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L’antidivo: intervista a Pietro Tonolo
ByPotrebbero bastare queste sue affermazioni per intuire il punto di vista di Pietro Tonolo, sassofonista che opera spesso lontano dalla luce dei riflettori, e capace, nel corso di molti anni di carriera, di tracciare un percorso artistico decisamente originale e pregno di significati. Un artista che anziché gridare scava dentro di sé, alla ricerca di emozioni da tradurre in musica.
All About Jazz Italia: Il 2010 ha visto l'uscita dell'album Mirando per Egea, un ritorno alla scrittura.
Pietro Tonolo: Era da tempo che non facevo un lavoro di mie composizioni. Gli ultimi tre album sono stati dei tributi: Lennie's Pennies per la Blue Serge, con Paolo Birro, Roberto Rossi e Alfred Kramer, dedicato alla musica di Lennie Tristano; Italian Songs per Egea, con Gil Goldstein, Essiet Essiet e Joe Chambers, dedicato al repertorio italiano; Your Songs per Obliqsound, con Gil Goldstein, Steve Swallow e Paul Motian, dedicato alla musica di Elton John. Mi piace affrontare repertori diversi, credo che il "come" sia più importante del "cosa," e comunque avevo voglia di esprimermi più approfonditamente sulla composizione. In Mirando suonano Gil Goldstein, Riccardo Del Fra e Francesco Sotgiu, e in un paio di pezzi Paolo Birro e David Boato.
AAJ: Qual è il tema centrale dei brani?
P.T.: Mirando è dedicato a Mirano, la cittadina in cui sono nato e dove ho trascorso infanzia e adolescenza. Mi sono in parte ispirato alle atmosfere e alle sensazioni di quegli anni, anche se infanzia e adolescenza sono sempre il serbatoio principale al quale si attinge. A volte penso che la vita adulta sia un continuo rielaborare le esperienze dei primi anni.
AAJ: Un altro CD che ti ha visto protagonista quest'anno è stato per la collana "Jazz Italiano Live" curata da L'Espresso. Otto composizioni che rappresentano quale parte del tuo essere musicista?
P.T.: Ho pescato tra composizioni vecchie e scritto un paio di cose nuove. Essendo, quello de L'Espresso, un CD che viene proposto a un pubblico più vasto di quello che abitualmente acquista dischi di jazz ho cercato una certa cantabilità e varietà di situazioni; credo che la coerenza di questo lavoro sia comunque assicurata dalla forte personalità dei musicisti che vi hanno preso parte (Rita Marcotulli, Riccardo Del Fra e Francesco Sotgiu).
AAJ: Si tratta di un avoro che si distingue per l'atmosfera di grande eleganza e per la coesione tra i protagonisti del concerto. Qual è stato l'ingrediente segreto?
P.T.: La compatibilità, l'intesa e l'interplay, oltre a (spero) la qualità del materiale musicale di partenza.
AAJ: Oggi il jazz sembra quasi un fenomeno alla moda. Qual è il tuo punto di vista?
P.T.: Non ho particolari opinioni al riguardo, le mode vanno e vengono. Ci sono lati positivi e negativi, come sempre, ma credo che un musicista debba percorrere la sua strada senza farsi troppo coinvolgere dagli alti e bassi del mercato.
AAJ: Che ricordo hai del clima che si respirava negli anni Ottanta, quando il jazz era seguito da un numero ristretto di appassionati?
P.T.: Ho dei bellissimi ricordi, negli anni '80 ho fatto esperienze musicali esaltanti. Incontri che mi hanno formato. Ricordo, tra gli altri, Gil Evans, Lee Konitz, Steve Lacy, Sal Nistico, Luigi Bonafede, Riccardo Zegna, Massimo Urbani e Larry Nocella.
AAJ: Qual è stato quello decisivo, senza il quale oggi non saresti il musicista che sei?
P.T.: Se ne estrapolassi uno farei un torto agli altri. Il jazz è una musica molto "sociale" e spesso è l'ambiente piuttosto che i singoli a essere importante.
AAJ: Hai un aneddoto particolare da raccontarci?
P.T.: Molti, ma non amo raccontarli, soprattutto pubblicamente!
AAJ: Mossi i primi passi con il violino sei passato al sax. Come e perché, a un certo punto, si cambia strumento?
P.T.: Per me è stata una scelta puramente istintiva.
AAJ: Hai mai avuto un ripensamento?
P.T.: Assolutamente no; l'incontro col sassofono è stato uno di quelli che danno una svolta alla vita, ho avuto la sensazione di aver trovato finalmente la mia strada, e non ho nessuna intenzione di abbandonarla, per ora.
AAJ: Nel DNA del tuo modo di suonare, vanno rintracciati legami con quali tipo di cultura o musicista?
P.T.: Cerco - e spero - di avere legami con molti musicisti di epoche e stili diversi; poi si vive nel mondo di oggi, e tutto viene automaticamente rimescolato e rielaborato.
AAJ: Quali sono i tuoi ascolti attuali?
P.T.: Molte cose diverse. Tendo a essere un ascoltatore leggermente maniacale, in genere mi innamoro di qualcosa che letteralmente consumo. Ho ascoltato moltissimo jazz tra i 15 e i 25 anni, ora molto poco; spazio tra musiche di epoche e stili diversi, sono convinto che la qualità sia assolutamente trasversale, non monopolio di qualche genere.
AAJ: Sei indubbiamente tra i musicisti italiani più preparati, ma quando si tratta di stilare la lista dei migliori in senso assoluto, il tuo nome viene subito dietro "i soliti noti". La cosa ti infastidisce?
P.T.: Mi lascia indifferente.
AAJ: Hai una buona attività a livello internazionale: sapresti descriverci come i jazzisti italiani sono percepiti dai colleghi e dal pubblico straniero?
P.T.: Come dicevo prima, vedo la comunità jazzistica (nel senso più lato del termine, anzi parlo più volentieri della "comunità artistica") piuttosto come sovranazionale; l'arte spesso precorre i tempi, e la musica in particolare ha la fortuna di essere svincolata dagli idiomi nazionali. Personalmente ho sempre avuto un ottimo rapporto con pubblico e musicisti stranieri.
AAJ: A proposito di esperienza internazionale, a che punto sono le tue esplorazioni musicali e culturali in terra africana?
P.T.: Ho concluso un tour con il progetto Dajaloo: composti dagli Africa Djembè Junior (quattro percussionisti senegalesi) più Giampaolo Casati, Roberto Rossi e Giancarlo Bianchetti. È stata un'esperienza molto costruttiva, arrivata dopo tre soggiorni in Senegal, durante i quali ho avuto modo di elaborare sul campo una possibile relazione con la musica tradizionale africana: è un progetto in divenire, senz'altro avrà un seguito.
AAJ: Su quali altri progetti stai lavorando in questo periodo?
P.T.: Innanzitutto cerco di suonare bene il sassofono, il che implica impegno e concentrazione e - per fortuna - molto divertimento; sto poi lavorando a un paio di progetti di cui però e prematuro parlare adesso, oltre che poco scaramantico.
Foto di Giorgio Ricci (la seconda e la quinta) e Luciano Rossetti (la terza).
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