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Kenny Werner: nuovi suoni trascendenti
ByL'ispirazione di un artista è una cosa curiosa. Assume svariate forme, differenti prospettive, che vanno dal personale all'universale. Molto spesso arriva inaspettata. S'intreccia con la vita e le vicissitudini. Come ebbe a dire Charlie Parker, "Se non la vivi, non uscirà mai dal tuo strumento."
Per Kenny Werner, pianista, compositore e arrangiatore, la musica si è evoluta, con il passare del tempo, fino a diventare un'espressione fedele del suo essere, e non soltanto una sequenza di note sullo spartito.
"Per me, la musica non è il messaggio, è il messaggero," afferma. "Se non hai qualcosa da esprimere attraverso la musica, se tutto ciò che puoi dire è 'Ecco, ascolta che bella musica,' allora potrai arrivare solo fino ad un certo punto. Se invece si usa la musica per descrivere ciò che non si sa esprimere a parole, ciò che si riesce a malapena ad abbozzare, ecco, solo allora la musica sarà qualcosa di profondo."
L'auto-espressione, l'esternazione del suono della propria voce, sta conquistando un posto speciale nelle sue convinzioni musicali. Come insegnante alla Steinhardt School of Music, presso la New York University, ha a che fare con molti giovani talenti, "Ma noto che per i giovani musicisti è soltanto musica. Suonano questo e quel tipo di musica. Per me il significato va ben oltre la parola 'musica,' figuriamoci poi la parola 'jazz.' Sono parole che semplicemente scompaiono. È come quando ti tappi le orecchie e ascolti la tua voce dall'interno. Si trasforma in un dialogo interiore tra te e i tuoi impulsi, i tuoi desideri, i tuoi limiti. Ecco cosa diventa. E ti chiedi, 'ehi, ma che musica è mai questa? Non lo so proprio.' Ti guardi intorno per vedere chi la sta seguendo e chi no. Più diventa una cosa del genere, più la musica si rafforza come la voce di qualcosa. È una cosa che ti succede con l'età, a prescindere da quanto sei bravo a suonare."
Questo modo di concepire la musica si palesa nell'ultima fatica di Werner, No Beginning No End (Half Note Records, 2010). Un disco molto intimo, che lo stesso Werner definisce "la musica più importante che abbia mai scritto." E nasce in seguito alla tragedia vissuta da Werner e da sua moglie Lorrainela morte dell'amata figlia sedicenne Katheryn in un incidente d'auto nel 2006. È stata una durissima prova, affrontata dai coniugi Werner con l'aiuto della fede e con la forza della loro integrità, che gli ha permesso di elaborare la perdita e andare comunque avanti.
Il pianista ne ha tratto l'ispirazione necessaria per creare un disco emozionante e profondo dal quale traspaiono non solo le emozioni legate al tragico incidente, ma anche sentimenti esistenzialiche la vita non è un fine e che la morte non è una fine. Di grande effetto espressivo è anche il contributo del sassofono di Joe Lovano e la voce potente di sua moglie, Judi Silvano.
La suite di apertura è divisa in movimenti intitolati "Death Is Not the End," "Loved Ones," "The God of Time," "Astral Journey" e "We Three," eseguiti dall'orchestra, da Lovano, da Werner e dalla Silvano. "Visitation: Waves of Unborn" è un etereo brano eseguito da un coro di 36 voci diretto da Brian P. Gill, mentre "Cry Out" prende vita grazie ad un quartetto d'archi e "Coda," che chiude il disco, è suonato da Werner, accompagnato da arpa, vibrafono e marimba.
È una musica potente. La si potrebbe anche definire coraggiosa, perché non nasconde nulla. Werner affronta la situazione di petto e a testa alta. Nel brano di apertura, i fraseggi impetuosi di Lovano e l'esplorante voce della Silvano culminano in un'improvvisa esplosione delle percussioni che dura una quarantina di secondiun malevolo presagio di sventura. L'intento di Werner è chiaro. Fa notare come i fraseggi iniziali rappresentino l'entusiasmo di Katheryn mentre guida verso casa dopo il suo corso di arti marziali, in quell'inizio di Ottobre del 2006. Le fragorose percussioni rappresentano l'incidente. Le successive battute di Lovano, ricche e piene, ci riportano secondo Werner lo spirito della figlia: "Ti ritrovi all'improvviso nel bel mezzo di una schiera di angeli, e sei ovviamente confusa."
Non è il classico tributo musicale a un amico o a una persona cara che non c'è più, esempi dei quali costellano la storia della musica. Affronta la tragedia di petto e contiene sia momenti di angoscia sia momenti di bellezza. Dà anche il senso di un viaggio musicale, che illustra un percorso spirituale guidati dalla fede di Werner. La fede e la filosofia di Werner, di ispirazione Orientale, sono maturate nel corso degli ultimi vent'anni, ma non ci tiene a farne pubblicità. Non è qualcosa che impone, la sua musica entra in sintonia con l'umanità, a prescindere dalle convinzioni. Musica forte e appassionata, nulla più. " Tutto viene da una pace profonda, e tutto vi ritorna. Questo è il fondamento della vita o, se ci credi, tra le vite," dice. "Quindi per quanto grave fosse stato, e per quanto duramente ci avesse colpito, si doveva tornare alla realtà. Non importa quel che hai passato, tanto alla fine è lì che devi tornare. In un certo senso, il disco è più una pièce teatrale. E finisce per essere una rivelazione, perché mi rendo conto che è proprio lì che la mia coscienza musicale vuole essere. Come un film; un film drammatico. Quando la melodia cela un significato, ciò ha a che fare o con una vera emozione o con un'azione. Se dici: in queste battute cominciavi a trovare la luce. In queste altre, eri di nuovo deluso."
Kenny e Katheryn Werner
Questi sentimenti trascendono i confini dell'ultimo disco, e accompagnano Werner nel suo viaggio musicale, che è ben lungi dall'essersi concluso.
"Se un musicista ha dei legami emotivi con gli accordi," dice, "può usarli per ottenere degli effetti davvero notevoli. Un certo accordo mi solleva, un altro mi ricorda la futilità delle cose; un altro ancora la nega. Riesci a comporre una pièce. Ai miei studenti dico sempre che non basta conoscere gli accordi. Devi avere una relazione con loro. È un gioco nel gioco... gli studenti, e anche molti altri musicisti, non sono così profondi come potrebbero essere. Pensano alla musica. Se ti limiti a pensare alla musica, riesci ad arrivare solo a un certo punto."
Werner, che dedica molto tempo all'insegnamento, vuole che i suoi studenti vivano la musica con emozione e consapevolezza, e che le loro esperienze personali giochino un ruolo essenziale in tutto ciò.
"Pensate al giorno nel quale è nato vostro figlio. Avete composto qualcosa nei giorni seguenti? Non è la musica più profonda che abbiate mai scritto? O pensate quando avete rotto una relazione, poiché non tutti hanno avuto un'esperienza così devastante come la mia cui pensare. Quanto eravate tristi? Come avete suonato quel giorno? Cosa avete scritto? Quanto era sincero? La cruda verità, dico sempre, è che la tristezza svanisce," dice ammiccando." La tristezza è stata una delle motivazioni più forti che ha portato a comporre la musica che già conoscetee ora sapete che ha uno scopo."
Perché alla fine anche l'emozione più intensa svanisce," dice Werner. "Il mio problema è riuscire a scrivere qualcosa con uno stimolo meno intenso di quello provocato dalla tragedia che ho vissuto, perché nulla potrà colpirmi così duramente nelle mie emozioni. Voglio dire, come posso andare avanti trovando un significato in quel che scrivo? Perché ho molti margini di miglioramento nella mia tecnica di direzione orchestrale. È un apprendimento che durerà tutta la vita. Ma come trovare una motivazione altrettanto profonda? D'altro canto, mi auguro che il destino non mi fornisca mai una motivazione così profonda. No, grazie tante, ma non ne vale la pena, solamente per comporre della musica."
Comunque, "Mi ha fatto raggiungere un livello più alto nella mia comprensione della musica. E non intendo tornare indietro. È troppo coinvolgente," spiega.
Vivere la vitadiceva Charlie ("Bird") Parker, e Werner sottoscrive in pieno apre la via verso una saggezza più alta. È una cosa che Werner ammira in musicisti come Herbie Hancock e Wayne Shorter. "Herbie si muove come una foglia al vento. Non credo di essere capace di fare lo stesso. Immagino si debba arrivare ai 70 anni per capire di cosa si tratti. Non ti puoi allenare a diventare come lui. Devi arrivare alla sua età. Lo stesso vale per Wayne. Parlavo di Wayne con Chris Potter. Oggi non c'è nessuno più versatile di lui con gli strumenti a fiato. E tuttavia non riesce a capacitarsi di quanto sia semplice per Wayne far qualcosa che trascende la sua bravura. Secondo me dobbiamo rifarci al principio orientale del trascendentalismo. Trascendere significa che le cose che riteniamo importanti scompaiono. E riusciamo a entrare in sintonia con ciò che resta."
"È quel che tento di esprimere" nel brano No Beginning No End, spiega Werner. Se non trascendi, le cose che ti succedono ti prendono a calci e a pugni. O le cose che accadono ti sollevano. Le cose brutte sono le nuvole, mentre la parte trascendente è il sole. Perché le nuvole sono diverse ogni giorno. Scompaiono e ritornano. Talvolta sono così spesse che pensi che il sole non esista più. Ma non puoi dubitare del sole. Le nuvole cambiano di giorno in giorno, e talvolta il cielo è sgombro. Perciò aspirare al trascendente significa badare alle nuvole il meno possibile, concentrandosi su ciò che non cambia mai. Su ciò che è sempre. La piena luce."
Aggiunge, "La considero una tecnica di sopravvivenza. Siamo artisti. Se non ti accade nulla, cosa puoi raccontare? E se non lo esprimi con la voce, ti può anche strozzare."
Parlando di composizione e direzione d'orchestra, Werner dice: "Mi aiuta molto avere una sorta di copione mentale. E se quel copione è la mia stessa vita, è l'aiuto più valido che si possa desiderare. Inoltre è utile annotare sugli spartiti il significato delle varie frasi, così che i musicisti ne siano consci. È un approccio innovativo che non avevo mai sperimentato in modo così deciso come questa volta."
No Beginning No End però non nasce a seguito della morte di Katheryn, in realtà è il punto di arrivo di un'evoluzione. All'inizio del 2006, prima dell'incidente, a Werner fu chiesto di scrivere un brano per archi da eseguire al Massachusetts Institute of Technology (MIT) in occasione dell'ottantesimo compleanno di Bradford Endicott, un noto mecenate locale. Werner era molto occupato con altre composizioni e con le esibizioni, e si organizzò per scrivere il pezzo che gli avevano richiesto nell'autunno del 2006. Dopo il tragico incidente, il progetto cadde nel dimenticatoio per un po.' Per distrarsi, Werner accettò l'invito di un amico andò per un periodo a Porto Rico, pensando di annullare il progetto.
"Quando fummo laggiù, cominciammo a meditare e cantare," una tradizione di famiglia ormai ventennale, commenta. "Quando sei in una situazione così brutta e ti dedichi a quel tipo di pratiche, puoi avere dei momenti di illuminazione. Sapevo riconoscerli perché mi portavano a scrivere dei versi." Il risultato fu una poesia sulla morte e sul passaggio, sul rapporto tra la vita e l'anima, "il viaggio che continua, contrapposto all'illusione che tutto cominci con la nascita e termini con la morte."
"Mentre scrivevo la poesia, ho avuto la rivelazione: dovevo scrivere un brano basato sulla poesia, costruendovi la musica intorno," racconta. "Avevo in mente i personaggi. Avrei chiamato Judi [Silvano] nel ruolo di narratrice, simile a quello di Our Town, pièce vincitrice del Premio Pulitzer. O simile alla radice nella musica Indiana. La base di ogni raga è chiamata 'sa.' Ecco, lei sarebbe stata il 'sa.' La radice da cui tutto trae origine. Joe [Lovano] avrebbe interpretato il personaggio principaleKatheryn. E l'orchestra avrebbe ruotato intorno a questo, ma la voce sarebbe rimasta stabilmente al centro. Doveva essere la voce della saggezza.
"All'improvviso capii cosa volevo fare," dice Werner. Scrisse incessantemente, giorno e notte, pensando a un ensemble di archi che volteggiasse intorno alle parole. Era costantemente in contatto con Fred Harris, il direttore dell'orchestra del MIT. "In un certo senso, mi ha restituito la voglia di andare avanti. Non c'era tempo per sentirsi giù. E quando dovevo esibirmi, scrivevo dopo essermi esibito. Prima di Marzo [del 2007] avevo già un paio di movimenti pronti, e quindi avevo qualcosa da provare. E a fine Marzo l'avevo finita. Ho interagito moltissimo con il direttore dell'orchestra [Harris]. Avendola scritta di getto, c'erano ovviamente molti errori e anche cose che in realtà non avevo espresso al meglio. O cose che non vedevo sullo schermo del mio computer. Fred Harris è stato meraviglioso. Ci abbiamo lavorato insieme moltissimo. Registrava ogni prova. Ne discutevamo. Fatto così sarebbe meglio. Fatto cosà meglio ancora. Era coinvolto nella composizione tanto quanto me. E a Maggio l'abbiamo eseguita al MIT."
Werner dice che il pezzo era grezzo, "incompleto, rispetto a come l'avevo pensato. Quando componi scrivi qualcosa, ma è solo quando riscrivi che la cosa assume un senso. Hai una visione d'insieme di ciò che hai già scritto, che ti aiuta ad affinare il risultato; un po' più di questo; un po' meno di quello. Comunque conteneva momenti molto intensi, e il pubblico se ne rese conto."
Parlando di brani che vengono commissionati, Werner dice che spesso si suonano nell'occasione per cui sono stati composti, ma poi vengono accantonati del tutto o quasi. "Ma mi sono ripromesso di suonarla ancora, a New York. Accompagnato da musicisti di prim'ordinese non tutti professionisti, almeno alcuni professionisti insieme agli studenti più dotatie registrando la performance. Voglio davvero che venga pubblicata." Nel 2008 Jeff Levenson, della Half Note Records, ha ascoltato la registrazione del concerto e ha deciso di pubblicarlo. Werner ha riscritto ed espanso il concetto, ma con lo stesso tema in mente del "nessun principio, nessuna fine".
Con l'aiuto di Dave Schroeder, il responsabile della sezione Jazz della New York University Steinhardt School, ha raccolto i musicisti necessari e li ha riuniti nella sala concerti della New York University per la registrazione nell'Agosto 2009. "Avevamo preventivato quattro o cinque giorni. Dopo neanche tre giorni avevamo finito," commenta Werner. "Ecco come è andata. Ho avuto la rara opportunità di riscrivere qualcosa. Ne avevo una registrazione personale fatta nel 2007. L'ho potuta riascoltare, valutarla nuovamente e capire che c'erano alcune parti caotiche, ma proprio perché il caos deve essere rappresentato in alcune parti della pièce.
"Gli incidenti sono quasi sempre momenti caotici. Ma non ho la tecnica necessaria, per quanto riguarda la direzione d'orchestra, per ottenere il caos proprio quando serve senza dover cambiare qualcosa. Ci sono compositori che scrivono di getto senza bisogno di una seconda passata. Io invece devo riascoltare e spesso riscrivere. Dovevo trovare il caos che potesse funzionare, e posizionarlo al punto giusto, che non è detto fosse dove avevo pensato inizialmente. Poter rivedere le cose a posteriori è proprio servito a migliorare il risultato. Grazie a questo lavoro, al tempo che abbiamo avuto per provare e al livello dei musicisti, devo dire che la performance mi ha soddisfatto."
"Questa è la storia di quel brano," commenta Werner. "Conservando il dolore espresso della melodia, ho potuto rielaborare il resto un paio di anni dopo senza perderne l'angoscia. Il brano corale ["Visitation: Waves of Unborn"] è frutto di una specie di intervento divino. Sia Jeff sia mia moglie Lorraine pensavano che ci dovesse essere una parte per coro. E scrivere questa parte mi ha convinto che avrei dovuto scrivere non solo una parte, ma un intero brano per coro, compagno del brano principale. Alla fine scrissi questo brano, ma non la parte per coro. E fu una gran cosa. A quel punto avevamo una suite per fiati a cinque movimenti, un coro, un quartetto d'archi e infine ciò che definisco 'Coda,' nel quale suonano alcuni dei percussionisti e l'arpista, Riza Hequibal, che suona con grande maestria e che è anche un'abile improvvisatrice. Riza ha suonato esattamente ciò che avrei voluto, che io l'abbia scritto o meno. Ha capito cosa volevo esprimere e quando doveva suonarlo."
Anche Werner interviene in "Coda," riprendendo l'idea di un raga Indiano.
Il compositore è anche prodigo di elogi per Lovano, per il modo di assecondare con la musica ciò che Werner ha scritto e ciò che provava.
"Non so chi altri avrebbe potuto fare ciò che ha fatto lui perché gran parte di quel che ha eseguito era scritto. Scritto espressamente per lui," dice riguardo alla partecipazione di Lovano. "Potreste chiedervi perché l'ho dovuto scrivere, invece che lasciare che suonasse a modo suo. La risposta è che era necessaria un'assoluta precisione, ed è la stessa cosa che tento di ottenere con il mio trio. Così preciso che si devono sentire le cose fluire una nell'altra. E la precisione deve nascere da un'atmosfera rilassata; le foglie di un albero che si muovono al vento. Chi può prevedere come si muoveranno? Ma ciò nonostante si muovono perfettamente. Ondeggiano avanti e indietro. La band si muove allo stesso modo, ondeggia allo stesso modo. Serve una grande precisione per poterlo fare con naturalezza. Ascoltando il quarto movimento e parte del secondo, si capisce come Lovano si debba muovere con molta precisione. E si sente la band che lo sostiene quasi come se ne stesse accompagnando l'assolo. E l'unico modo per riuscirci è che lui suoni ogni singola nota esattamente quando e come deve essere suonata.
"Questo rappresenta l'evoluzione artistica di Joe. Da giovane, era inarrestabile, ardente. Non c'era batterista, non c'era pianista che gli potesse tener testa. Anzi, quasi meglio che il pianista non ci fosse per nulla. Ma col tempo si è trasformato in un musicista capace di infondere saggezza in ogni battuta."
Lovano e la Silvano non hanno registrato dal vivo con l'orchestra, ma i risultati sono comunque notevoli. "Non sembrano seguire alcun tempo, ma la sintonia è perfetta," dice Werner. "Ha registrato in un buco di studio, senza essere diretto. È incredibile, specialmente pensando che non c'era un direttore d'orchestra a dirgli, 'OK, a questo punto i clarinetti bassi ti vengono incontro.' Se la cava da solo."
Aggiunge Werner, "Non credo che Joe riuscirebbe più a suonare neanche una frase senza metterci saggezza e profondità. Non riesce a suonare solamente delle note. Se c'è un vantaggio nel crescere, ecco è questo. Alcuni diventano più saggi invecchiando, ma non tutti quelli che invecchiano diventano saggi. Ci sono musicisti per i quali la saggezza, la profondità... Wayne Shorter. Elvin Jones. Herbie Hancock. Anno dopo anno, sembra che riescano a spremere più significato, più profondità da ogni suono. Due note suonate da Wayne Shorter ne spazzano via migliaia suonate da un giovane. Joe è così. Ogni frase ha la sua profondità, la sua saggezza, il suo significato e la sua grazia. Joe sa essere classico e innovativo insieme. È incredibile. Suona cose nuove in modo classico. Di tutti i grandi ancora in circolazione, lui è la summa, il compendio di tutta la tradizione musicale. Joe è un purosangue. Io mi sento un piolo quadrato in un foro rotondo. Non sono Jazz al cento per cento, né questo, né quello... una vita spesa a cercare i parametri che mi rappresentino appieno. Spero che un giorno qualcuno lo apprezzi."
Werner ha ricevuto la Guggenheim Fellowship per il suo lavoro e spera di poterlo suonare dal vivo a New York: magari alla Alice Tulley Hall, alla Carnegie Hall, alla Zankel Hall o al Jazz at Lincoln Center. "Se riusciremo a farlo, lo faremo allo stesso modo: l'ensemble di fiati, il coro, il quartetto d'archi e la coda."
La musica che Werner ha creato per questa occasione simboleggia il riscatto dopo una tragedia. Per usare le sue parole, è l'affrontare di petto l'avversità per andare avanti. Il vedere oltre le nuvole che aiuta a spazzarle via.
Comunque la si consideri, si tratta di musica di grande effetto. Espressiva. Espansiva. Un notevole risultato per un compositore e arrangiatore affermato. È avvincente, è quel genere di musica che sta sul confine indefinito tra la Classica e il Jazz. Fa emergere le emozioni più profonde, e un ascolto attento fa immaginare, fa "vedere" la musica stessa, oltre a indurre alla contemplazione.
Werner cita compositori Francesi quali Ravel e Messiaen tra i suoi principali ispiratori per quanto concerne la composizione. Anche "La sagra della primavera" di Stravinskij lo ha molto influenzato ai suoi esordi. E tra gli autori Americani, Werner menziona Bob Brookmeyer, anche se il suo preferito tra i compositori per grandi orchestre rimane Thad Jones.
Werner entrò nella Manhattan School of Music alla fine degli anni Sessanta e si diplomò in pianoforte classico; nel 1970 si trasferì alla Berklee School of Music. Allora forse non pensava chein aggiunta alla sua promettente attività da pianistacomporre e arrangiare potessero diventare attività così rilevanti.
Dopo aver esordito sulla scena Jazz newyorchese, ha finito per comporre la sua opera prima per una grande orchestra (quella di Mel Lewis), "Compensation," la cui realizzazione lo ha "impegnato per un anno o due... ero ostacolato anche da una terribile dipendenza dalla cocaina. E poi odiavo usare la matita. Sono mancino, e usare una matita per un mancino è uno strazio. Insomma tra un problema e l'altro, ci ho impiegato uno o due anni per scrivere quel pezzo. Tornavo a casa la sera e riuscivo a scrivere solo se trovavo un po' di \ roba per farmi. E come puoi ben immaginare, non capitava spesso," ammette.
"Avevo molto da imparare," dice. "Ero un povero studente. E quindi sbagliavo anche in pubblico suonando i miei pezzi. Dopo quell'esperienza, scrissi un brano intitolato 'Bob Brookmeyer.' Non viene suonato granché, ma mi piacerebbe rispolverarlo e suonarlo di nuovo. Conteneva mille battute. E i ragazzi dell'orchestra mi dicevano che non avevano mai suonato brani così lunghi. Così capii che in effetti era troppo lungo, e lo riscrissi."
Grazie al lavoro fatto per Mel Lewis, ebbe richieste di collaborazione anche dall'Europa: la Danish Radio Orchestra, la UMO Jazz Orchestra in Finlandia, la Metropole Orchestra in Olanda e la Stockholm Jazz Orchestra in Svezia. "Le mie prime esperienze di composizione per grande orchestra sono state per la Metropole. È così che ho imparato," dice. "In pratica facevo qualcosa, mi accorgevo di aver combinato un casino e mi serviva da lezione per la volta successiva. E i brani erano basati su temi molto forti, con i quali compensavo la mia mancanza di esperienza in tecnica orchestrale."
Anche Donald Erb, un compositore di Cleveland, lo ha influenzato parecchio. Werner dice di Erb "è un compositore davvero instancabile, e mi ha cambiato anche come persona. Ho partecipato con lui al seminario tenuto da Gunther Schuller a Sandpoint, in Idaho. Mi ha fatto capire che comporre era ciò che desideravo davvero fare. Io non volevo diventare un musicista Jazz. Volevo scrivere musiche per orchestra e colonne sonore per film. Finite le scuole ero così incasinato che mi lasciai trascinare dalla corrente. Prima di rendermene conto, divenni un musicista Jazz. Donald Erb ha risvegliato il mio desiderio di scrivere per orchestra, che rimane vivo tutt'ora."
Come pianista, il giovane Werner ascoltava Bill Evans e altri grandi del Jazz e intanto lavorava allo sviluppo di un suo stile. "Devo dire che quando Keith Jarrett venne alla ribalta fece tabula rasa di tutto ciò che avevo imparato. Suonava esattamente come avrei voluto fare io. Gli altri suonavano come io credevo dovessero suonare. Keith suonava come il mio cuore avrebbe voluto suonare. Negli anni Settanta c'è stato solo Keith e il suo meraviglioso quartetto con Paul Motian, Dewey Redman e Charlie Haden. Era il mio idolo. Era per me il quartetto per antonomasia, come quello di John Coltrane. Ascoltavo i loro dischi fino alla nausea."
"Credo di dover dire che Bill Evans mi ha influenzato più degli altri, poiché sento ancora chiaramente l'influsso di Bill Evans nel mio modo di suonare. Suono qualcosa e mi accorgo che viene da uno dei suoi momenti più felici in dischi come You Must Believe in Spring (Warner Bros., 1977). Keith era il mio preferito, ma non son mai stato abbastanza bravo da suonare come lui. Ma se mi ascolto, posso dire di suonare come Bill Evans."
L'aver studiato il modo di suonare di Jarrett e della sua band, secondo Werner, "ha chiuso quella che chiamerei la fase della mia vita da studente canonico. Non ho certo finito di imparare, ma non traggo più ispirazione da altri pianisti: direi che il mio modo di suonare il piano ora risente dell'influenza dei compositori per orchestra. Sempre più mi ritrovo a non pensarmi come pianista, e a considerare il piano come a un'orchestra: un corno, nelle sue ottave intermedie: strumenti ad arco e flauto, nei suoi registri più alti. Ottoni e contrabbassi nei suoi registri più bassi. Altre volte penso all'oceano, o ad altre cose che possono sembrare sciocche. A tutto fuorché alla musica, perché non voglio diventare come certi pianisti, anche miei contemporanei, molto dotati e intelligenti, con il difetto di aver ascoltato troppi altri pianisti. Non mi ci riconosco. Personalmente, se avessi dato importanza ai trio di piano e a quel che facevano gli altri, non avrei potuto essere abbastanza profondo.
"Ma se mi siedo e fingo che nessuno abbia mai suonato il piano come sto per fare io, e se riesco a visualizzare la scena, allora riesco anche a immaginarmi un'orchestra. O una macchina. Talvolta suono un ritmo e mi immagino che si tratti del ritmo di una macchina. O un oceano. Qualcosa di totalmente avulso dal piano, e da un pianista. Riesco a librarmi in un modo solo mio. Dalla metà degli anni Ottanta in poi, non c'è stato un pianista dal quale io abbia tratto ispirazione. Mi ispirano molto di più l'immaginazione e i suoni del mondo," compresa la musica Indiana.
Un'ispirazione che non proviene direttamente dalla musica di quel Paese, bensì indirettamente da quella di Miles Davische a volte si ispirava a quelle sonorità.
"Uno dei dischi che mi hanno più ispirato è In a Silent Way (Columbia, 1969) di Miles Davis. La caratteristica peculiare di tutte le band di Miles Davis è che non ti concentri sul solista, anche se spesso si tratta dei migliori solisti in circolazione. I brani sono pervasi da una vibrazione, un Tutto che ti trascina. Che con In a Silent Way raggiunge il suo apice. Lo metto su e comincio a sognare. Ti porta a un altro livello di coscienza. Cercavo una realtà alternativa e un qualunque mezzo per arrivarvi; e ne trovai qualcuno buono, e altri pessimi. Quel disco è stato certamente molto importante."
Quelle influenze toccano tutti gli aspetti della carriera di Werner. Ha cominciato a lavorare sul trio di piano nei primi anni Ottanta, (principalmente con il contrabbassista Ratzo Harris e il batterista Tom Rainey); così come ha lavorato con cantanti quali Roseanna Vitro e Betty Buckley, e ha pubblicato dischi raffinati quali Lawn Chair Society ( Blue Note), del 2007.
Rimane un esecutore superlativo, avendo suonato con personaggi del calibro di Archie Shepp, Toots Thielemans, John Scofield, Bill Frisell, Pat Metheny, Joe Henderson, Dave Douglas, Potter, Ron Carter, Jack DeJohnette e molti altri. Il suo piano trio più recente lo vede protagonista con Ari Hoenig alla batteria e Johannes Weidenmueller al contrabbasso.
Quest'anno l'etichetta Francese Outnote ha pubblicato il suo New YorkLove Songs, un disco da solista. "Volevano che scegliessi una città per la quale comporre ed eseguire delle odi," dice Werner. "Ho scelto New York. È la città che preferisco." Werner non ha voluto comporre brani che rimarcassero le complessità del pianoforte.
"Ho evitato di usare brani d'effetto dal punto di vista dello strumento. Invece ho scritto dei pezzi che portassero 'in un certo stato,'" spiega. "È l'unico disco da me composto che permetta di entrare in una specie di stato ipnotico quando lo si ascolta, senza essere disturbati da alcun virtuosismo. Di solito riesco ad ascoltare un mio disco solo una volta. Ma questo potrei ascoltarlo tutto il giorno, perché mi permette di focalizzare la mia coscienza in un punto ben preciso. Mi fa lo stesso effetto di In a Silent Way. E mi emoziona per il suo positivo effetto sulla mia energia spirituale.
"In un certo senso penso che sia stato ben più importante che fare tanti diversi brani per piano. È una cosa che faccio sempre meno. Non che mi sia mai lasciato incantare dall'idea di diventare un virtuoso del piano. Ma ora meno che mai."
Qualunque direzione prenderà, possiamo essere certi che la destinazione di Werner è un luogo dove l'emozione prevale e l'arte può soltanto prosperare.
Discografia selezionata:
Kenny Werner, With A Song In My Heart (Venus Records, 2008)
Kenny Werner, Lawn Chair Society (Blue Note Records, 2007)
Kenny Werner, Democracy: Live at the Blue Note (Half Note, 2006)
Toots Thielemans and Kenny Werner, Toots Thielemans and Kenny Werner, (Universal, 2002)
Kenny Werner, Beauty Secrets (RCA Victor, 2000)
Kenny Werner, Unprotected Music (Double-Time, 1998)
Kenny Werner, A Delicate Balance, (RCA, 1998)
Joe Lovano, Celebrating Sinatra (Blue Note, 1997)
Lee Konitz, Zounds, (Soul Note, 1993)
Betty Buckley, Children Will Listen, (Sterling Records, 1993)
Roseanne Vitro, Reaching for the Moon, (Chase, 1993)
Tom Harrell, Sail Away, (Contemporary, 1991)
Mel Lewis Jazz Orchestra, Soft Lights and Hot Music, (Music Masters, 1988)
Foto di Antje Hubner (la seconda), Andrea Feliziani (la terza - ulteriori immagini tratte dal concerto di Macerata sono disponibili nella galleria immagini) e Claudio Casanova (le altre).
Traduzione di Stefano Commodaro
Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA
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