Home » Articoli » Live Review » Roy Hargrove Quintet
Roy Hargrove Quintet
ByIn un'estate romana che si fa notare per la chiusura, speriamo temporanea, dello storico festival di Villa Celimontana, la Casa del Jazz costituisce un'isola felice in una città sempre meno interessata alla cultura. La crisi non è l'unica spiegazione del crollo dell'offerta di musica a Roma, ma non vogliamo aprire in questa sede un discorso di politica culturale, ci limitiamo a segnalare come per gli amanti del jazz l'offerta sia inadeguata alla Capitale. Il discorso su cosa sta offrendo il mondo del lavoro ai musicisti, giovani o affermati, è anche più cupo, in termini di spazi come di trattamento economico.
Nella speranza di tempi migliori, abbiamo seguito due importanti concerti negli splendidi giardini di quella casa un tempo proprietà del boss Nicoletti, poi restituita alla città come luogo di ascolto e studio del jazz.
Il quintetto di Roy Hargrove è stato di scena domenica 22 luglio, confermando la raggiunta piena maturità da parte di un trombettista fra i più rilevanti emersi nella generazione dei cosiddetti Young Lions, accanto a Wynton Marsalis e Terence Blanchard. La sua carriera è apparsa a lungo priva di una direzione chiara, ma il ritorno al jazz acustico, dopo l'esperienza del RH Factor, ha portato alla fusione equilibrata delle precedenti esperienze. Bebop, Davis anni Sessanta, Cuba, tromba e archi, groove soul e hip hop, tutto questo ha trovato la sua giusta collocazione nel formato classico del quintetto.
Il risultato non è certo conservatore, la scelta acustica valorizza tradizione e timbro strumentale, ma non limita una vena compostiva brillante e nitida, all'interno di un linguaggio essenziale. Le doti tecniche dei membri del combo sono notevoli, eppure il virtuosismo non scade nell'esibizione muscolare. L'estetica attuale di Hargrove punta a un solismo concentrato sullo spessore della frase, esaltato dalle pause e disteso in assolo mai logorroici. Il suono agrodolce della tromba e quello più lirico e pulito del flicorno appaiono frutto di concentrazione anche nell'unico brano di carattere bebop a tempo elevato. Ballad e tempi medi hanno prevalso esaltando la solidità di una sezione ritmica, costruita attorno al contrabbasso di Ameen Saleem, il cui suono scuro e percussivo è stato protagonista di groove molto coinvolgenti. Con lui Quincy Phillips alla batteria e Sullivan Fortner al pianoforte, sempre al servizio dello swing e validi nel fondere energia e creatività. Justin Robinson è con Hargrove ormai da anni e la consuetudine con la musica del leader è palpabile. Fra i brani eseguiti citiamo Strasbourg / Saint Denis, dalla pulsazione funk rilassata e ballabile, e due standard che hanno visto il trombettista nella veste di cantante, più vicino a Chet nella ballad Never Let Me Go, rivolto a Dizzy in September in the Rain.
Foto, di repertorio, di Claudio Casanova.
Tags
Comments
PREVIOUS / NEXT
Support All About Jazz
