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John Zorn - Masada Marathon

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Teatro Manzoni - Milano - 8.11.2010

Partiamo dai numeri. Non sarà intellettuale e nemmeno elegante, ma rende l'idea di quel che è successo: poco meno di quattro ore di musica, dodici formazioni ad alternarsi sul palco di un Manzoni traboccante di entusiasmo, ventotto artisti coinvolti, una quarantina di composizioni eseguite, tutte a firma John Zorn. Non a caso si è scelto di attribuire alla serata milanese la qualifica sportiva di Maratona. E d'ora in poi quando si parlerà di "evento," per lo meno in ambito "jazz," bisognerà tenere conto del nuovo standard di grandiosità fissato dalla prima edizione delle "zorniadi". Prolisse e ridondanti, estenuanti e meravigliosamente varie, straordinarie dal punto di vista della qualità della musica proposta, venate di megalomania, intrise del genio indiscutibile del mastro cerimoniere, per un pubblico spossato e felice come un maratoneta dopo i fatidici 42 chilometri e 195 metri. Insomma, in perfetto stile Zorn: una sarabanda indimenticabile le prime Olimpiadi Masada. Un omaggio vivo e vibrante al filone più ricco e ispirato nella produzione zorniana degli ultimi 17 anni.

Era il 1993 quando il musicista newyorchese, fino ad allora l'iconoclasta per antonomasia della Downtown, il figlioccio di Morricone, la mente che stava dietro ai Naked City, il mago del jump-cut, lasciò tutti con un palmo di naso partorendo la sua idea di "musica ebraica radicale," un ibrido tra i dettami di Ornette e la tradizione di matrice jewish. Un anno dopo, su DIW, sarebbe uscito Alef, il primo dei dieci dischi seriali registrati fino al '97 dal quartetto classico (con lo stesso Zorn al contralto, Dave Douglas alla tromba, Greg Cohen al contrabbasso e Kenny Wollesen o Joey Baron alla batteria); quartetto classico che fu la prima formazione incaricata di interpretare le composizioni incluse nel primo Masada Book (circa 200). Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti di New York e di CD legati al vessillo Masada ne sono piovuti a decine sugli scaffali dei negozi. Il progetto si è complicato e ramificato, passando attraverso una serie di splendidi live dati alle stampe con cadenza regolare, progetti più estemporanei, centinaia di esibizioni in giro per il mondo, allargandosi fino a includere altre formazioni e approdando infine, nel 2004, al concepimento del secondo Masada Book, che contiene più di 300 partiture ispirate agli angeli e ai demoni (angeli de-caduti) della tradizione ebraica.

La serie di dischi legati a questo secondo libro, intitolata The Book of Angels, è probabilmente la miglior cosa prodotta da Zorn dopo la fine del secolo scorso in quanto a freschezza dell'ispirazione e vitalità. I volumi pubblicati al momento sono sedici, interpretati da quindici formazioni diverse (il Masada String Trio, dopo essere stato protagonista del volume due, ha di recente bissato con il sedici). Gran parte di queste formazioni sono transitate sul palco del Manzoni di Milano: in primis il quartetto classico, ma anche il Masada String Trio, il sestetto Dreamers, Erik Friedlander e il suo violoncello, l'altro sestetto, il Bar Kokhba, il quartetto di voci femminili Mycale, l'ineffabile coppia Feldman-Courvoisier, il super trio Medeski, Martin & Wood e altri quattro gruppi che non hanno ancora dato il loro contributo discografico alla serie (ma non abbiate paura, lo faranno presto: la bulimia zorniana, fortunatamente, non li risparmierà): i Banquet of the Spirits di Cyro Baptista, il New Klezmer Trio di Ben Goldberg, il Bester Quartet (nato da una costola della Cracow Klezmer Band) e gli Electric Masada.

Insomma, la galassia Masada è stata esplorata da cima a fondo, stella per stella, pianeta per pianeta. A ciascuna delle dodici formazioni sfilate sul palco sono stati concessi una ventina di minuti, con una pausa lunga piazzata dopo il sesto set. Il rischio era quello di scadere nel circense, ma a evitare l'effetto carrozzone ci hanno pensato l'entusiasmo del cerimoniere Zorn (autentico uomo ovunque: sul palco, dietro le quinte, tra il pubblico, sul podio, in cabina di regia, pronto a dispensare pacche sulle spalle, abbracci, sorrisi, stringere mani, accompagnare, presentare, aizzare il pubblico) e dei ventotto musicisti, autenticamente partecipi della celebrazione, contagiosi nel calore con il quale hanno affrontato la Maratona. Una festa in famiglia. Nessuna pomposità o magniloquenza nonostante la grandiosità. Leggerezza, gioia, leggerezza. E applausi, tanti applausi.

Apertura di rito per il Masada Quartet, che ha ormai raggiunto lo status di classico. Zorn, Douglas, Cohen, Baron: oggi come nel '94 Ornette in salsa ebraica. Di stampo completamente diverso il camerismo inappuntabile della coppia formata dal violino di Mark Feldman e dal piano di Silvie Courvoisier: strepitosi la prima volta che li si ascolta, meravigliosi la seconda, freddi la terza. Piacevolissima sorpresa il Banquet of the Spirits del percussionista Cyro Baptista, quartetto sbarazzino tra surf-Masada e afflati terzomondisti. Una ventata di aria fresca prima di lasciarsi cullare dal quartetto di voci femminili Mycale, sinuose e affascinanti, ma un po' penalizzate dalla formula mordi e fuggi della serata. Ovazione da stadio per Medeski, Martin & Wood, al solito travolgenti nell'imbastire venti minuti di powertrio-Masada, tra anni Settanta e jewish prog. Chiusura della prima parte con il classico botto, ovvero il sestetto Bar Kokhba: Feldman al violino, Friedlander al violoncello, Ribot alla chitarra, Cohen al contrabbasso, Baron alla batteria, Baptista alle percussioni e Zorn alla direzione. Impasto timbrico delizioso, affiatamento impeccabile, grande freschezza nonostante la complessità delle partiture. Pura magia.

Dopo la pausa ristoro, quanto mai necessaria, spazio ai Dreamers, sestetto di matrice più jazz rispetto al Bar Kokhba, con Baron, Baptista, Ribot, Zorn alla direzione, Jamie Saft alle tastiere, Kenny Wollesen al vibrafono e il basso di Trevor Dunn. West Coast- Masada? Qualcosa del genere, tra exotica e film music. Struggente e commossa, invece, l'esibizione solitaria di Eric Friedlander, all'insegna di una grandissima intensità. Spazio all'Est con il Bester Quartet, diretto da Jaroslaw Bester, il fisarmonicista della Cracow Klezmer Band. Una sbandata in territorio folk-Masada prima del freejazz-Masada di Ben Goldberg e del suo New Klezmer Trio, completato da Greg Cohen al contrabbasso e Kenny Wollesen alla batteria. Finale in crescendo. Prima il Masada String Trio, ovvero Feldman, Friedlander e Cohen, diretti dall'accovacciato Zorn, che nel corso degli anni per questa formazione ha scritto alcune delle sue composizioni più indovinate. Il terzetto d'archi è giustamente celebre per l'alto tasso di virtuosismo accoppiato a uno straordinario calore esecutivo. Meritata l'ovazione del Manzoni. Poi, per chiudere in bellezza, una bella sventagliata di volume con l'Electric Masada, ovvero Zorn al sax e direzione, la doppia ritmica Baron-Wollesen, Baptista, Ribot, Saft e Ikue Mori ai gingilli elettronici. Rock-Masada. Standing ovation. Maratona finita. Stanchi ma felici.

Foto di repertorio di Claudio Casanova.

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