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Satoko Fujii: Desert Ship / Zephyros

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È una casella centrale quella occupa Satoko Fujii nello scacchiere del jazz contemporaneo. Sono bastati meno di una decina d'anni alla pianista giapponese per imporsi all'attenzione (più della critica che del pubblico; ma questa è la solita storia, l'eterno cruccio per chi scrive di musiche "non allineate") con una serie di dischi tutti di altissimo profilo. Non sbaglia un colpo la pianista giapponese.

Pochi altri artisti (solo Ken Vandermark?) sono riusciti a coniugare tanto felicemente quantità e qualità in questo primo scorcio di millennio. E per quantità s'intende un diluvio di pubblicazioni (59, stando alla discografia ufficiale, dal 2000 a oggi! 34 dal 2005!), testimonianza delle decine di situazioni nelle quali la Fujii è coinvolta a vario titolo: dalle molteplici incarnazioni della sua orchestra al duo col marito, il trombettista Natsuki Tamura; dal trio con Mark Dresser e Jim Black (in stand by dopo il superbo Trace a River) a incontri più estemporanei, come quelli con Myra Melford, Misha Mengelberg, Elliott Sharp e Larry Ochs; dal folk dei Gato Libre agli innumerevoli quartetti ad assetto variabile. A voler fare i completisti ci sarebbe da spaccarsi la testa e perderci le nottate.

Fortunatamente, al di là dei numeri, è la qualità media a impressionare. A chi scrive non è ancora capitato di imbattersi in doppioni o riempitivi (nonostante sugli scaffali lo spessore in centimetri dei CD della Fujii abbia raggiunto una misura più che ragguardevole). La prolissità della nostra da un lato rimanda all'epoca d'oro dell'industria discografica jazzistica (con tutti i distinguo del caso: non ci si trova più in una dimensione popolare), dall'altro è specchio dell'attuale rapporto (chi vuole buttarla sul postmoderno faccia pure) tra artista, pubblico e disco inteso come opera d'arte-merce. Dall'epoca della riproducibilità a quella della smaterializzazione. E nemmeno quel sapientone di Benjamin avrebbe potuto immaginare che un giorno pubblicare un disco sarebbe stato tanto semplice ed economico, che il medium rappresentato dall'industria sarebbe scomparso per lasciare il posto allo spontaneismo di migliaia di piccole etichette, spesso gestite direttamente dai musicisti (vedi la Libra della coppia Fujii-Tamura).

Senza dilungarsi oltre - ci sarebbe da inserire nel discorso la variabile "nuovi media" -, si voleva soltanto sottolineare la capacità della Fujii di trarre il massimo beneficio (artistico) dalla condizione poc'anzi descritta, facendone volano per la propria ispirazione, linfa per nutrire le proprie incontenibili ansie creative. In un mercato dai numeri ridicoli, in un'epoca nella quale i dischi non vengono più incisi per essere venduti (o almeno non nel senso tradizionale), nella generale contrazione degli spazi per esibirsi in condizioni dignitose, nel vis-a-vis "feroce" con il proprio sparuto pubblico, la prolissità discografica è una delle vie che l'artista ispirato può legittimamente percorrere; sicuramente è un'arma di difesa, e sostentamento, della propria arte. Approfittare della sponda offerta dalle etichette sparse per il globo, in un simile contesto, è quasi un dovere morale. E in questo caso la sponda l'ha offerta la polacca Not Two, che aggiunge altri due tasselli al mosaico Fujii.

Satoko Fujii Desert Ship Not Two Valutazione: 4,5 stelle

Il primo dei due lavori in questione è anche il più recente. Registrato nel novembre del 2009, Desert Ship racconta le gesta del quartetto ma-do, già protagonista di Heat Wave. Con la Fujii ci sono il marito, un vero e proprio spirito affine, il contrabbassista dei Gato Libre, Norikatsu Koreyasu, e il batterista Akira Horikoshi. Diciamolo subito, siamo ai vertici della produzione della pianista giapponese (che poi significa essere ai vertici della produzione jazzistica dell'ultimo decennio). In scaletta un'ora scarsa di musica, nove tracce che illustrano, ciascuna alla propria maniera, quelli che sono gli ingredienti della ricetta "modern jazz" cucinata alla Fujii. L'iniziale "February-Locomotive-February," ad esempio, vive del contrasto, assai frequente nelle composizioni della pupilla di Paul Bley, tra una propulsione ritmica nervosa, incalzante, e un tema dallo spiccato (meraviglioso!) sapore melodico, enunciato, come sempre, dalla tromba cristallina di Tamura (un po' Kenny Wheeler e un po' Tomasz Stanko, con un controllo della pronuncia e degli acuti degno del migliore strumentista classico); un contrasto netto nella prima parte del brano, che poi però tende a farsi labile e problematico in concomitanza degli assoli, mettendo a ferro e fuoco le strutture in un gioco appagante di scomposizione e ricomposizione (altra costante nei lavori della Fujii).

Parte in sordina, invece, la successiva "Desert Ship," portata a spasso dalla tromba sognante di Tamura per un paio di minuti prima che il pianoforte si faccia largo tra note sospese e accordi solenni. Solenne è l'aggettivo giusto per descrivere anche la terza perla in scaletta, "Nile River," che di sospeso però non ha nulla, visto che a cadenzarne lo srotolarsi sono i colpi di cassa pastosi e rotondi della batteria di Horikoshi. A seguire "Ripple Mark" è forse l'apice dell'intero disco, con quell'ostinato di pianoforte che prende subito alla gola, con quel gioco di incastri fra contrabbasso e tromba che trascina in un labirinto di specchi nel quale non resta che smarrirsi. E poi "Sunset Desert," sei minuti di gioco al massacro senza regole e senza pietà, "Pluto," altro saggio di scompostezza a ruota libera. Insomma, ogni traccia un perchè, ispirazione costante e quel mood inquieto che rende unica la scrittura, e l'arte, della Fujii, le cui doti pianistiche illuminano dal primo all'ultimo secondo un disco consigliatissimo.

Satoko Fujii Zephyros Not Two Valutazione: 3,5 stelle

Un gradino sotto Zephyros, che risale al 2003. Intendiamoci, siamo sempre a livelli di eccellenza assoluta, ma il confronto diretto con Desert Ship si risolve nettamente a favore di quest'ultimo. Colpa, in gran parte, del basso elettrico di Takeharu Hayakawa, ingombrante dal punto di vista del sound, indiscreto e indelicato. E non per demeriti ascrivibili al musicista, ma per un'inadeguatezza costitutiva dello strumento, che volgarizza e banalizza una musica che vive di sottigliezze e dettagli.

Per il resto ci sarebbe da ripetere quanto scritto qualche riga sopra, rinnovando gli elogi sperticati a Tamura e ritessendo, filo per filo, punto per punto, le lodi al talento compositivo e strumentale della Fujii. Talento che emerge in tutta la sua evidenza in brani come "Flying to the South," con quel tema accattivante e labirintico tratteggiato all'unisono da pianoforte e tromba. Oppure "First Tango," malinconica e un po' imbronciata. È un delizioso fuori programma, invece, il 3/4 di "Clear Sky," che sa tanto di Europa dell'Est in salsa di soia; mentre la chiusura è affidata a "15 Minutes to Get to the Station," che si apre in un delirio rumoristico per poi trasformarsi, sotto i colpi dell'implacabile Tatsuya Yoshida (già, il batterista dei Ruins), in una corsa forsennata dagli accenti vagamente prog.

Chi ha cuore e orecchie non perda tempo. Da qui passa il jazz di oggi.

Elenco dei brani:

Desert Ship

1. February-Locomotive-February - 8:54; 2. Desert Ship - 6:35; 3. Nile River - 5:10; 4. Ripple Mark - 6:18; 5. Sunset in the Desert - 6:09; 6. Pluto - 5:04; 7. While You Were Sleeping - 7:06; b. Capillaries - 2:20; 9. Vapour Trail - 9:12.

Zephyros

1. As Usual - 7:24; 2. Flying to the South - 6:49; 3. First Tango - 8:36; 4. One Summer Day - 5:24; 5. The Future of the Past - 11:58; 6. Clear Sky - 5:49; 7. 15 Minutes to Go to the Station - 8:48.

Tutte le composizioni sono di Satoko Fujii.

Musicisti:

Desert Ship

Satoko Fujii (pianoforte); Natsuki Tamura (tromba); Norikatsu Koreyasu (contrabbasso); Akira Horikoshi (batteria).

Zephyros

Satoko Fujii (pianoforte); Natsuki Tamura (tromba); Takeharu Hayakawa (basso elettrico); Tatsuya Yoshida (batteria).

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