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Le affinità elettive di Jakko Jakszyk

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Ammiro il modo di suonare di Robert Fripp e mi piace anche Allan Holdsworth, ma l'album a cui ritorno sempre è Legend degli Henry Cow
Chitarrista, cantante e compositore, Jakko Jakszyk, classe 1958, è oggi un artista arrivato. Un outsider che con un look un po'elvisiano da rocker della prima ora e tanto talento è riuscito ad arrivare in alto. Tanto in alto da agguantare nei primi anni 2000 il ruolo di alter ego del mitico Robert Fripp nella 21st Century Schizoid Band, imparando a memoria le parti di chitarra del repertorio storico della band, da In the Court of the Crimson King a Islands, e assumendo anche il difficile compito di cantante che era stato di Greg Lake. Non solo.

Nel tempo è diventato anche uno stretto collaboratore del "Re Cremisi" in persona. E il suo nome appare al primo posto del trio Jakszyk Fripp and Collins che firma A Scarcity of Miracles, un lavoro del ciclo Crimson ProjeKct uscito nel 2011 e considerato dallo stesso Fripp uno degli spin off più vicini all'anima improvvisativa dei King Crimson originali.

Jakszyk ha però lambito o coperto altri territori colti delle musiche progressive europee: dai Rapid Eye Movement, negli anni Ottanta, ultima incarnazione della cometa hatfildiana con Dave Stewart e Pip Pyle, ai Lodge con alcuni ex Henry Cow, Art Bears, Slapp Happy e Golden Palominos come John Greaves, Peter Blegvad e Anton Fier. Alla fine degli anni Ottanta, Jakszyk firma un altro progetto ambizioso fuori dai canoni del progressive e che combina jazz, folk e art rock: si tratta dei Dizrythmia, band che annovera il leggendario bassista dei Pentangle Danny Thompson, il cantante indiano Pandit Dinesh e l'ex Porcupine Tree Gavin Harrison. Se non bastasse lo "sconosciuto" Jakko lo troviamo agli inizi degli anni Novanta a fianco degli ex Japan Steve Jansen, Mick Karn e Richard Barbieri, altro "giro giusto": con loro mette a fuoco uno dei suoi primi exploit solistici, l'ep Kingdom of Dust.

Finito? Neanche per sogno. Lo becchiamo più o meno nello stesso periodo anche in mezzo ai Level 42 dell'amico Mark King alle prese con la promozione dell'album Guaranteed, in compagnia di Tom Robinson e, addirittura, a fianco degli inossidabili Kinks. Gli anni 2000 iniziano, come premesso, alla grande con il ciclo crimsoniano della 21st Century Schizoid Band, un'esperienza chiusasi definitivamente dopo una manciata di live e la morte del batterista Ian Wallace nel 2007. Nel 2006 esce intanto il suo lavoro solista più ambizioso, il doppio CD The Bruised Romantic Glee Club: qui Jakszyk presenta una generosa collezione di brani originali ricchi di spunti autobiografici che mettono bene in luce la sua vena melodica insieme a una serie di cover tributo ai suoi beniamini di sempre, primi fra tutti gli Henry Cow di Nirvana for Mice e di The Citizen King. Un personaggio decisamente poliedrico che abbiamo incontrato alla vigilia di nuove avventure e uscite discografiche.

All About Jazz: Partiamo da A Scarcity of Miracles, un album che, oltre ad avere avuto il sigillo ufficiale di Robert Fripp, ha dato a molti il brivido quasi di un ritorno a certe sonorità e atmosfere care agli appassionati dei primi King Crimson. Fondamentale per la riuscita di questo progetto è stato il tuo contributo come musicista e compositore. Puoi raccontarne la genesi?

Jakko Jakszyk: Sono orgoglioso del lavoro fatto. Ma forse è importante ricordare come è nato e si è sviluppato il tutto. Non è affatto andata come magari qualcuno immagina con Robert Fripp che si è presentato alla porta di casa mia, dicendomi "Hey Jakko, facciamo un King Crimson project!." La cosa è nata molto più semplicemente con Robert che mi chiede di fare un salto negli studi della DGM (Discipline Global Mobile, etichetta indipendente fondata da Fripp nel 1992, N.d.R.) per improvvisare qualcosa e vedere cosa ne viene fuori. La notte prima di vederci, mi telefona e suggerisce di portarmi dietro un hard drive in modo da registrare la seduta. Finito di suonare, accomiatandosi e guardando il drive, mi dice questa frase "Perché non vedi se ci trovi qualcosa che ti piace?." Torno al mio studio di casa e mi metto subito a lavorare sui brani alla ricerca di una chiave per svilupparli e trasformarli. Subito prendo la decisione di non spezzettarli o sezionarli in brevi frammenti. Mi rendevo conto che si trattava dell'approccio più facile: ma la cosa che mi intrigava di più era di isolare delle sezioni e quindi amalgamarle fra loro, creando un arrangiamento ad hoc. Quello che trovavo più interessante, pensavo, era seguire il flusso dei brani dovunque andasse. Quindi, mi pongo come obiettivo quello di preservare questo "flusso organico." Una sorta di lavoro simile a quello di uno scultore. anch'io in un certo senso mi sentivo uno scultore impegnato a scolpire la musica dalla "roccia" che avevamo creato con le nostre improvvisazioni.

A questo punto determino il tempo e il ritmo dei diversi brani e comincio a lavorare su piccole sezioni, aggiungendo, scrivendo e registrando delle parti nuove. Molte volte senza ascoltare le parti incise per le sezioni precedenti. Quando, alla fine del lavoro, ho suonato l'intera scaletta, ho provato un senso di sorpresa perché effettivamente non mi ero completamente reso conto della direzione che il flusso aveva intrapreso.

AAJ: La reazione di Fripp?

J.J.: A Robert il lavoro è subito piaciuto: abbiamo ripercorso insieme le diverse parti delle composizioni ed egli stesso li ha rifinite ed approvate. A questo punto ha suggerito di allargare la platea dei musicisti, consigliandomi di contattare Mel Collins perché gli sarebbe piaciuto tornare a lavorare insieme a lui. Mel è, infatti, uno dei pochi musicisti sulla piazza nei cui confronti Robert ha sempre avuto parole di ammirazione.

Quindi Mel ci ha raggiunto in studio e abbiamo improvvisato sulle basi che avevamo già registrato. Robert è rimasto particolarmente soddisfatto delle parti di soprano di Mel, anche se durante la session abbiamo utilizzato diversi altri tipi di sassofoni.

Terminata la seduta mi sono rimesso a lavorare in studio: ho selezionato gli assoli di sax e ho imparato a suonarli con la chitarra, aggiungendo le parti armoniche. Ho, infine, richiamato Mel in studio per l'overdub di alcune parti delle sezioni musicali che avevo selezionato. Risentendo oggi l'album, il risultato finale più sorprendente di questi interventi sono i momenti in cui la band sembra suonare tutta compatta, mentre in realtà sono solo io che "orchestro" le improvvisazioni di Mel. Parti talmente belle e perfette che avrebbero potuto essere scritte. Ecco, ho cercato di mantenere questo approccio in tutto l'album. Perfino le parti vocali sono improvvisate, come pure le parole dei brani cantati. Ho provato a dare un senso a quello che cantavo solo dopo le registrazioni e penso che questo abbia dato un tocco di personalità in più a tutto il lavoro.

AAJ: Per quanto riguarda la ritmica dell'album, quali decisioni avete preso tu e Fripp?

J.J.: Abbiamo rimpiazzato le percussioni elettroniche usate nelle prove con Gavin Harrison, che è sempre un musicista brillante. A sostituire il mio terribile lavoro al basso ci ha invece pensato Tony Levin. Il contributo di Tony in particolare è stato straordinario: talvolta si limitava esclusivamente a suonare le parti che gli avevo trascritto, sempre ovviamente con il suo inimitabile stile, altre volte, invece, se ne veniva fuori con qualcosa che io non avrei immaginato nemmeno se ci avessi pensato milioni di anni.

AAJ: Pensi che ci sarà un secondo capitolo del trio Jakszyk-Fripp-Collins?

J.J.: Il piano di partenza era quella di portare A Scarcity of Miracles in tour con gli stessi musicisti che avevano partecipato alla registrazione dell'album più Pat Mastellotto. A Robert erano intanto venute diverse nuove idee per i brani che avevano in repertorio e mi ricordo che registrai alcune versioni minimaliste di queste. Erano anche già state decise alcune date di un ipotetico tour. Ma un giorno Robert dopo un concerto solo a New York scese dal palco con la decisione di mettere fine alla carriera di musicista itinerante. Ovviamente, questa cosa ci riempì tutti di tristezza, ma Robert aveva deciso che quello era il momento di chiudere definitivamente con i concerti. Robert mi ha comunque dato libero accesso agli archivi della DGM e posso anche contattare gli altri membri dei King Crimson nel caso volessi portare avanti il progetto. In effetti ho registrato qualcosa di nuovo e qualcosa, non tutto, è passato anche per le orecchie di Robert. Ma quello che semmai un giorno uscirà sarà solo a mio nome. Ma nulla con il suo sigillo. In ogni modo, non ho perso la speranza di fare ancora qualcosa insieme a lui.

AAJ: Leggendo alcune riflessioni pubblicate sul tuo sito è evidente che con Fripp hai un rapporto di amicizia e di collaborazione molto stretto. È possibile che molti tuoi colleghi ti invidino per questa relazione speciale che solo pochi musicisti possono vantare. Qual è la tua opinione a riguardo?

J.J.: Il tempo passato a lavorare con Robert è stato gratificante. Molto istruttivo e interessante. Robert è sempre stato il mio eroe ed è la ragione stessa per cui sono diventato un musicista, quindi potete immaginare quanto sia stato un privilegio poter collaborare con lui. Tutto è iniziato quando stavo provando per entrare nella 21st Century Schizoid Band. Allora mi tirò fuori letteralmente dal buio: s'interessò a me perché era impressionato dai miei progressi: aveva capito che ero in grado di vedere le cose dalla sua prospettiva e capire perfettamente il ruolo che andavo a ricoprire all'interno della band. Avendo Robert come alleato tutto alla fine è andato per il meglio anche perchè quelle famose prove per entrare nella band non furono proprio un momento piacevole.

AAJ: Cosa significa lavorare con Fripp? Una sfida sul piano della tecnica musicale, un trip esoterico o cos'altro?

J.J.: Ho imparato tantissime cose lavorando con Robert. A livello di mixing in particolare. Fa attenzione anche al più piccolo dettaglio e ha un modo speciale di mixare, utilizzando il reverbero mono all'interno dell'immagine stereofonica. Il modo in cui Robert suona e concepisce la musica è per me una sfida continua dal punto di vista tecnico, anche perché la mia formazione musicale è completamente diversa dalla sua. Quindi, in certi casi ho dovuto "forzare" le mie dita, ma devo dire che l'esperienza è stata positiva al di là degli aspetti squisitamente tecnici. So bene che Robert ha una certa immagine "esoterica" che traspare dal suo diario che posta sul web e da alcune cose che dice e in cui crede, ma la mia relazione con lui è molto differente. Sa essere, ad esempio, incredibilmente divertente e sono sicuro che non gli piacerebbe se la gente venisse a conoscenza di questo suo aspetto perché gli rovinerebbe la reputazione di "leader duro, inflessibile e pignolo." Ha un grande senso del humour ed è bravissimo a raccontare storie.

AAJ: Un altro tuo eroe con cui hai lavorato in passato è il tastierista e compositore Dave Stewart, noto per essere stato una colonna in gruppi come Egg, Hatfield and The North e National Health. Sei ancora in contatto con lui?

J.J.: Recentemente siamo tornati a suonare insieme nel nuovo disco che ho realizzato con il mio buon amico Gavin Harrison. Si tratta del secondo capitolo discografico di un gruppo acustico chiamato Dizrythmia. Abbiamo fatto un disco negli anni Ottanta e abbiamo sempre cercato di realizzare un seguito. Ora sembra che ci siamo, siamo infatti in fase di missaggio. Tra i musicisti ci sono il leggendario contrabbassista Danny Thompson e il percussionista indiano Pandit Dinesh, oltre ovviamente a Dave che suona il pianoforte. Sto anche lavorando con Dave su un altro progetto che con un po' di fortuna dovrebbe vedere la luce nel prossimo futuro.

AAJ: A proposito di incontri determinanti come sei entrato nel giro degli ex Japan Richard Barbieri, Mick Karn e Steve Jansen?

J.J.: Prima ho incontrato Barbieri a Roma ai tempi in cui lavoravo con la cantante Alice. Una conoscenza che una volta tornato in Inghilterra mi è servita per mettermi in contatto con Jansen e Karn. Abbiamo iniziato a frequentarci e questo ci ha portato inevitabilmente a provare a lavorare insieme. Allora loro tre stavano finalizzando un certo numero di brani ai quali avrebbero dovuto aggiungere parti vocali e di chitarra di un musicista newyorchese, un certo Roby Aceto. Alla fine fui io a completare i brani che costituirono la tracklist formata da quattro composizioni del mio primo extended play, Kingdom of Dust (uscito nel 1994, N.d.R.). Karn lavorò anche al mio successivo album Mustard Gas and Roses e io restituì il favore registrando e suonando vari strumenti nel suo The Tooth Mother. Mi piaceva Mick, ma allo stesso tempo era una persona che poteva essere completamente irrazionale e prendere decisioni di scarso senso che alla fine incidevano sulle vite di chi gli stava intorno. Così per colpa di una di queste decisioni ci allontanammo.

AAJ: Ma in seguito vi siete ritrovati.

J.J.: Sì, avevo letto il suo libro e mi venne voglia di scrivergli. Lui mi rispose subito e cominciammo ad avere un fitto rapporto epistolare e ci ritrovammo amici come una volta. Poi dopo un periodo di silenzio in cui non rispondeva più alle mie lettere, ricevetti una telefonata di Richard Barbieri da Cipro. Era Mick che aveva chiesto all'amico di contattarmi per farmi sapere che gli era stato diagnosticato un cancro. Una volta rientrato in Inghilterra, Mick si mise al lavoro insieme a Peter Murphy a un nuovo album dei Dali's Car: lo andai a trovare nel suo appartamento e mi chiese di collaborare al progetto. La cosa mi coinvolse enormemente e feci un po' di tutto: registrai, scrissi, arrangiai e invitai anche il sassofonista Theo Travis a registrare nel mio studio. Era piacevole stare insieme a Mick e aiutarlo a finire quello che sarebbe stato il suo ultimo lavoro, ma alla fine era molto stressante vederlo perdere le forze e spegnersi a poco a poco. Fu un periodo davvero terribile.

AAJ: Il duo che hai creato con il sassofonista Mel Collins è dopo alcuni concerti sparito dalla circolazione. Cosa ne è stato?

J.J.: Amo lavorare con Mel, è un musicista così completo! Quella del duo è stata comunque un'esperienza spot. Mi è piaciuta l'idea, ma non mi trovo a mio agio a lavorare con basi registrate. È comunque sempre una possibilità, ma non so sinceramente quanto interesse possa suscitare.

AAJ: Parliamo del tuo ultimo lavoro solista Waves Sweep the Sand, che è molto di più di una semplice raccolta di brani d'archivio o di seconda scelta. Credo che mostri un lato poco conosciuto della tua arte compositiva e che emerge soprattutto nei brani strumentali come "Suburban Windows," "Fragile Little Scars" o "September Skies" che sembrano pensati come piccole colonne sonore di film immaginari.

J.J.: Mi fa molto piacere il tuo commento, ma si tratta in effetti solo di una collezione di idee musicali che andavo perfezionando in quel periodo. Se le ho pubblicate è perché ovviamente ritengo che siano delle buone idee anche se nella maggior parte dei casi si tratta di brani non finiti o di composizioni che non sono riuscito a far entrare nel mio precedente lavoro solista, il doppio The Bruised Romantic Glee Club. In particolare i brani che menzioni provengono da un lavoro di arrangiamento di una sezione d'archi. Schizzi che sono diventati parte di un progetto più ambizioso di un album per chitarra e quartetto di archi. Un album che però non sono mai riuscito a terminare.

AAJ: A proposito di progetti so che hai diverse cose pronte da pubblicare, ma che per diversi motivi stazionano ancora nei cassetti.

J.J.: C'è un altro ottimo live della 21st Century Schizoid Band registrato a Barcellona. Un gruppo che, tengo a precisare, dopo la morte di Ian Wallace non ha più ragione di esistere. Poi, come accennavo prima, è in fase di missaggio il secondo capitolo dei Dizrythmia e, inoltre, sto lavorando a un progetto radiofonico per la BBC (Radio 3) che tratta dell'improbabile amicizia tra Groucho Marx e T.S. Eliot.

AAJ: Si è parlato in passato di un progetto di collaborazione con Bill Bruford.

J.J.: Ho discusso spesso con Bill in più occasioni in passato sulla possibilità di lavorare insieme. Ma non è mai successo. Non ci sono nastri o testimonianze registrate se non qualche demo. Inoltre Bill si è ormai ritirato completamente dalla scena attiva.

AAJ: In questi ultimi anni hai collezionato un discreto numero di "progetti laterali": Dali's Car, Tangent, Steve Hackett, Lifesigns ecc. Ce li puoi raccontare? Sei soddisfatto di tutti?

J.J.: In tutta onestà mi fa piacere quando mi chiamano a collaborare. E qualche volta non si può dire di no. In genere faccio anche lavori in cui non sono coinvolto a livello emozionale o perché vengo pagato. In certe occasioni, entrambe queste cose si combinano perfettamente. Come ho raccontato prima, ho suonato e lavorato nell'ultimo album dei Dali's Car perché me lo chiese espressamente Mick Karn. In questo caso, poter collaborare con Mick è stato un grande onore e privilegio. Sono presente nel nuovissimo album dei Tangent insieme al mio amico Gavin Harrison. Il CD uscirà in estate. Faccio un piccolo spot per Andy Tillison (il tastierista e leader dei Tangent, N.d.R.) e mi auguro che il mio coinvolgimento e quello di Gavin servano a generare attenzione su questo lavoro meritevole.

Non mi ricordo invece quando Rob Reed mi contattò per suonare con i Kompendium: in ogni caso dalla collaborazione è nata un'amicizia e torneremo presto a suonare insieme per un nuovo progetto. Conosco Steve Wilson abbastanza bene, siamo vicini di casa e abbiamo diviso il lavoro di remix degli album dei King Crimson e degli Emerson, Lake&Palmer, così quando mi ha chiesto di collaborare al suo ultimo progetto mi ha fatto molto piacere.

Ho incontrato Steve Hackett la prima volta nel backstage di un concerto della 21st Century Schizoid Band alla Queen Elizabeth Hall a Londra e in quell'occasione mi chiese di cantare nel suo ultimo disco e in alcuni show dal vivo con la sua band. Potete immaginare la mia emozione. Anche in questo caso sono riuscito a coronare un sogno perché Hackett è stato un eroe della mia gioventù. Riguardo, infine, ai Lifesigns, ho suonato nel loro disco perchè me lo ha chiesto il mio grande amico Nick Beggs che fa parte della band. Ho lavorato inizialmente su una traccia, che è subito piaciuta a Nick, e poi mi è stato chiesto da Andy Leff, il manager di Steve Wilson, di ampliare il raggio d'azione della collaborazione. Così mi sono messo a lavorare duramente, creando delle cose molto buone di cui mi sento orgoglioso. Tuttavia, dopo aver sentito il missaggio mi sono accorto che non ero più presente sull'album. Ora so che hanno fatto un remix e qualcosa che avevo fatto sembra sia riapparso, Non lo so con sicurezza perché non ho ancora ascoltato l'album.

AAJ: Qual è il tuo album preferito? E il chitarrista che ami di più?

J.J.: Non sono sicuro se riesco a selezionare un solo chitarrista o un solo album. Amo il modo di suonare di Robert Fripp e mi piace soprattutto l'album Lizard dei King Crimson: in particolare le parti di chitarra di "Prince Rupert's Lament," sono le migliori che io abbia mai ascoltato. Ammiro molto anche Allan Holdsworth. Ma l'album al quale ritorno sempre è LegEnd degli Henry Cow. Le composizioni che ne fanno parte sono davvero uniche e straordinarie.

AAJ: Si può dire che con la fine del ciclo storico del movimento della scuola di Canterbury, tu sia diventato, grazie anche alle tue collaborazioni (Rapid Eye Movement, Dave Stewart&Barbara Gaskin, Pip Pyle ecc.), una figura centrale di quella scena. Ne sei consapevole?

J.J.: Veramente no. È un po' da pazzi associarmi a quel genere. È solo perché ho lavorato con Dave Stewart, Pip Pyle, John Greaves e Peter Blegvad. Certo mi piacciono i Soft Machine e Robert Wyatt, ma tutto finisce lì. Penso di essere stato una sola volta nella mia vita a Canterbury. E precisamente nel 1985 per fare una partita di calcio. Ma non credo che questo conti qualcosa, o no?

AAJ: C'è sempre stato un legame molto forte tra la musica e le liriche dei tuoi dischi e la tua storia personale di figlio adottivo alla ricerca della madre naturale. Hai addirittura dedicato un album a queste vicende, l'autobiografico The Road to Ballina, dove si parla anche delle origini dei tuoi genitori adottivi, rifugiati della Seconda Guerra Mondiale. Ecco il tuo passato rappresenta ancora oggi un'importante fonte d'ispirazione?

J.J.: Lo è stato per molti anni. Sono eventi che mi hanno segnato in tanti modi e poi comunque uno alla fine si trova a scrivere sulle cose che conosce o che ha vissuto. Cerco ora di tenermi alla larga dal passato, ma è qualcosa che alla fine incombe sempre.

AAJ: Se potessi rivedere qualcosa che hai creato in passato, cosa cambieresti?

J.J.: La maggior parte delle cose che uno fa, insegnano qualcosa. Anche quelle che oggi uno non rifarebbe. È un processo di apprendimento. Certe cose che ho fatto in passato non "suonano" più così bene dal punto di vista della qualità dell'audio, ma a parte questo aspetto tecnico, credo che non vorrei cambiare niente.

AAJ: Hai ancora qualche ambizione in campo musicale che non sei riuscito a soddisfare?

J.J.: Certo. Il disco per archi e chitarra di cui parlavo prima, ad esempio. E ci sono ovviamente anche dei musicisti con i quali vorrei condividere nuovi progetti. Ma devo dire che, alla fine, sono stato abbastanza fortunato. Sono riuscito a lavorare con degli artisti fantastici e molti di loro erano gli eroi della mia gioventù. Non tutti ci riescono.

Foto tratte dall'archivio personale di Jakko Jakszyk.

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