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Patrizio Fariselli, tra passato e futuro

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Molte delle cose costruite negli anni 1973-1974 reggono bene l'usura del tempo e, anzi, "funzionano" ancora molto bene
Patrizio Fariselli, membro fondatore degli Area, compositore e pianista, torna alla ribalta con un nuovo lavoro. Solo due anni fa aveva presentato 100 Ghosts, il suo settimo album da solista, che racchiudeva dieci tracce, frutto in larga maggioranza di un appassionato studio dedicato alle musiche arcaiche con particolare attenzione ai temi tradizionali della Grecia antica e dell'Oriente.

Tra i collaboratori di quell'album spiccava l'eclettica vocalist Claudia Tellini, presente in quattro brani (tra i quali "Song of Ugarit," pezzo cantato in una lingua semitica pre-fenicia). Un'interprete di chiara formazione jazz che, nei concerti live di presentazione di 100 Ghosts era, tra l'altro, riuscita nella non facile impresa di far rivivere con naturalezza ed energia, alcuni classici del repertorio Area cantati da Demetrio Stratos come "Cometa Rossa" o "Gioia e Rivoluzione."

Oggi ritroviamo Fariselli e Tellini nel recentissimo Live in Japan a firma di Area Open Project, affiancati da Marco Micheli al basso elettrico e da Walter Paoli alla batteria, anch'essi collaboratori di lunga data del barbuto tastierista. Il concerto del live, registrato a Tokyo nel maggio 2019 e ripreso in video, è racchiuso in un cofanetto contenente due CD e un DVD (esiste anche una versione in vinile a tiratura limitata). Un'operazione in grande stile per raccontare un'esibizione polarizzata proprio dalle performance vocali di Tellini che riesce a rendere urgenti e contemporanee "canzoni" scritte ormai quasi mezzo secolo fa.

«Ho conosciuto Claudia Tellini—racconta Fariselli—tramite Walter Paoli, batterista con il quale avevo condiviso nel 2012 la reunion degli Area con Ares Tavolazzi e Paolo Tofani . Allora, per la precisione, avevamo ripreso la denominazione di Area International POPular Group. Ebbene, terminata quell'esperienza ho proseguito con uno spin off, come si dice oggi, che ho battezzato Area Open Project che, in questo momento, coinvolge oltre a Paoli, Claudia Tellini e Marco Micheli. Si tratta di un progetto aperto che ha visto in passato la partecipazione di altri musicisti come Giovanni Giorgio e Caterina Crucitti. La mia idea è quella di formare vari ensemble, in base al repertorio da eseguire. Se, ad esempio, vado ad affrontare il materiale del mio ultimo lavoro solista, 100 Ghosts collaboro tendenzialmente con Giorgi, Crucitti e Tellini, Se,invece, devo eseguire il repertorio classico degli Area mi affido ai musicisti di Live in Japan.

All About Jazz: L'incontro con Claudia Tellini è stato quindi assolutamente casuale.

Patrizio Fariselli: Esatto. Anche perché in tutti questi anni mi sono volutamente tenuto alla larga da cantanti e vocalist. Dopo l'esperienza con Demetrio Stratos, mi interessava più che altro lavorare in organici strumentali. Ci sono solo state alcune eccezioni in passato come "Cometa Rossa" in Live 2012 cantata da Maria Pia De Vito. Quando, invece, ho sentito per la prima volta Claudia Tellini cantare un brano storico del repertorio Area, "Gerontocrazia," sono saltato sulla sedia prima e mi sono commosso un secondo dopo. Ho avuto un'emozione fortissima perché Claudia ha una capacità innata di metabolizzare qualsiasi cosa e ha un atteggiamento da vera musicista. Non ha molti filtri e timori, restituisce gli input che riceve con la massima linearità. E, poi, ha una musicalità straordinaria. E, quindi, ci siamo messi seriamente a lavorare su brani che non eseguivamo cantati dai tempi di Stratos come "Luglio Agosto Settembre (Nero)," "Giro Giro Tondo," "Gerontocrazia," "Il Bandito del Deserto" e altri. Tutti brani che richiedono una vocalità importante. Claudia non ha la vena sperimentale che avevaStratos, ma possiede la medesima estensione vocale. È un mezzosoprano e si trova completamente a proprio agio con letonalità originali del gruppo.

AAJ: Un'interpretazione che mette in piena luce anche la parte testuale.

PF: La sua vocalità è così naturale, pulita e spontanea che riesce a dare vigore anche ai testi. Testi che vengono dal passato, ma che "suonano" estremamente attuali anche oggi.

AAJ: Parliamo del disco. Come è nata l'idea di registrare un live?

PF: L'idea è venuta a posteriori. Sfera Entertainment aveva deciso, in ogni caso, di registrare il concerto a livello audio e video con una strumentazione di alta qualità. Si trattava, difatti, di un evento importante davanti a un pubblico preparato come quello giapponese. Un evento nell'evento perché quella sera di maggio dividevamo il palco con gli Arti&Mestieri, gruppo storico della Cramps della prima ora. Il concerto andò molto bene, ma per me la cosa era finita lì. Una volta rientratoin Italia, circa un mese dopo, ho visionato e ascoltato il materiale e mi sono convinto che avevamo realizzato qualcosa di importante. Un documento che meritava di essere pubblicato. E, dunque, il disco è uscito in contemporanea in Italia per la Warner e in Giappone per la King Records che, oggi, è una grande compagnia ma che negli anni Settanta era una piccola etichetta che ha sempre pubblicato i dischi degli Area.

AAJ: Il disco è stato registrato in Giappone, paese con il quale hai da tempo un legame particolare.

PF: Il legame è soprattutto di tipo personale. Sono molto attratto dalla cultura di un paese che è lontano mille miglia da noi sotto tutti i punti di vista. Con una cultura davvero profonda e, per certi versi, unica. Mi interessa molto la loro spiritualità arcaica. Ho diversi amici giapponesi che fanno gli artisti e mi fa molto piacere studiare la lora forma mentis. A volte, guardando lo stesso oggetto percepiamo davvero cose diverse. Poi sono un appassionato di ukiyo-e, un genere di stampa artistica su carta impressa con matrici di legno fiorita nel periodo Edo, e mi piace, quando posso, andare alla ricerca di opere e mostre dedicate.

AAJ: Quest'anno hai presenziato a un evento che celebrava il ritrovamento di un video che riprendeva il primo concerto degli Area al Teatro Uomo di Milano nel 1976. Che rapporto hai con quel passato, certamente glorioso, ma forse a volte un po'imprigionante?

PF: Non parlerei tanto di gloria. A quei tempi non c'è mai stato modo di montarsi troppo la testa. Devo dire che non ho nessun tipo di problema a confrontarmi con quei trascorsi. È un periodo che ricordo sempre con molto piacere anche perché osservo che molte delle cose costruite negli anni 1973-1974 reggono bene l'usura del tempo e, anzi, "funzionano" ancora molto bene. È poi è un'esperienza che è stata talmente importante per la mia formazione che è entrata nel mio DNA, ecco perché ho anche messo il nome Area al mio nuovo gruppo. Voglio ribadire la mia apparenza a un tipo di pensiero e a un modo di suonare che continuo a portare avanti. Detto questo, sono un autore molto prolifico e, quindi, non ho il problema di rimanere attaccato al passato e poi mi piace lavorare a sempre nuove cose ed essere messo in discussione. A proposito di nuove cose, sono già nella pre-produzione in un nuovo lavoro solista che sarà pronto l'anno prossimo. Per i miei 70 anni, voglio fare qualcosa di importante.

AAJ: Lo scorso 10 novembre gli Area Open Project hanno suonato live in streaming all'Auditorium Parco della Musica a Roma. Come è stata questa esperienza e come stai vivendo questa situazione di tempo sospeso?

PF: Alla fine è stato un bel concerto, anche perché percepivamo dalle lucine delle video camere di ripresa la presenza del pubblico. È stata dura tutta la prima parte, quando siamo arrivati in teatro e ci siamo resi conti che la platea sarebbe rimasta deserta per tutta la durata del concerto. È stato destabilizzante a livello psicologico. E abbiamo investito non poche energie per mantenere i nervi saldi e la giusta concentrazione. La musica per me è prima di tutto un fatto sociale, lo streaming è un'ottimo strumento, ma come musicista non sono per il tele lavoro. Sono per condividere il mio tempo e le esperienze con gli altri. In presenza, ovviamente. Riguardo alla situazione odierna, il Governo ha tagliato le gambe al mondo della cultura, della musica dal vivo e del teatro. Tutti sanno che il 99% dei contagi avvengono negli autobus andando al lavoro o andando a scuola. Non certo andando a sciare o andando a teatro. Ho molte perplessità su come è stato trattato questo nemico invisibile e temo che le limitazioni di libertà, alle quali ci siamo dovuti adeguare per senso civico, tenderanno a permanere anche dopo.

AAJ: Nella scaletta di Live in Japan, ci sono anche brani come "Danza del Labirinto" che sono frutto di una tua ricerca personale sulle musiche arcaiche. È questo un tuo campo di interesse che viene da lontano e che porterai avanti anche in prossimi lavori?

PF: Sì sicuramente. L'archeologia e l'antropologia sono materie che mi hanno interessato da sempre. Da musicista le ho applicate al mio mondo. Ad esempio, della musica greca antica, che è alla base del nostro sistema musicale, abbiamo solo una ventina di frammenti di un papiro molto deteriorato dove sono annotate alcune melodie. Abbiamo dunque le note, ma non sappiamo come quelle note suonassero. In altre parole, non conosciamo il carattere o la "carne" di quelle musiche. Ci sono musicisti che tentano una ricostruzione filologica con risultati anche apprezzabili e che forse si avvicinano al vero. Il mio lavoro non è però il lavoro di un filologo, ma quello di un artista che cerca di ridare la "carne" a dei frammenti, utilizzando in primis la propria sensibilità di musicista. Con un'azione arbitraria certo, ma, credo, in grado di captare lo spirito profondo di note che vengono dalla notte dei tempi. Penso di avere sviluppato una specie di sesto senso, un po' alla Dylan Dog, il detective dell'assurdo che indaga su fenomeni quasi inesistenti. Ad esempio, in Giappone, ho suonato al piano una composizione che si chiama "Aria": è un brano tradizionale della Tracia e, dal mio punto di vista, è un brano assolutamente arcaico. La "Danza del Labirinto," il brano incluso in Live in Japan, è un brano popolare greco abbastanza recente, scritto non più di un secolo fa, Ma la scansione ritmica della danza in 5/4 è assolutamente arcaica. E risale alle antiche danze pre-labirinto architettonico, a carattere orgiastico: una danza spiraleggiante usata come prologo al compimento dell'atto sessuale. È questo il tipo di ricerca che mi attrae e mi diverte.

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