ci hanno davvero impressionato come una velocissima I Got Rhythm, l'euforica Steppin' Out with My Baby, l'assorta canzone da bar One for My Baby. I momenti di maggiore commozione hanno conciso con I Left My Heart in San Francisco, forse il maggior hit di Bennett, e la splendida Smile di Charlie Chaplin. Qui la delicata resa di ogni sfumatura del testo ha confermato la posizione centrale del cantante nella storia della canzone americana del XX secolo, il cui valore va ormai ben oltre il dato cronologico.

L'apertura del concerto era affidata alla figlia trentottenne Antonia Bennett, dotata di ottima tecnica e padronanza del linguaggio. La sala era colma di un pubblico diversificato nelle età, ma unito nel reagire con entusiasmo e chiedere bis a gran voce.

Foto di Denise Truscello-WireImage.

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