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Mantova Jazz Festival 2023

Mantova Jazz Festival 2023

Courtesy Nicola Malaguti

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Mantova Jazz Festival
Mantova, vari luoghi
13.10-10.11.2023

Giunto alla 43ma edizione, il jazz festival di Mantova continua a dimostrarsi attento agli sviluppi del jazz contemporaneo con programmi autorevolmente attrattivi, che presentano il meglio del panorama internazionale senza dimenticare i talenti locali.

L'idea di fondo che ha guidato l'ultima rassegna era una ricognizione sulle "possibilità di un mainstream progressivo" attraverso quattro concerti che hanno visto di scena il quartetto "New Jawn" di Christian McBride, il trio di Chris Potter con James Francies ed Eric Harland, il trio di Tigran Hamasyan e il quartetto di Marco Cocconi con tre giovani talenti emergenti. Mantova gode di una comunità di appassionati attenti che hanno risposto con interesse, decretando un pieno successo complessivo.

Christian McBride

Il 13 ottobre Christian McBride ha inaugurato il cartellone con un quartetto ben collaudato, che prende il nome dal primo album di cinque anni fa: assieme al contrabbassista ne fanno parte il giovane trombettista Josh Evans, il sassofonista Marcus Strickland e il batterista Nasheet Waits. Come si vede, un organico senza pianoforte, che stilisticamente si colloca proprio alla confluenza tra hard bop e free ed è quindi l'esempio più calzante per l'assunto della rassegna. Di recente la formazione ha pubblicato il disco Prime e molto repertorio era tratto da quest'album. La musica eseguita al Teatro Ariston ha confermato il loro modern mainstream ritmicamente pulsante, ricco di vorticosi assoli che attualizza il meglio dell'arte di Mingus, Dolphy, Rollins, Ornette Coleman e altri maestri degli anni sessanta.

L'introduzione free del brano d'apertura ("Head Bedlam") e il marcato vamp ritmico che seguiva non lasciava dubbi sull'estetica di riferimento ed è stata rimarcata dal successivo tema dedicato a Eric Dolphy ("Dolphy Dust") con lo sviluppo angolare del tema base ed i brucianti interventi di Josh Evans e Marcus Strickland. Il trombettista è uno dei massimi emergenti sul suo strumento e ricorda Booker Little nel sound carico di pathos e nel fraseggio nervoso e incalzante. Strickland ha alternato il sax tenore al clarinetto basso dimostrandosi un solista avvincente anche in questo strumento. Lo hanno dimostrato il terzo brano "John Day" e, poco dopo, la ballad "Kush." Il concerto s'è snodato in modo smagliante, attraverso il bel gioco di relazione tra i due solisti in front-line e l'avvincente coppia ritmica. Col respiro intenso del suo basso, Christian McBride occupava il centro del palco dimostrandosi il cuore pulsante del gruppo in fantasiosa connessione con Waits. Un momento clou del concerto è stato l'esecuzione del noto "East Broadway Run Down" di Rollins, sviluppato da Kirkland al tenore e poi da Evans sul metronomico ostinato di Kirkland.

Marco Cocconi

Il 27 ottobre nella sala del circolo ARCI Tom, era di scena il bassista Marco Cocconi con i suoi giovani partner: Manuel Caliumi al sax contralto e soprano, Riccardo Barba alle tastiere e Federico Negri alla batteria. Un quartetto di musicisti lombardi con esperienze tutt'altro che circoscritte. Il leader è attivo professionalmente dalla seconda metà degli anni ottanta e ha ormai un ricco curriculum con prestigiose collaborazioni e lavori in proprio. Il concerto mantovano ha riguardato la musica del disco Even in My Soul in cui hanno partecipato anche Negri e Caliumi.

Figlio di Mauro Negri, uno dei massimi sassofonisti/clarinettisti italiani, Federico ha già svolto significative esperienze e mostra ottime doti. Quasi coetaneo, Caliumi ha vinto numerosi concorsi nazionali, studiato negli Stati Uniti e condiviso il palco con Dave Douglas, Jacky Terrasson e altri. Anche Riccardo Barba è uno strumentista di ottime doti e formazione. Dopo una solo-performance col basso a sei corde di "Nobody Else But Me," il concerto è decollato con le belle composizioni di Cocconi a partire da "Even in My Soul," un brano ritmicamente frizzante che ha subito evidenziato le doti del sassofonista: sound penetrante in assoli fervidi, dall'incedere articolato e sicuro. Il concerto è proseguito con la soave ballad "Broken Pillows," "Palavras Ao Vento" e altri brani del disco, in un fluente sviluppo di interventi personali e confronti reciproci. Il contrasto tra la preziosità armonica dei temi e il fraseggio obliquo di Caliumi ha rappresentato l'elemento più interessante della serata.

Tigran Hamasyan

Pianista tra i più tecnicamente dotati e fantasiosi della sua generazione, Tigran Hamasyan ha presentato in trio quasi tutto il repertorio dell'album The Call Within. Da quel disco era presente solo il batterista svizzero Arthur Hnatek, con cui il dialogo è stato fittissimo, mentre al basso elettrico a sei corde c'era Marc Karapetian.

È stata un'ora e mezza di "Armenian electro-acoustic rock" come lo definisce Tigran, caratterizzato dall'alternanza di lirici momenti pianistici con marcati episodi ritmico-percussivi, dalla tumultuosa e vibrante forza iterativa. Nell'introduzione del primo brano "Our Film," Hamasyan ha dato immediatamente prova del suo talento di solista introspettivo, in grado di delineare evocative melodie folk, tratte dal patrimonio della sua Armenia. Ma è durato solo qualche minuto e il marcato quadro percussivo di cui sopra ha preso il sopravvento, per il piacere del giovane pubblico in sala.

Lo schema con contrasti netti s'è ripetuto in altri brani, a partire dal successivo "Old Maps" (una sequenza concitata di arpeggi pianistici iterati sostenuti da un martellante vamp di basso) fino ad "Ara Resurrected" (con un lungo e appassionante assolo di batteria), e al suggestivo bis, con una nuova versione di "Our Film." Se nell'album citato questa musica può contare su alcuni ospiti e un variopinto apporto timbrico, la formula in trio tende a rivelarsi stilisticamente uniforme e potrebbe stancare. Bene ha fatto Hamasyan ad alternare i brani più tempestosi con altri lenti e delicati: l'evocativo "At a Post-Historian Seashore" e l'ipnotico "The Dream Voyager" (lento sviluppo di una frase iterata di piano e voce, su una metronomica base percussiva, più un intervento pianistico ricco di mordente). Il trio di Hamasyan è un organico di prim'ordine, che offre una chiave stilistica nuova sulle ceneri del celebrato Esbjorn Svensson Trio. Il pubblico ha applaudito con entusiasmo.

Chris Potter

La rassegna s'è conclusa il 10 novembre all'Auditorium Monteverdi con l'ovvio sold out del trio Circuits di Chris Potter con James Francies ed Eric Harland. Da quando ha lasciato l'ECM per passare all'etichetta britannica Edition Records, varando il primo disco della formazione, Chris Potter ha riallacciato i legami con la black popular music (s'è formato musicalmente nel South Carolina, non dimentichiamolo) e con la tradizione del sax tenore, in una sintesi coi nuovi suoni di un'elettronica che viene dall'hip hop e dal R&B contemporaneo.

Il risultato è stato un concerto magistrale, tra i più coinvolgenti seguiti dal vostro recensore negli ultimi anni. Anche se è Potter a primeggiare, questo trio ha una chiara identità collettiva: l'interattivo drumming di Harland è una stata fonte costante di suggerimenti e tensioni mentre le fantasiose trame elettroniche di Francies hanno aggiunto cangianti fondali e sottolineature ritmiche.
Grazie al groove dei due partner, il sassofonista ha riannodato le fila con le lunghe composizioni poliritmiche di Underground, il disco realizzato nel 2006 con Craig Taborn, Nate Smith e Wayne Krantz, in una sintesi più matura e vicina alla tradizione del jazz. Uno dei momenti clou del concerto è stato l'esecuzione di "Body and Soul": il lungo intervento di Chris Potter (con una parte in solo) non poteva che rammentare la storica esecuzione di Coleman Hawkins.

Più di Joe Lovano e Mark Turner, Chris Potter è oggi l'erede più influente della grande triade Rollins-Coltrane-Shorter. La tecnica strepitosa, la vulcanica energia e il timbro magnetico lo portano ad eseguire assoli appassionanti, che svettano per logica e fantasia anche nei percorsi torrenziali.

I brani in scaletta hanno spaziato tra quelli contenuti in Circuits e in Sunrise Reprise del 2021, con esecuzioni sempre differenti. Dopo "Circuits" e "The Nerve," la versione di "Nowhere, Now Here" era timbricamente più scarna rispetto al disco ma non meno avvincente: sulla fresca melodia base i tre hanno costruito lunghi e variopinti percorsi con esemplari assoli, anche di Francies e Harland.
Dopo il citato e appassionante "Body and Soul" con Francies al pianoforte, il concerto è proseguito con "Koutomé," altra lunga sequenza musicale venata di colori africani per avviarsi alla conclusione. Dopo i lunghi applausi di richiesta del bis il trio ha scelto d'eseguire "Green Pastures."

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