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Massimo Altomare e il "suo" jazz

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Preferisco lavorare con un jazzista, che magari non conosce tutti i "trucchi" e i "segreti" del pop, ma ha un estro più creativo. Ecco diciamo che mi interessa il lato sia umano che creativo dei musicisti che coinvolgo.
—Massimo Altomare
Un rocker col pallino della musica d'autore e un cuore affittato al jazz. Massimo Altomare è un artista cresciuto sulle note dei migliori dischi rock, autore di un capitolo fra i più felici della canzone italiana anni Settanta (Loy & Altomare), ha incrociato la via del più grande giornalista blues italiano, Ernesto De Pascale, scomparso di recente, con gli Hypnodance e collaborato a più riprese con l'amico Stefano Bollani, presente anche nell'ottimo e recente album Outing. Le sue esperienze, sia musicali che umane, sono ricchissime: dopo anni passati fra inaspettate pubblicazioni di dischi, colonne sonore per film, laboratori per parolieri e didattica nei licei di Firenze, ecco cosa ci ha raccontato a proposito del suo amore "per caso" nei confronti della musica che più ci piace.

All About Jazz: Ricordi la prima volta che hai ascoltato musica jazz?

Massimo Altomare: Molto bene. Ero piccolo e mio padre era un grande ammiratore di Fred Buscaglione. Quello fu il mio primo contatto col mondo del jazz... avrò avuto quattro anni.

AAJ: Ricordi il primo disco jazz che hai acquistato?

M.A.: Sono cresciuto ascoltando rock, ma ricordo che fu a sedici anni che acquistai il mio primo disco jazz. Era Sonny Rollins.

AAJ: Chi è il tuo artista preferito?

M.A.: Dal punto di vista "biografico" Charles Mingus, dal lato più puramente musicale, tralasciando i grandi classici, un artista che mi piace moltissimo è Bill Frisell, decisamente "crossover" ma credo lo si possa ascrivere nella categoria dei jazzisti.

AAJ: Se tu fossi stato un jazzman americano, di quale corrente avresti fatto parte?

M.A.: Sicuramente il Bebop. Al di là della straordinaria coincidenza fra arte e vita dei protagonisti di quel momento, mi ha sempre affascinato la ricerca e la grande opera di rottura col passato.

AAJ: In che misura pensi che il jazz abbia influenzato la tua musica?

M.A.: Non ve lo so dire a livello... "pratico". Mi ha influenzato nell'atteggiamento verso la musica. Il rock, il pop, sono generi più rigidi del jazz. Il jazz regala l'improvvisazione, insegna a liberarsi dai cliché. Il jazz è libertà.

AAJ: Come mai hai sentito l'esigenza di coinvolgere jazzisti nei tuoi dischi? Cosa cercavi che non potevi trovare in un musicista "non jazz"?

M.A.: Sono persone che ho sempre frequentato, sto bene, sto meglio con loro. Con Stefano Bollani la collaborazione è venuta abbracciando a un progetto sullo swing, per esempio. In genere preferisco lavorare con un jazzista, che magari non conosce tutti i "trucchi" e i "segreti" del pop, ma ha un estro più creativo. Ecco diciamo che mi interessa il lato sia umano che creativo dei musicisti che coinvolgo.

AAJ: Quale musicista jazz (vivente oppure no) ti piacerebbe che suonasse in uno dei tuoi dischi?

M.A.: Una formazione con Coltrane, Parker e Miles potrebbe andare (ride, N.d.R.).

AAJ: Un bambino di 6 anni ti chiede: «Cos'è il jazz?». Tu cosa rispondi?

M.A.: Il jazz è un gioco, grande e bellissimo.

AAJ: Dalle bettole di New Orleans a raffinati jazz club. Il jazz oggi è ancora pop music, nel senso di "popular"?

M.A.: Oggi credo che il jazz riesca ad arrivare dritto al cuore delle persone, non lo vedo come un genere colto o elitario. Tra l'altro è difficile stabilire confini. Cosa separa, talvolta, il jazz dalla world music per esempio?

AAJ: Fra le tante ricadute del jazz sulla popular music, quale pensi sia la più significativa?

M.A.: Il jazz ha allargato la cultura del pop, ha dato spessore e prospettiva, salvando quella musica che da sola rischiava di diventare una sorta di giocattolo commerciale. E' un fratello virtuoso che ha fatto bene al fratello minore.

AAJ: Credi che il jazz storicamente sia stato più reattivo (nel senso che ha seguito e incorporato trend lanciati da altri generi musicali) o attivo (nel senso che ha lanciato trend poi seguiti da altri generi musicali)?

M.A.: Credo abbia regalato e ricevuto in ugual misura. Ci sono artisti italiani pop come Paoli e Tenco, per esempio, che sono entrati a quasi pieno titolo nel mondo del jazz.

AAJ: Frank Zappa pensava che il jazz non fosse morto, ma che avesse semplicemente «un odore un po' curioso». Tu che odore senti?

M.A.: E' una frase molto zappiana, ma non credo che il jazz abbia un cattivo odore, anzi. A dire il vero io nell'ambiente jazz di odori comuni ne ho sempre trovati pochissimi.

AAJ: Il jazz salverà il mondo?

M.A.: Accidenti che domanda! Beh... sì, io dico proprio di sì!

Foto di Giorgio Alto (la seconda e la terza).


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