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Padova Jazz Festival, quando la musica sfugge alla prevedibilità.

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Intervista con il direttore artistico Claudio Fasoli

E' giunto alla sua nona edizione - quest'anno tra il 19 e il 26 novembre - il "Padova Porsche Jazz Festival", appuntamento che ha trovato ormai una fisionomia precisa all'interno della grande "famiglia" dei festival italiani, collocandosi in un periodo meno affollato, ma altrettanto "strategico", poco prima degli inevitabili bilanci di fine anno.

Nelle edizioni più recenti, caratterizzate dalla direzione artistica di un jazzista italiano come Claudio Fasoli, cui non mancano rigore e intelligenza, la rassegna padovana si è felicemente strutturata in una settimana di concerti, "distanza" che consente una fruizione a più livelli, come ci spiega lo stesso Fasoli in questa piacevole chiacchierata.

Claudio Fasoli: Quando sono stato chiamato per la prima volta a occuparmi della direzione artistica del Festival, ho trovato una situazione che era già abbondantemente formata, centrata su tre, quattro giorni di concerti al Teatro Verdi. La possibilità che mi hanno dato si è poi accompagnata a quella di avere a disposizione un numero maggiore di luoghi: al Verdi si è infatti aggiunto il prestigioso Caffè Pedrocchi e poi anche l’Auditorium Pollini. È nata così l'ambizione di fare diventare il Festival un appuntamento che potesse durare sette, otto giorni, lavorando su diversi luoghi, stili e fasce di orario, in modo da coinvolgere tipologie sempre più ampie di pubblico. Un esempio è quello della sala del Conservatorio, in cui abbiamo deciso di ospitare situazioni legate al pianoforte solo, ma anche gli appuntamenti della domenica mattina al Pedrocchi, con formazioni ridotte al solo o al duo, più adatte a quella situazione".

All About Jazz: Il bilancio di queste prime edizioni sotto la tua gestione, com'è?

C.F.: Direi nettamente positivo, nella scorsa edizione abbiamo avuto oltre 5000 presenze, con un riscontro sempre maggiore da parte della città, anche nella sua componente più vitale che è quella degli studenti universitari.

AAJ: Nel programma di quest'anno balzano agli occhi i nomi di Ornette Coleman e di Dave Holland, ma tutto il programma è ricco di cose interessanti. Quale potrebbe essere il filo conduttore di questa edizione?

C.F.: Ho cercato anche quest'anno di mettere insieme dei personaggi speciali, accomunati dalla caratteristica di avere cercato sempre di evitare il luogo comune, che nel jazz è tra le trappole più insidiose. Coleman è, come ben sappiamo, una figura di rottura centrale nella storia del jazz, ma anche Holland, sfruttando in maniera radicale la ricerca sul piano ritmico, si può dire che porti avanti un discorso analogo. Certo, le loro musiche sono profondamente diverse, ma non c'è dubbio che il contrabbassista inglese abbia trovato una scaltra maniera di evitare la ripetitività pur restando con i piedi ben poggiati a terra!

AAJ: Balza agli occhi anche il nome di... Claudio Fasoli, dal momento che in questi anni non era mai comparso in cartellone!

C.F.: Non mi è mai sembrato molto bello dirigere un festival per fare suonare se stessi, ma mi sembra che adesso la situazione sia consolidata, che non debba più dimostrare la mia libertà artistica e si è venuta a creare l'occasione per presentare questo ampio progetto dedicato alla mia musica dalla Civica Big Band di Milano diretta da Riccardo Brazzale, con ospiti Enrico Rava e il sottoscritto. Ricollegandomi a quello che dicevamo poco fa, penso in un certo senso di potermi inserire in quel discorso della non prevedibilità, anche se la mia musica ha guardato a quest'istanza da un punto di vista prevalentemente armonico-formale.

AAJ: La sezione "Trois Trios" riprende il titolo di un tuo fortunato disco di qualche anno fa...

C.F.: Sì, è una sezione pensata apporta per l'ambiente raccolto dello storico Caffè Pedrocchi e dedicata a questa classica formazione, il trio, in un ascolto ravvicinato, un dialogo quasi fisico con i musicisti: in programma il trio del pianista Giovanni Mazzarino, quello del sassofonista Beppe Aliprandi e quello di Andrea Massaria.

AAJ: Ai colleghi di strumento, ai sassofonisti, cosa hai voluto dedicare?

C.F.: Una sezione apposita, "Ance nel Mondo", sempre al Pedrocchi, in cui ho voluto invitare strumentisti che avessero idee interessanti dal punto di vista della personalità e della progettualità: troveremo così il sassofonista e flautista greco Dimos Dimitriadis, il trio del finlandese Esa Pietilä e il quartetto Blake Tartare del sassofonista Michael Blake. C'è poi un'altra, non meno importante, sezione, intitolata "vento dal nord, vento dal sud", al Conservatorio Cesare Pollini e che vuole indagare la dialettica tra situazioni metropolitane e provinciali nel jazz italiano, con il fiorire di vere e proprie scene regionali da cui sono uscite le generazioni più recenti di musicisti.

AAJ: Quali prospettive per il futuro del festival?

C.F.: La prospettiva è certamente quella di continuare in questa direzione e il contenitore, la formula, dovrebbe rimanere più o meno questa, che mi sembra efficace. Ripercorrendo i programmi di queste edizioni mi viene da notare che forse hanno avuto meno rappresentanza le forme più radicali di messa in discussione del linguaggio jazzistico, ma anche - dall'altra parte - la conferma del linguaggio più tradizionale. È naturale che i programmi rispecchino i gusti e i percorsi del loro direttore artistico e non c'è dubbio che quelli presentati qui a Padova svelino alcune mie predilezioni stilistiche, ma è altrettanto vero che ho sempre voluto inserire linguaggi diversi, mi viene in mente ad esempio Giancarlo Schiaffini.

AAJ: Ripercorrendo i programmi si nota anche, insieme alle tue grandi passioni come Wayne Shorter, una particolare attenzione per il jazz nordico.

C.F.: Certamente: il jazz nordico non si può certo riassumere in una formula e sta rivelando ormai da anni musicisti interessantissimi, alcuni dei quali abbiamo ospitato e ospitiamo qui. Ma mi piacerebbe moltissimo anche presentare musicisti polacchi, dei quali in Italia si sa molto poco e che invece stanno sviluppando un linguaggio di grandissimo valore. Ho sempre ritenuto che il compito di un festival sia proprio anche quello di proporre artisti che altrimenti avrebbero poche possibilità di farsi conoscere al di fuori della loro nazione.

AAJ: Tra gli altri eventi in programma, segnaliamo anche una mostra fotografica di Piero Principi dal titolo "L’incontro tra due passioni: jazz e fotografia" (si potrà visitare al Caffé Pedrocchi dal 9 novembre al 2 dicembre) e la presentazione presso il Centro Porsche Padova, lunedì 20 novembre del libro "Il jazz e il suo linguaggio" del noto critico Maurizio Franco.

C.F.: La chiusura del festival, la mattina di domenica 26 novembre, al Caffè Pedrocchi, vedrà Mino Cinelu impegnato in un solo di percussioni, live electronics e chitarra elettrica.

Tutte le informazioni e il programma completo su : www.padovajazz.com

Foto di Edward Rozzo (prima) e Mirko Boscolo (ultima)

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