Home » Articoli » Interview » Intervista a Michel Portal

Intervista a Michel Portal

By

View read count
Incontriamo Michel Portal all'hotel Lagorai di Cavalese dopo una mattinata passata su e giù per le montagne a camminare per raggiungere "i suoni delle dolomiti" dove appunto Portal e Sclavis erano l'appuntamento clou della manifestazione [per leggere l'intervista a Louis Sclavis clicca qui].

Portal è un po' deluso perché non era previsto un simile freddo e gli strumenti non riuscivano a dare il massimo, anzi - a quanto ci dice - non erano quasi in grado di suonare.

Portal è un personaggio volutamente spigoloso gli chiediamo se si può fare una ripresa video —pas du tout! Risponde... audio manco a parlarne...

Michele Portal: Sono una persona molto antipatica, sa? Ci dice compiaciuto...

All About Jazz: Bene! Gli antipatici di norma sono persone buone travestite... [ride]

M.P.: Buon inizio.

AAJ: Lei ha dichiarato che in un sogno ha visto Beethoven al piano Gillespie alla tromba Paganini e Mozart al violino, Dolphy al clarinetto e Stockhausen ai sintetizzatori.

Quale è il suo vero dream team?

M.P.: Eheheh... in realtà non ho mai detto questo. Ci hanno giocato un po' sopra i giornali... Avevo detto di aver fatto un sogno come un film di fantascienza in cui mi incontravo con Mozart che stava dietro una colonna e mi diceva che il secondo movimento è troppo veloce...

Molti puristi criticano chi esegue Mozart o Bach dicendo "...è troppo veloce ...è troppo lento...etc " per molto tempo mi sono preoccupato di queste cose che non hanno nessun senso.

Mozart è come lo interpreto io oggi nel mio tempo e come lo suono io nel mio tempo.

Nessuno può dirmi se è troppo veloce o troppo lento perché sono solo io a decidere il modo in cui lo voglio interpretare in un dato momento.

Tra l'altro nessuno è in grado di portare una testimonianza di come lo suonava Mozart...

AAJ: Il titolo del nuovo disco Bailador è più un richiamo al ritmo, alla danza o alle tradizioni della città franco spagnola in cui lei è nato?

M.P.: Viviamo in un'epoca in cui non riesco più a capire cosa succede. Ho la sensazione che la gente si affanni a correre senza sapere dove andare e perché sta facendo quello che sta facendo. Si fa tutto in nome della migliore performance e della velocità.

Questo è sicuramente il risultato della tecnologia che ci circonda, cellulari che sembrano computer ed altri apparecchi del genere ed io non capisco più verso cosa corriamo e quale sia la ragione di tutto questo.

Non ho un computer. Ho un rifiuto categorico della tecnologia, mi voglio muovere con lentezza ed osservare le cose intorno a me. Per molto tempo non ho avuto nemmeno un cellulare e non ho nemmeno un account di posta elettronica o un sito internet.

Non voglio fare obbligatoriamente come tutti, non voglio avere queste cose perché tutti se ne servono e non penso che la mia sia una forma di reazione snob alla tecnologia. Penso davvero che non mi servano queste cose.

Purtroppo non parlo le lingue per cui sommato alla mia cronica pigrizia nei confronti delle novità tecnologiche mi trovo spesso isolato in contesti di jam sessions con colleghi americani che tentano di parlarmi in inglese... poi magari mi chiedono anche se mi possono mandare una mail ed io non ho neanche l'indirizzo... [ride] Dopo tutto questo preambolo, per venire a Bailador volevo prendere un momento interlocutorio, una pausa dalla musica classica dall'improvvisazione e volevo andare alle radici del ritmo.

Quando da giovane andavo alle feste flamenco mi ricordo che c'erano sempre i ballerini che danzavano in modo perfetto e che interpretavano il flamenco; a fine serata però c'era sempre qualcuno, un po' ubriaco che trascinato dal ritmo della musica saliva su un tavolo e iniziava a danzare un po' goffamente interpretando il flamenco a modo suo.

Per i puristi questi "bailador" spontanei erano figure ridicole, pallide imitazioni di veri ballerini di flamenco, io invece li trovavo più veri e coinvolgenti dei ballerini stessi in quanto erano molto veri, e cercavano di interpretare a loro modo la danza fornendo un senso del ritmo molto coinvolgente.

Questo è Bailador un tentativo di andare al cuore del ritmo senza paura di mescolare le differenti culture.

Ci sono delle musiche ermetiche come appunto il flamenco o certa musica sacra che non si vogliono lasciar contaminare, hanno degli paletti molto rigidi e non vogliono lasciar entrare alcuna influenza esterna; Questo per me è un grave limite alla creatività, noi non nasciamo con questo insensato obiettivo di classificare essere classificati e distinti da altri, anzi abbiamo bisogno di confronto.

Io vorrei dire ai musicisti "se vi sentite di esprimervi fatelo il più liberamente possibile e senza accettare schemi! Fate come il bailador che danza senza paura di essere criticato e si diverte!"

Il Bailador rappresenta un po' questo desiderio di mescolare, è una storia di radici, di ritmo.

AAJ: Il suo disco è stato registrato in 2 giorni a New York con un sestetto stellare. Perché a New York e perché così rapidamente? C'era una urgenza?

M.P.: Con Bojan Z avevo preparato un pò quello che avremmo fatto in studio; tutti i pezzi erano preparati ed è una cosa inusuale per me, in tutti i casi poi ci sono parecchie improvvisazioni nel disco che sono nate dall'unione di tutto il gruppo che è stata molto feconda...

AAJ: Il gruppo ha un trombettista Nigeriano (Ambrose Akinmusire), un chitarrista del Benin (Lionel Loueke), un pianista Serbo Francese (Bojan Z) e poi Jack DeJohnette alla batteria e Scott Colley al contrabbasso. Un inno alla multiculturalità? Come cambia così spesso i musicisti? E cosa muove la sua ricerca artistica?

M.P.: Scegliere dei musicisti per fare un disco è sempre molto difficile... sono contento di questo gruppo... Mi sono nutrito di classica, jazz, improvvisazione per essere quello che sono diventato con il tempo. E so che gli incontri fatti sono stati importanti per la costruzione del mio modo di intendere la musica. Stockhausen, ad esempio, è una persona che mi ha dato molto e per il quale provo un grande rispetto; in particolare per la grande libertà che ci faceva sentire quando suonavamo... Non c'erano paletti. Con lui potevi davvero sentirti libero di fare tutto non come in certi festival in cui vai e trovi il programma jazz/contemporanea/improvvisazione... Come è possibile mettere questi paletti ad un musicista? Non sai quante volte mi sono trovato a suonare con persone che mi hanno stoppato appena uscivo un po' dai loro canoni altro che libertà di espressione!

AAJ: Secondo lei dove sta andando il jazz?

M.P.: Le contaminazioni dei vari generi stanno cambiando radicalmente la concezione del jazzista. E questa è l'unica strada a patto che venga percorsa con onestà e spontaneità. I limiti ce li mettiamo noi, siamo noi che diciamo questa è classica, questo è jazz bla bla bla... La musica è musica senza paletti e cartellini. È solo emozionante o noiosa...

AAJ: E' vero che vuole fare un disco di musica cubana?

M.P.: Si mi piace molto la musica cubana anche se non so se davvero ne farò un disco. Se dovessi farlo magari introdurrò gli spunti di quella musica che mi piacciono in particolare.

AAJ: Quali atri musicisti vorrebbe incontrare?

M.P.: Ce ne sono tantissimi che mi piacciono e che non ho ancora avuto la fortuna di incontrare. Non voglio fare nomin in particolre perché magari ne dimentico altri...

AAJ: Lo scorso anno ha fatto una bellissima serata in omaggio ad Albert Ayler alla Fondazione Cartier di Parigi quale è il suo legame con questo straordinario artista? Ayler ha detto che Coltrane era il padre. Pharoah Sanders il figlio e lui il fantasma... Lei in questa parentela e di valori cosa si sente di essere?

M.P.: ...hum... io sono nessuno!

AAJ: Quali sono i dischi che sta ascoltando in questo periodo?

M.P.: Non ascolto molto la musica adesso, sono piuttosto alla ricerca di un qualcosa di differente dentro di me.

Foto di Roberto Cifarelli (la prima), Claudio Casanova (la seconda e la terza), Luciano Rossetti (la quarta) e Davide Susa (la quinta).

Tags

Comments


PREVIOUS / NEXT




Support All About Jazz

Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who make it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

Go Ad Free!

To maintain our platform while developing new means to foster jazz discovery and connectivity, we need your help. You can become a sustaining member for as little as $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination vastly improves your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Popular

Read SFJAZZ Spring Concerts
Read Bob Schlesinger at Dazzle
Read Jazz em Agosto 2025
Read Sunday Best: A Netflix Documentary
Read Vivian Buczek at Ladies' Jazz Festival
Read Deconstructing Free Jazz

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.