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L’amore per l’improvvisazione: intervista a Giulio Corini
È dall'imprevedibilità che nascono le cose più interessanti. Quando succedono delle cose impreviste, lì accade la musica, si accendono gli stimoli.
All About Jazz Italia: Che ci facevi a Berlino il mese scorso?
Giulio Corini: Con Piero Bittolo Bon, Francesco Bigoni e Alfonso Santimone abbiamo preso in affitto una stanza e appena possiamo andiamo lì per suonare e incontrare altri musicisti, è una bella occasione per mettere il naso fuori di casa e vedere cosa succede in quella realtà favolosa, dove c'è una scena con centinaia di musicisti e dove si sente che sta nascendo qualcosa d'intreressante. Berlino è energicamente una città in espansione.
AAJ: C'è fermento jazzistico?
G.C.: Sì, mentre eravamo lì c'era il Jazz Collective, un gruppo d'improvvisatori di Berlino che hanno fatto dei concerti interessanti. Ci sono tanti posti per suonare, in ogni bar puoi trovare un concerto jazz, di musica contemporanea e di qualsiasi cosa. I musicisti sono molto disponibili per trovarsi e suonare insieme. C'è un bel clima.
AAJ: Hai iniziato con lo strumento elettrico e poi sei passato al contrabbasso. Un percorso fatto da molti musicisti. C'è stato un motivo particolare?
G.C.: Il motivo è che ho iniziato con il rock, quindi con il basso elettrico. Poi con l'andare del tempo mi sono molto appassionato al jazz, sono cresciuto con questa musica, e allora ho iniziato a suonare il contrabbasso e mi è piaciuto molto. Il basso elettrico ora lo suono molto poco, solo in situazioni particolari.
AAJ: È più raro il percorso inverso.
G.C.: Sì, i contrabbassisti di solito suonano lo strumento elettrico in episodi isolati, poi tornano sempre al vero amore. Poi certo, non per tutti è così, vedi Steve Swallow.
AAJ: Hai avuto molte esperienze didattiche di formazione. Qual è stata la più importante?
G.C.: Sicuramente i laboratori di Stefano Battaglia mi hanno aiutato molto, per capire e scoprire quello che davvero volevo fare. Ho partecipato a questi corsi a Siena per quattro anni, mi hanno influenzato molto, hanno determinato il mio modo di fare e concepire la musica.
AAJ: Quanto ti ha insegnato far parte di gruppi con musicisti storici, come quello di Enrico Rava?
G.C.: È stato importante perché ho capito meglio come funzionano determinate dinamiche all'interno di certi gruppi e nel circuito mediaticamente in vista, in cui sei molto più sotto pressione. Quando ho suonato con lui ero veramente giovane, suonavo il contrabbasso da un paio di anni, avevo voglia di dimostrare di essere all'altezza e questo mi metteva una pressione non sempre positiva. Ho dei ricordi sia belli che meno. Certo è molto bello avere a che fare con un personaggio come Enrico, che ogni volta che si sale sul palco ha qualcosa da insegnarti. Era emozionante. Lui ha una grande concentrazione e carisma e questo te lo trasmette. È stata un'eperienza formativa e per certi aspetti un po' dolorosa.
AAJ: Sei membro del collettivo El Gallo Rojo. Quali sono i vantaggi di questa esperienza?
G.C.: Si ha quotidianamente a che fare con degli amici. Ci scambiamo opinioni, ascoltiamo musica e la valutiamo insieme. È una questione di scambio d'idee con persone con le quali si è scelto di fare un percorso insieme. Questo è molto importante.
AAJ: Per un giovane come te, che ancora non ha raggiunto un elevato livello di notorietà, quanto è difficile vivere di sola musica?
G.C.: È molto difficile. Soprattutto se si cerca di tenere una propria linea, se si cerca di essere coerenti con le proprie scelte. Ci sono pochi spazi dove un musicista non molto conosciuto può proporre la propria musica. È dura, le problematiche sono molte.
AAJ: Parliamo dei tuoi progetti e dei gruppi nei quali sei coinvolto. Iniziamo da Libero Motu, dove s'avverte netta la voglia di sperimentare ed esplorare territori non semplici.
G.C.: È nato come un trio, poi si sono aggiunti altri musicisti. Ho cercato di mettere insieme le mie influenze più importanti, derivate dalle musiche che ho studiato e che amo. Quindi dal jazz, con Ornette e Albert Ayler, passando per Ligeti e la musica contemporanea, cercando di assemblare il tutto tenendo conto dei musicisti coinvolti, che vengono da esperienze diverse. Maurizio Rinaldi e Fabrizio Saiu sono molto dentro una musica di ricerca.
AAJ: Più recentemente c'è stato il lavoro in trio con Stefano Battaglia e Nelide Bandello Da lontano era un'isola un altro album che si mantiene a debita distanza dalle soluzioni di comodo. Qual è il messaggio espressivo che vuole trasmettere?
G.C.: Non c'è un messaggio particolare. Mi piace molto ascoltare e suonare musica improvvisata, quindi cerco con i vari gruppi in cui sono coivolto di farlo in forme diverse. Nel lavoro fatto con loro abbiamo ricavato delle forme musicali da alcune immagini di Bruno Munari, poi da queste immagini abbiamo trovato delle relazioni schematiche dei vari parametri musicali. Interpretando questi schemi siamo arrivati ai pezzi che sono sul disco. Questa è la musica che amo suonare e con la quale mi esprimo al meglio.
AAJ: Anche nei lavori firmati Einfalt l'improvvisazione svolge un ruolo determinante. Quanto sei stimolato dall'imprevedibilità?
G.C.: Tantissimo, è dall'imprevedibilità che nascono le cose più interessanti, anche se cerchiamo di dare una forma all'improvvisazione, di costruire dei percorsi. Però quando succedono delle cose impreviste, lì accade la musica, si accendono gli stimoli più interessanti che ti lasciano qualcosa.
AAJ: Nei progetti di Emanuele Maniscalco ti senti ugualmente al centro del meccanismo creativo?
G.C.: Con lui ci conosciamo da una decina d'anni, siamo cresciuti insieme, c'è un grande feeling musicale. Quando suoniamo la sua musica la sento come se fosse mia, perché abbiamo un modo comune di intendere le cose. Sentiamo la musica allo stesso modo, c'è sinergia e grande unità. Questo accade con lui, ma anche con i musicisti del collettivo El Gallo Rojo. C'è una scelta nel suonare insieme, e questo è molto bello.
AAJ: Questa idea del collettivo rimanda a concetti degli anni Settanta, in un momento storico dove è l'individualismo a farla da padrone.
G.C.: Non so se ci sono le stesse motivazioni che potevano essere di quel periodo. Condividere una passione grande per la musica, diciamo per certa musica, vuol significare che vogliamo creare qualcosa insieme. Non saprei dirti se questo è controcorrente. Al centro dell'idea c'è la voglia di stare con persone che si sono scelte nel corso degli anni per un progetto comune. Cerchiamo di promuoverci e di far girare la nostra musica.
AAJ: Nell'improvvisazione ti rispecchi caratterialmente?
G.C.: Cerco di essere una persona trasparente e questo lo riverso nel mio modo di suoanre, cerco di non bluffare. Cerco di essere me stesso, sia nella vita che nella musica. Non sempre ci riesco. Cerco di esprimermi per quello che sono.
AAJ: Nuovi progetti?
G.C.: Stanno uscendo due CD per El Gallo Rojo. Uno è del gruppo Leibniz, e l'altro è il cinquantesimo dell'etichetta, dove ognuno di noi ha scritto un pezzo Dovrebbero essere disponibili a breve. Poi sto suonando spesso con il gruppo Xnoybis Ensemble, questa estate ci siamo divertiti a fare dei concerti e spero presto di pubblicare qualcosa anche con loro.
AAJ: Inoltre fai parte dell'Associazione Culturale QUID.
G.C.: Sì e per me è molto importante. L'ho costituita con mia moglie e altri amici. Sono il responsabile della parte musicale insieme a Pierangelo Taboni. Facciamo attività formative e performative. Organizziamo laboratori, abbiamo un'orchestra di musica improvvisate, guida all'ascolto di musica contemporanea e jazz. Abbiamo un teatro nel quale ci esibiamo, la domenica facciamo concerti di improvvisazione e non solo.
Foto di Claudio Casanova (la prima e la quarta), Alessandro Ligato (la seconda), Barbara Rigon (la terza) e Giorgio Festa (la quinta).
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