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Jack DeJohnette - F. Musa Suso - Jerome Harris "From The Hearts of The Masters"
Teatro Manzoni - Milano - 10.12.2006
La fase mattutina di Aperitivo in Concerto (la rassegna riprenderà nella versione serale lunedì 5 febbraio con l’atteso concerto di Bass Desires), si è conclusa con l’esibizione di uno dei grandi interpreti della batteria moderna, ossia Jack DeJohnette. Il sopraffino interlocutore di Keith Jarrett nel celebrato Standard Trio, l’avventuroso esploratore di Special Edition, il curioso incursore nell’estetica Ecm di Dancing With Nature Spirits, Invisibile Nature e Oneness, si è esibito al Teatro Manzoni con il suo progetto più africano.
Accompagnato dal fido Jerome Harris a chitarra, basso, percussioni, e voce e da Foday Musa Suso alla kora, DeJohnette ha presentato “From the Hearts of The Masters”, un viaggio a ritroso verso le origini, un ritorno alla Madre Africa, filtrato da una inevitabile presenza di modernità. Il repertorio si rifà quasi esclusivamente alla tradizione dei griot, i cantori della cultura mandinga, con brani dall’andamento cantilenante, ripetitivo, a volte ossessivo, ma Musa Suso aggiorna le sonorità della kora, utilizzando pedali ed effetti wah wah che elettrizzano, seppur garbatamente, sonorità originariamente acustiche.
Allo stesso modo la kora, strumento ricavato da una zucca, costruito in maniera assolutamente artigianale utilizzando pelli, corde, cuoio, e finemente intarsiato con motivi etnici, porta marchiato a grandi lettere l’indirizzo web di Musa Suso. E il musicista, a sua volta agghindato con un tradizionale costume dai colori vivaci, indossa un cappello portato alla maniera dei rapper più modaioli.
La commistione tra riti della tradizione e sensibilità moderna, dimensione etnica e libertà improvvisativa doveva costituire il propellente per una proposta musicale originale e significativa, ma in effetti non ha mai fatto decollare definitivamente il concerto.
Perché nonostante la presenza di tre straordinari musicisti, dotati di tecnica e di fantasia prodigiose, si è rimasti inchiodati in una sorta di terra di nessuno, un po’ troppo indecisi sulla direzione da prendere e senza un reale sinergia tra i vari piani musicali. Molti brani si sono risolti così in una passerella per i musicisti, con DeJohnette che ha
incantato per sapienza poliritmica, Musa Suso che ha pilotato uno strumento rigido come la kora verso guizzanti evoluzioni, ed Harris che ha svolto con grande intelligenza il ruolo di prezioso collante.
Tanto che, curiosamente ma non troppo, il momento più suggestivo dell’intero concerto si è avuto quando DeJohnette si è trasferito dal maestoso kit percussivo al più sobrio pianoforte, strumento sul quale ha liberato tutta la propria sensibilità melodica in un brano dalla danzante cantabilità, interagendo magnificamente con le invenzioni solistiche di Musa Suso e le delicate tessiture ritmiche di Jerome Harris.
Foto di Roberto Cifarelli [ulteriori foto tratte da questo concerto sono disponibili nella galleria immagini]
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