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Rob Mazurek e São Paulo Underground a Bolzano
ByLa stagione musicale al Piccolo Teatro Carambolage di Bolzano riserva spesso sorprese di grande pregio, in un luogo dove la musica è fruibile in modo ideale, a stretto contatto con i musicisti. Il trio brasiliano del trombettista Rob Mazurek, São Paulo Underground, sulla scena del Piccolo Teatro lo scorso 20 febbraio, sviluppa sul versante dell'America Latina il discorso già iniziato da anni con le formazioni denominate Chicago Underground. L'esibizione a Bolzano di questo progetto paulista era imperniata sull'energia, affidata alla scansione granitica, precisa e uniforme del batterista Mauricio Takara e alle ruvide, graffianti le figure disegnate dal tastierista Guilherme Granado.
L'approccio dei due musicisti ricorda in un certo modo certe cose del rock progressivo inglese degli anni Settanta. Molte iterazioni delle tastiere, dilatate e aspre nei timbri, ricordano la scuola di Canterbury, come gli stessi ritmi scanditi dalla batteria, variati ma su un'idea solidamente binaria. Cambia però l'atteggiamento di fondo, che se allora fondava le sperimentazioni su una razionalità controllata, qui è percorso da vampate solari, muscolari, che le stesse incursioni elettroniche sottolineano.
Su questo tappeto, la tromba di Mazurek sfodera le proprie articolazioni più vigorose con prodigioso controllo, a volte in un travolgente gioco muscolare, che ricorda il Miles dell'ultimo periodo, ma anche Lester Bowie e Leo Smith, tra eccessi spericolati e rilassamenti lirici. Mazurek brilla per la capacità di equilibrarsi tra veemenza e lucida astrazione, sempre teso nel massimo sforzo di un'impresa che coinvolge muscoli e ragione sullo stesso piano.
Nel concerto di Bolzano, che ha presentato in buona parte un repertorio tratto dall'ultimo album del gruppo, Três cabeças loucuras, la varietà timbrica e dinamica di quel disco erano appiattite dal volume di suono, così alcuni accenni che là suonavano deliziosamente orientati verso una mescolanza articolata di Brasile e contemporaneità urbana, in questo caso si denotavano in modo unidirezionale, incalzante e martellante. Solo in alcuni episodi, con Takara al cavaquinho e all'elettronica, si giungeva a sfumature più articolate.
Certamente una scelta espressiva, quella di puntare sull'energia e l'intensità sonora, ma un po' penalizzante nei confronti dell'apporto generoso dei musicisti brasiliani. In ogni caso, non c'è dubbio che il concerto abbia messo in luce ancora una volta l'intelligenza di Mazurek, la sua capacità di immersione totale in un progetto, tenendo sempre chiare le coordinate della sua poetica, ricca di turbolenze.
Foto, di repertorio, di Claudio Casanova.
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