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La piccola sfida: intervista ad Alessandro Gwis

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Dobbiamo cercare di essere presenti nella nostra epoca e saperla capire.
Trovare uno spazio nell'agenda di Alessandro Gwis per effettuare l'intervista non è stato facile. Il pianista è impegnato in diversi progetti, tra i quali un prossimo disco in solo, il primo di una carriera che lo ha visto protagonista di diverse stagioni con gli Aires Tango di Javier Girotto, e che ora si sta delineando in un percorso autonomo capace di raccogliere consensi e riservare sorprese. La sua è una sfida che lo porta a far dialogare ambientazioni acustiche e sintesi elettroniche: è la sfida per arrivare a sentirsi un musicista moderno.

All About Jazz: Cosa stai registrando in questo periodo?

Alessandro Gwis: Sto iniziando le registrazioni per un mio progetto personale, ma poi sono stato contattato per una tournée di musica leggera, un tipo di lavoro che ho fatto per molto tempo e che mi ero ripromesso di non fare più, ma a Samuele Bersani non ho saputo dire di no. Quindi ho posticipato un po' il resto delle mie attività, tra le quali un disco in solo.

AAJ: Puoi anticiparci qualcosa?

A.G.: Forse ci sarà un ospite, anche se non so quanto possa essere d'aggiunta e non di sottrazione una soluzione del genere. Mi piacerebbe avere con me Antonello Salis, perché è sicuramente in grado di arricchire i colori e le atmosfere di un disco. Farò sei o sette pezzi in solo e poi vedremo, non c'è nulla di definito.

AAJ: Si tratta della prima prova in solo?

A.G.: Sì, ho fatti un paio di album in trio e anche con il trio Wasabi, che poi in realtà si è trasformato per lungo tempo in un quartetto vista la presenza di Cuong Vu, con il quale abbiamo suonato molto dal vivo. In questo momento sto approfondendo l'interazione tra pianoforte ed elettronica; è un aspetto che mi incuriosice molto. Anche quando suono con gli Aires Tango ci sono dei momenti in solo, o in duo, dove trovo delle possibilità che mi stimolano molto. Mi piacerebbe metterle nero su bianco.

AAJ: Quindi ci dobbiamo attendere un utilizzo maggiore dell'elettronica?

A.G.: Sì, più esteso, anche se il colore portante rimarrà quello del pianoforte. Fare un disco è anche uno stimolo per la scrittura. I dischi si vendono poco e niente, il negozio di dischi è un museo, l'album non è più così determinante, ma è un eccellete pretesto per comporre e ovviamente è un modo per fare una fotografia della propria attività e della propria estetica.

AAJ: Una volta in studio, cosa chiedi a chi suona con te?

A.G.: In genere preferisco chiedere poco, anche perché si presume che le prove fatte in precedenza abbiano chiarito i diversi aspetti della musica da suonare. L'ideale è trovarsi in un organismo che respira autonomamente, la comunicazione verbale spesso disturba, più di quanto non crei, la musica improvvisata è una disciplina in cui all'atto pratico meno si influisce verbalmente e più si guadagna. Quando si sta per registrare, o per salire sul palco, più spazio lasci alla sensibilità di ognuno e meglio è.

AAJ: Come utilizzi lo studio di registrazione?

A.G.: Gli strumenti che oggi ti offre uno studio di registrazione sono talmente potenti che non utlizzarli è come un'autocastrazione. I dischi subiscono una buona dosa di editing, la fase di post produzione - anche se nel jazz non se ne fa un uso massiccio come nel pop - è parte integrante del processo creativo. Non so se sia un bene o un male. Sono abbastanza vecchio da aver fatto i dischi in analogico negli anni Ottanta, dove il metabolismo creativo era completamente diverso, se non altro perchè avevi meno possibilità di correzione e intervento a posteriori. Per fare un esempio, anche Hancock, in un'intervista recente, ha dichiarato che i musicisti di oggi presentano uno standard artigianale nei propri dischi di gran lunga superiore a quello che è la realtà. Si riferiva anche a se stesso, alla tendenza a pulire e correggere ogni cosa a svantaggio della spontaneità, della genuinità e dell'energia. Un po' sono d'accordo con lui.

AAJ: Perché un percorso solista?

A.G.: Essenzialmente è iniziato perché mi piace scrivere. Avevo tanti pezzi fatti con varie realtà, mi piace scrivere e sono un po' vanitoso [ride]. Fin da piccolo suono le tastiere, amo molto l'elettronica degli ultimi anni, le possibilità offerte dal computer, e certi artisti come Fennesz e Alva Noto. La mia piccola sfida è cercare di integrare una comunicazione musicale più acustica con le intuizioni sonore - che mi sembrano assolutamente attuali e urgenti - di artisti come quelli che ho citato. È difficile far comunicare i due mondi, però è la mia sfida, vorrei attualizzare l'arsenale sonoro di cui oggi si dispone andando a fare un concerto di jazz.

AAJ: Cosa cerchi di esprimere con la tua musica?

A.G.: Cerco di comunicare. Nel senso che l'autoreferenzialità mi fa un po' paura. Penso sempre che ci debba essere una circolazione di energia tra chi scrive e chi ascolta. Mi attira molto la cultura latino-americana perché porta in sé questa urgenza comunicativa. Quindi, prima ancora di cosa, mi interessa sapere che il canale comunicativo sia sempre attivo. Dobbiamo cercare di essere presenti nella nostra epoca e saperla capire.

AAJ: A proposito di cultura latino-americana, a che punto è l'esperinza con gli Aires Tango?

A.G.: Adesso vorremmo ricominciare. Dopo tanti anni c'è stata una fisiologica flessione. Abbiamo molti progetti solisti, abbiamo fatto tantissimi concerti insieme. La prossima estate dovremmo però ricominciare a suonare dal vivo.

AAJ: Dopo tanti anni dove si trova lo stimolo per suonare insieme?

A.G.: Lo stimolo dopo un po' te lo devi anche andare a cercare. Evidentemente c'è una leggera usura. Però lo stimolo nel nostro caso sta nel rinnovamento del linguaggio. La cifra espressiva degli Aires Tango tende a esaurirsi in quanto è una strada con determinati connotati. Il rischio è di allontanarsi troppo da quella strada. Il gruppo non si può snaturare. Bisogna ruotare intorno a un'area espressiva mettendoci sempre qualcosa di nuovo.

AAJ: Quali elementi, derivanti dagli Aires Tango, confluiscono nei tuoi lavori?

A.G.: Nei primi anni ce ne erano molti, anche per un fattore di consuetudine. Certe cose ti entrano nelle dita senza che te ne accorgi. Ora sempre meno. Perché mi sto riavvicinando a un linguaggio più jazzistico. Quindi in realtà sto ricorrendo sempre meno a quel tipo di espressione musicale.

AAJ: Prima accennavi al progetto Wasabi, continuerà ?

A.G.: Lorenzo (Feliciati, ndr) ha un progetto solista che sta portando avanti e ci siamo dati appuntamento a dopo l'estate. Mi piacerebbe suonare anche con Cuong Vu, anche se forse sarà in trio.

AAJ: Quanto è stimolante lavorare con musicisti fantasiosi come Cuong Vu?

A.G.: Con Cuong è una bella esperienza. Ci sono stati dei concerti in cui siamo arrivati a dei livelli energetici veramante elevati. Non è un caso che lui abbia suonato con tanti grandi della storia del jazz e non solo. È un musicista con un linguaggio estremamente attuale. Questa è la cosa che di lui mi interessa di più, è un musicista moderno. È di area afroamericana, ma lui suona il suo tempo. Del resto è quello che cerco anche io. Un po' di stanchezza nel sentire il girare attorno al mondo del be-pop io l'avverto. Dico questo senza polemica, ma il jazz è pieno di grandi musicisti, ma è un po' strano che un ragazzo della nostra era dia le risposte che davano i musicisti americani negli anni Quaranta. C'è qualcosa che non va in questo. La ricerca del linguaggio deve evolversi.

AAJ: Ti senti un musicista moderno?

A.G.: La risposta sarebbe lunghissima. Questo millennio non lo sta capendo nessuno. È un periodo particolarmente incompresibile ai contemporanei. Tutti i periodi sono stati incomprensibili ai contemporanei, ma questo più degli altri. Cerco come persona, prima ancora che come musicista, di stare nel mondo in cui vivo, cerco di capirci qualcosina. Vorrei dare delle giuste risposte. Mi ci sento, ma poi per umiltà, rifuggo dai massimi sistemi, dalle ambizioni troppo ad ampio raggio, cerco di raccontare quello che vedo, il punto è capire se sto vedendo le cose giuste.

Le foto di Alessandro Gwis e Aires Tango sono di Claudio Casanova.


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