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Sesto Jazz 2021

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Sesto Fiorentino (FI)
Sesto Jazz 2021
Giardino del Teatro della Limonaia
31.7-2.8.2021

Sebbene ritardato dalla pandemia (le precedenti edizioni si svolgevano in marzo), Sesto Jazz—breve rassegna di tre date alle porte del capoluogo= toscano—si è svolta anche quest'anno, confermando la qualità delle proposte artistiche, che stavolta prevedevano un incrocio tra il jazz "del territorio"= e quello d'oltreoceano.

Locale era la formazione che ha aperto la rassegna sabato 31 luglio: il quartetto di Michele Tino, giovane sassofonista napoletano di nascita, ma cresciuto a Firenze e che ha iniziato lo studio della musica proprio nella scuola di Sesto Fiorentino che organizza la rassegna. La formazione—fresca dell'uscita del disco d'esordio per la Auand, Belle Epoque—vede il leader accompagnato da alcuni dei migliori musicisti locali, ormai alla ribalta sui palcoscenici non solo nazionali: Simone Graziano al pianoforte e al Fender Rhodes, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Bernardo Guerra alla batteria. La musica, tutta originale, è caratterizzata da una forte complessità, ancorché nascosta dietro a una immediatezza tematica che ne permette la fruizione a livelli diversi. Interessante la varietà degli scenari, esaltata dal passaggio di Graziano dal piano al Fender, usato in modo semplice ma assai efficacie, quanto basta a cambiare il suono complessivo della formazione.

Accanto a quelle compositive, Tino ha messo in luce le sue notevoli qualità allo strumento, che fanno di lui un contraltista di primissimo piano sia per la= duttilità stilistica, sia soprattutto per il colore del suono. Notevole comunque anche la sua interpretazione del tenore, emersa ne "L'idiota," brano ispirato dal romanzo di Dostoevskij, condotta in trio senza la presenza di Graziano, oltretutto a dispetto dell'impiego di un sassofono in prestito, a causa di un problema tecnico occorso al suo durante le prove. Accanto al leader, bravissimi tutti e tre i suoi compagni: Graziano come sempre prezioso al piano ma, come detto, anche abile ed equilibrato al Fender; Evangelista sempre più autorevole nei frequenti assoli; Guerra, infine, meritevole di una menzione particolare per il modo in cui ha alternato la delicatezza negli accompagnamenti con la forza nella spinta, senza mai eccedere in protagonismo.

Formazione assai interessante, che—come successo anche ad altri—ha dovuto rinviare uscita e lancio del disco a causa della pandemia e che è auspicabile trovi adesso le occasioni che senz'altro merita.

La seconda serata, il giorno successivo, vedeva in scena invece una formazione di musicisti statunitensi: il trio del chitarrista newyorchese Nir Felder, con il contrabbassista neozelandese Matt Penman e Gregory Hutchinson alla batteria. Felder è un chitarrista dal fraseggio lieve e articolato, che unisce a un piglio decisamente narrativo, caratteristiche che ben si sposano con il suono profondo e la propensione solistica di Penman, musicista di valore assoluto e tutto sommato un po' trascurato nel panorama internazionale. Un po' fuori contesto, invece, Hutchinson, batterista quotatissimo e certo di enorme qualità, ma con la tendenza a invadere la scena sonora sia per intensità che per spazi solistici, decisamente in contrasto con la lievità delle corde del leader.

Complessivamente, inoltre, la proposta musicale è apparsa un po' piatta e, a lungo andare, ripetitiva, cosicché la serata è vissuta soprattutto di momenti e dell'abilità tecnica dei tre protagonisti. Apprezzabile, certo, ma non indimenticabile, cosicché un ideale match tra italiani e statunitensi delle prime due serate sarebbe senz'altro stato vinto dai primi.

Nella serata conclusiva del festival, lunedì 2 agosto, l'incrocio Italia-USA era comunque virtuosamente collaborativo, poiché era in scena il trio del pianista fiorentino Alessandro Lanzoni con gli americani Thomas Morgan al contrabbasso ed Eric McPherson alla batteria, alla prima data del tour di presentazione del nuovo disco, Mirage, appena uscito per Fresh Sound. La formazione è parsa assai cresciuta rispetto al suo primo album, Unplanned Ways, e ai concerti fatti alla sua uscita (clicca qui per leggere la recensione di quello fiorentino): aperta la serata con un paio di improvvisazioni liberissime, sospese e prive di riferimenti, i tre hanno proseguito con standard, composizioni originali (tra le quali quella, di Lanzoni, che intitola il nuovo album) e brani di Monk, il tutto con il pieno rispetto della tradizione del piano trio, ma al tempo stesso con una totale libertà interpretativa e con la licenza di avventurarsi in soluzioni tutt'altro che convenzionali. Non suoni come eccessivo o blasfemo, ma il riferimento più proprio di questa formazione è parso lo Standard Trio di Keith Jarrett, proprio per la comune tensione tra rispetto della tradizione—nelle forme e nella scelta prevalente dei temi—e libertà creativa. Quanto alla qualità dei singoli, lasciando da parte i confronti, non si può negare che Lanzoni continui nel suo percorso di crescita partito ormai tanti anni fa da enfant prodige e che oggi fa di lui un musicista maturo dal quale aspettarsi sempre di tutto, senza ostentazioni di virtuosismo ma con l'attenzione sempre alta verso la creazione di un discorso musicale originale e personale; che Morgan sia oggi l'erede della più altra tradizione del contrabbasso "bianco," che ha visto nei da non molto scomparsi Charlie Haden e Gary Peacock i suoi rappresentanti storici; e che anche McPherson sia un batterista di enorme creatività e duttilità, capace di adeguare il proprio drumming al mutare della situazione contestuale.

Il lungo concerto, oltre un'ora e mezzo, ha pertanto entusiasmato il pubblico presente, regalando in conclusione un bis monkiano che valeva da solo il prezzo del biglietto, e ha concluso un festival arrivato giusto alle porte dell'esodo vacanziero, ma che non ha in alcun modo tradito le attese.

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