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Intervista a Ted Sirota

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Sono pronto a rompere definitivamente con il passato e con quello che ho fatto sin qui. Ho la sensazione di essere arrivato ad un punto di transizione nella mia vita. Forse perché ho appena compiuto 40 anni, forse è la mia crisi di mezza età.
AAJ: Nel tuo ultimo disco, Seize the Time ci sono molti cambi nella formazione. Una scelta deliberata o un segno dei tempi?

T.S.: I cambiamenti di personale nella band sono sempre il risultato della disponibilità dei musicisti. Alcuni ex-membri della band come Jeff Hill e Rob Mazurek si sono trasferiti da Chicago. Altri sono sempre più impegnati con i loro progetti o con altre band, come per esempio Jeff Parker con i Tortoise. Noel Kupersmith ha deciso di smettere di suonare ad eccezione di alcuni progetti selezionati. Quando Jeb Smith ha smesso di suonare con la band è stato a causa di problemi con l'udito che lo hanno costretto a stare fermo per un anno. La cosa non aveva nulla a che vedere con la musica e con il suo desiderio di suonare con il mio gruppo o cose del genere. Non credo che chi non è musicista riesca a realizzare esattamente come è complicato tenere assieme un gruppo di musicisti jazz. È come cercare di tenere un fulmine dentro una bottiglia. Greg Ward si è trasferito recentemente a New York così ho dovuto sostituirlo. Non sono mai riuscito a fare due dischi con la stessa band. Ma fa parte della natura di questa professione, quindi bisogna farsi scivolare addosso queste cose e cercare altri fantastici musicisti coi quali suonare.

AAJ: Qual è la tua opinione sulla musica elettrica rispetto a quella acustica in relazione alle tue scelte artistiche. Te lo chiedo perché mi sembri uno di quei musicisti che sanno meglio interpretare questa contrapposizione.

T.S.: Questo è un dibattito che non mi ha mai interessato. Non me ne frega niente. Il dibattito che si è sviluppato negli anni sessanta sulla musica elettrica di Miles o su Bob Dylan e la sua chitarra elettrica è veramente ridicolo per quanto mi riguarda. Mi piacciono Lester Young e MF Doom. Credo sia importante ascoltare la musica rispettando il suo punto di vista, non il proprio. Che senso ha creare musica se la gente continua ad approcciarla con le proprie opinioni predeterminate e con le proprie teorie su cosa è valido e su cosa non lo è, sovrapponendo queste cose su quello che si sta ascoltando? Vedo che molti critici si comportano così. Loro sono quelli che dovrebbero ascoltare veramente la musica, loro sono gli 'esperti.' Ma ho scoperto leggendo molte recensioni dei miei dischi che molti critici addirittura non ascoltano neppure i dischi che recensiscono. Se un critico non sa aprire le sue orecchie alla musica, non sa ascoltarle con cuore e mente aperti per poi formarsi una opinione, allora probabilmente non conosce neppure i presupposti per avvicinarsi alla musica. Se parliamo invece delle problematiche legate alla registrazione, allora le cose vanno viste in un altro modo. La Naim registra tutti gli album, di jazz e di classica, con la tecnica della registrazione con due microfoni in stereo. Non c'è alcun missaggio dopo la registrazione. Il mix è creato semplicemente dal posizionamento dei due microfoni rispetto alla posizione dei musicisti. Il mio ultimo disco per la Naim rappresenta il primo caso nel quale mi è stata data la possibilità di intervenire con alcuni overdubbing e aggiustamenti post-registrazione in funzione del risultato artistico che mi ero prefisso. Non l'abbiamo fatto per eliminare errori o cose del genere. Per esempio in "Killa Dilla" Dave Miller ha sovrainciso una parte di chitarra ritmica sotto al suo assolo perché mi serviva mantenere quel ritmo 'skank' con la chitarra in un brano pensato come reggae. Sarebbe stata una cosa semplice da fare in un normale studio di registrazione, ma farlo mentre si registra live su due tracce è un po' più complicato. Questa tecnica mi pone dei limiti anche alle possibilità che posso esplorare nel contesto dell'elettronica. Non puoi aggiungere effetti o plug-ins o cose simili. Quindi è in qualche modo un processo più naturale e io mi devo adattare a quello che succede. La cosa ha vantaggi e svantaggio, come tutto quello che succede nella vita. Con la Delmark abbiamo registrato in uno studio di registrazione convenzionale, così ho avuto maggior flessibilità per l'elettronica e il montaggio. Per farla breve, mi piace sia la musica elettrica, sia quella acustica

AAJ: Quali sono le line guida per la tua musica futura?

T.S.: Non sono del tutto sicuro, a questo punto. Sono in un periodo di riflessione e sto meditando su come sarà il mio prossimo progetto discografico e su quella che sarà la direzione artistica da intraprendere. Sono pronto a rompere definitivamente con il passato e con quello che ho fatto sin qui. Ho la sensazione di essere arrivato ad un punto di transizione nella mia vita. Forse perché ho appena compiuto 40 anni, forse è la mia crisi di mezza età.

AAJ: I tuoi progetti musicali hanno molti punti in comune con la nuova scena di Chicago (Tortoise, Rob Mazurek, Jeff Parker, ecc.) ma allo stesso tempo sembrano vivere in una nicchia differente. Puoi dirci di più su questo aspetto?

T.S.: Non so proprio come rispondere. Rob e Jeff sono due dei miei più vecchi amici e guardo a loro in questo modo. Abbiamo suonato tanta musica assieme nel corso degli anni. Non suoniamo assieme tanto spesso di questi tempi, ma loro sono per me come una famiglia. Sto semplicemente vivendo la mia vita ed esprimendo me stesso nel modo più naturale. Non mi interessa sapere in quale nicchia la gente mi percepisce. Sto semplicemente cercando di fare buona musica e magari di aiutare la gente ad alzare il proprio livello di consapevolezza a livello musicale ed artistico.

AAJ: So che sei affascinato da Max Roach. Puoi dirci qualcosa di più su questo aspetto e puoi dirci qual'è il tuo punto di vista sui più importanti batteristi del passato del presente?

T.S.: Ho visto Max suonare quando avevo 15 anni e più o meno nello stesso periodo ho scoperto I suoi dischi. Nello specifico i dischi nei quali lo ho ascoltato all'inizio sono stati: Saxophone Colossus, Freedom Suite e Plus 4 di Sonny Rollins e anche Now's The Time di Charlie Parker su etichetta Verve e Brilliant Corners di Monk. Non saprei dirti perchè ero così interessato da Max. Mi sembrava così chiaro e creativo allo stesso tempo. Mi piaceva molto il modo in cui si esprimeva con lo strumento. Amavo il suo suono e il fatto che suonava con uno swing così intenso. Mi piaceva il suo uso dello spazio e la semplicità melodica dei suoi assoli. Forse la mia mente lavora in un modo simile al suo. Mi piaceva anche Art Blakey, ma mi è servito molto più tempo per entrare nel modo ruvido e potente col quale Blakey suonava. È una cosa che ho imparato ad apprezzare negli anni, ma non era una cosa che mi arrivava in maniera spontanea come musicista ed essere umano. Ho dovuto imparare come farlo. Più tardi nella mia vita, quando sono diventato più attivo nelle problematiche mondiali, ho imparato ad apprezzare e a rispettare ancora di più Max per il punto di riferimento che lui era come artista e come attivista. Lui è stato la mia influenza jazzistica più importante ma non sono rimasto fissato su Max in particolare. Penso che ogni batterista jazz sia influenzato da Max, che ne sia consapevole o meno. Per quello che riguarda i più importanti batteristi del passato, è molto difficile da dire, ma credo che in senso generale credo che questi siano quelli più importanti nello sviluppo della batteria jazz: Papa Jo Jones, Kenny Clarke, Max Roach, Art Blakey, Roy Haynes, Philly Joe Jones, Elvin Jones, Tony Williams e Jack DeJohnette. Ho preso molto da tutti questi batteristi. Altri batteristi che ho amato nella mia vita sono Ed Blackwell, Billy Higgins, Pete LaRoca, Paul Motian, Alan Dawson e Vernell Fournier. Ma potrei dirtene altre centinaia. Fuori dal jazz le mie influenze più importanti arrivano da Carlton Barrett, Sly Dunbar, Zigaboo Modeliste, Tony Allen e Al Jackson Jr. Per il presente devo dire che ci sono tanti ottimi batteristi in giro, ma è difficile per me dire quali sono i più importanti. Anche qui in senso generale direi che Paul Motian, Joey Baron, Brian Blade, Jeff Ballard e Bill Stewart hanno avuto un forte impatto sugli altri batteristi jazz. Altri batteristi che mi piace ascoltare sono Chad Taylor, Matt Wilson, Michael Sarin, Gerald Cleaver, Jim Black, John Hollenbeck, Nasheet Waits e Jorge Rossy (anche se adesso suona soprattutto il pianoforte).

AAJ: Ci puoi dire come hai cominciato come musicista e quali sono stati i passi più importanti della tua carriera artistica?

T.S.: Ho iniziato a suonare il pianoforte quando avevo 5 o 6 anni. Però non ho continuato. Poi verso i nove anni ho iniziato a suonare la batteria. Ho cominciato a scuola e prendendo lezioni private. Penso di essere stato attratto dalla batteria perché ero un ragazzo atletico e la fisicità della batteria mi ha coinvolto. Mi sembrava 'cool.' Ho cominciato con uno drum pad e con due bacchette e sono andato avanti così per circa un anno per poi passare ad una vera batteria. Sono andato avanti e a verso i 15 anni ho deciso che volevo fare il musicista. E ho cominciato a dedicarmi alla batteria più seriamente. Sono andato ai camp estivi di Jamey Abersold e di Clark Terry. Questo è stato importante per me perché ho avuto modo di conoscere altri ragazzi da altri parti del paese, interessati alla musica come me. Sono poi andato al programma estivo della Berklee nel 1986, un altro passo importante. L'anno successivo mi sono iscritto alla Berklee e questo ha avuto un impatto determinate per la mia carriera. Ho incontrato molti straordinari musicisti mentre ero a Boston e ho suonato e studiato con loro, sviluppando amicizie che sono durate nel tempo. Joe Hunt, Alan Dawson, Hal Crook, Herb Pomeroy, John LaPorta e George Garzone mi hanno ispirato tantissimo come insegnanti. C'erano davvero tanti giovani ottimi musicisti a Boston in quel periodo, alla Berklee, al New England Conservatory, persino ad Harvard (come per esempio Joshua Redman). Ho imparato moltissimo suonando con Jeff Parker, Chris Lopes, Sara Smith, Kurt Rosenwinkel, Seamus Blake, Mark Turner, Jorge Rossy, Chris Cheek, Dwayne Bruno, Lalah Hathaway, Roy Hargrove, Antonio Hart e tanti altri. La mossa successiva, importante per la mia carriera, è stata quella di tornare a Chicago nel 1992. Invece che andare a New York come tanti miei colleghi. E poi l'altra cosa importante è stata la nascita della mia prima figlia, due anni dopo. Questi eventi hanno dato forma a quello che la mia vita sarebbe stata. Non dovevo pensare più solo a me stesso, ai miei interessi, alla mia carriera. La mia seconda figlia è nata nel 1998. Penso che chiunque sia genitore sa quanto questo abbia un ruolo determinate nelle decisioni della vita. Amo molto New York ma a questo punto preferisco andarci ogni tanto piuttosto che viverci stabilmente. Mi piace il senso di apertura e il "lasciarsi andare" di Chicago. Ho una vita confortevole anche se impegnativa qui, sia dal punto di vista musicale, sia da quello personale. Non cerco più di dare fuoco al mondo, cerco solo di portare avanti le mie cose e Chicago è un ottimo posto per farlo.

All About Jazz Italia: Ted, hai registrato 5 album in 12 anni, 4 con l'etichetta Naim e uno con l'etichetta Delmark. Naim è un'ottima etichetta dal punto di vista tecnico ma non possiamo dire che sia ben distribuita. D'altra parte la Delmark ha una migliore distribuzione ma non sembra essere interessata più di tanto. Puoi dirci se sei felice con questa situazione discografica?

Ted Sirota: Be' devo dire che di questi tempi bisogna prendere quello che viene. Questo è ancora più valido per un musicista indipendente come me. Non sono uno che fa musica per la Top 40. Mi sento fortunato di essere riuscito a trovare un paio di etichette che sono state disponibili a produrre, pubblicare e distribuire i miei dischi. L'industria discografica è davvero messa male negli ultimi anni e tu lo sai bene. Tutte le major hanno chiuso le loro divisioni jazz e questo ha spinto tutti più in giù nella scala. Molti ottimi musicisti che registravano per le major o per etichette indipendenti di grandi dimensioni, adesso sono costretti a fare CD per compagnie che chiedono loro di pagare la metà dei costi di produzione o che non pagano royalties. Musicisti famosi e rispettati stanno facendo uscire CD con le loro etichette oppure distribuiscono la musica solo via download. La Naim e la Delmark pagano integralmente il costo di produzione dei CD e riesco a pagare i musicisti che utilizzo nelle sedute di registrazione. Queste sono le cose che contano per me. Naim ha un nuovo manager per l'etichetta discografica e credo che le cose miglioreranno. La loro capacità distributiva è migliore rispetto al passato e anche loro stanno seguendo le altre etichette nel versante della musica distribuita con download digitale. Mi hanno aiutato parecchio nella promozione del nuovo album. Delmark è più conosciuta e gode di maggior rispetto come etichetta di Jazz e di Blues ma sono meno malleabili, almeno per quello che mi riguarda. Mi hanno detto che volevano fare un altro disco con me, ma dopo aver aspettato per un po' ho deciso di tornare alla Naim, per fare uscire la mia musica.

AAJ: Stai cercando delle strade alternative per distribuire la tua musica? Sto ovviamente pensando a qualche forma di distribuzione basata sul download digitale. Vedo che stai usando il tuo sito per l'insegnamento ma mi sembra che la parte che riguarda la distribuzione della tua musica non è stata sviluppata.

T.S.: Grazie per avermi ricordato di aggiornare il mio sito! Devo trovare il tempo per tenerlo al passo coi tempi. Ho due bambine, sono un musicista a tempo pieno e un insegnante, sono il Direttore Artistico di un Centro Culturale: è difficile per me trovare il tempo per fare tutto. Il nuovo sito della Naim è molto bello. I miei CD possono essere scaricati in diversi formati, incluso l'audio ad alta definizione. I miei CD sono anche disponibili in iTunes, Amazon, Rhapsody, Emusic e altri siti. Anche il disco che ho fatto per la Delmark è disponibile per essere acquistato e scaricato online.

AAJ: Stai suonando molto a Chicago? E nel resto degli States? Ci sono possibilità per te di suonare in Europa?

T.S.: Suono spesso a Chicago, ma non sempre con il mio gruppo. Facciamo quello che si può. Non sono riuscito negli ultimi tempi ad andare in giro per le difficoltà a finanziare un tour. Nessuno vuole garantire un cachet per un concerto. Portare in giro un gruppo formato da cinque musicisti ha un costo piuttosto alto e non riesco a sostenerlo. Non ho un agente e quindi questo significa un sacco di lavoro per me. Suonare in città col gruppo è altrettanto difficile perchè i ragazzi hanno un sacco di impegni. Mi piacerebbe portarli in tour ma per adesso non ho trovato il modo di farlo. Ho portato una versione in trio del mio gruppo in Europa qualche anno fa. Il tour ha toccato Germania, Svizzera e Austria. Mi è piaciuto. Mi piacerebbe trovare il modo di tornare e suonare in molti altri paesi, inclusa l'Italia. Ma anche qui le opportunità non si sono presentate a suonare il campanello della mia porta e non riesco a trovare il tempo, in mezzo alle mie attività, per organizzare un tour europeo che richiede molto lavoro preparatorio. Ovviamente se qualcuno dei tuoi lettori fosse interessato a portare in tour la mia band digli pure di chiamarmi!

AAJ: Diciamo che il tuo agente ti procura un ingaggio di una settimana in una bellissima isola dei Caraibi. Puoi mettere in valigia solo tre libri, tre CD e tre DVD. Cosa scegli?

T.S.: Per prima cosa non ho un agente. E numero due, deve essere una valigia davvero piccola. Ma se proprio insisti per avere una risposta... per i CD porto This Is Our Music di Ornette Coleman, Talking Blues di Bob Marley e Mothership Connection dei Parliament. Per i DVD scelgo: Down By Law di Jim Jarmusch, il film giamaicano Rockers di Ted Bafaloukos e un box con la serie televisiva canadese Second City TV (SCTV). Per i libri mi porto l'autobiografia di Miles Davis, il Manifesto Comunista di Karl Marx e Guerra e Pace di Lev Tolstoj (così finalmente avrò abbastanza tempo per leggerlo)

Foto di Michael Jackson (la prima), Bob Coscarelli (la seconda, terza, quinta)


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