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Intervista a Louis Sclavis

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All About Jazz: [Mentre iniziamo a parlare Louis sfoglia una Bibbia] È religioso?

Louis Sclavis: Sono ateo! Profondamente a convintamente ateo ma sono - diciamo—una persona spirituale ed in tutti i casi sono interessato alle religioni.

AAJ: Si legge in giro di un suo nuovo progetto. Ci potrebbe dare qualche anticipazione?

L.S.: Si chiamerà Louis Sclavis Atlas Trio e sarà composto oltre che da me dal pianista Benjamin Moussay e dal chitarrista Gilles Coronado. Un mix di musicisti così diversi scatenerà un modo di interpretare le partiture piuttosto originale. Usciremo in primavera con un nuovo disco per la ECM.

AAJ: Sono 20 anni che lavora con la ECM. Si sente libero in questo rapporto così lungo?

L.S.: Ci lavoro bene e non impediscono in alcun modo la mia creatività. In tutti i casi non ho un contratto di esclusiva quindi è un rapporto fondato sulla collaborazione, e sul rispetto reciproco. Per cui mi viene automatico riferirmi a loro per le cose che faccio ed a loro viene altrettanto automatico pubblicarle... Ho pubblicato dischi anche per altre etichette... ma i progetti più importanti li ho sempre proposti a Manfred Eicher.

AAJ: Il suo modo di suonare è molto personale e soprattutto indipendente dal jazz americano. Lei viene spesso preso ad esempio come icona del 'non americanismo nel jazz' se si può dire così... Pensa che ci sia una via europea al jazz oppure le crescenti contaminazioni con la musica africana e medio orientale ci hanno già fatto superare questa fase evolutiva del jazz?

L.S.: Molti mi identificano con questo modo di fare jazz "europeo" contrapposto al jazz americano. Sinceramente non ne capisco il senso. Io non mi sento di rappresentare il jazz europeo anche perché da tempo sostengo che il jazz europeo non significa nulla, è un concetto superato e si riferisce ad una idea di identità che non esiste.

Io non rivendico la mia identità ma semmai la mia personalità.

Penso che ognuno di noi deve lavorare sulla propria personalità sulle proprie particolarità e solo così il pubblico capirà il suo valore. La frase più bella sull'identità che ho letto è "se fossi un albero avrei bisogno di radici ma siccome sono un uomo ho bisogno di gambe".

Non voglio essere legato al mio passato ma voglio muovermi verso il mio futuro ed essere aperto a tutto quello che ci può essere di interessante nelle collaborazioni con altri musicisti. Anche se non sono uno che si mette a suonare gli standard, amo molto il jazz americano e lo conosco bene. Ho suonato con Steve Swallow ed altri grandi musicisti americani che hanno voci molto personali

AAJ: Il suo rapporto con il cinema è piuttosto intenso; penso soprattutto alla collaborazione con Bertrand Tavernier per Daddy Nostalgie. Poi ha collaborato con Charles Vannel per il film muto "Dans la nuit" ed ha musicato anche parte di "Kaddosh" di Amos Gitai. Dove si pone la sua personalità in questo tipo di collaborazioni, cioè come riesce a mettersi da parte per poter fare quello che il regista le chiede?

L.S.: Amo molto fare musica per i documentari. Nei documentari il commento sonoro è più rilevante rispetto alla fiction. Quando lavoro per il cinema cerco di non avere personalità o quantomeno di metterla da parte per fare piacere al regista e cerco di rendere servizio come meglio posso agli attori sottolineando con il mio commento sonoro le azioni del film.

In linea di massima non ho bisogno del cinema per il mio lavoro. Quello che davvero conta per me è suonare dal vivo, sentire la risposta del pubblico. È la cosa che mi emoziona di più. E poi fare dischi. Il cinema è un'attività collaterale, anche se interessante, e spesso non porta a risultati importanti se non quelli economici perché si lavora con persone che non hanno necessarimante una cultura musicale o un interesse per la musica ma solo la necessità di inserire un commento sonoro che accompagni la storia che si svolge sullo schermo.

AAJ: Forse per il film muto è stato diverso?

L.S.: Per il film muto devo dire che è stato più interessante. C'è stato un lavoro più articolato rispetto perché ovviamente nel film muto il commento sonoro aveva una rilevanza maggiore

AAJ: Quali erano i suoi sogni da bambino? Si immaginava già musicista?

L.S.: Non ho mai immaginato niente... tutto è successo in modo molto naturale, credo che la musica sia sempre stata li, senza interruzioni, ed io mi sia inserito con un certo automatismo... i destini delle persone sono spesso fissati dagli oggetti che ci circondano. Quando ero bambino ero molto attratto dagli strumenti e così quando a 5 anni i miei genitori mi hanno comprato degli strumenti giocattolo con cui mi divertivo.

La sensazione tattile è stata sempre molto importante per me. Ricordo che avevo un tamburo che adoravo e che suonavo sempre. Volevo suonare tutto quello che vedevo e ho sempre avuto questo desiderio.

Avrei potuto suonare altri strumenti... Non ho scelto il il clarinetto forse lui ha scelto me! Ed abbiamo continuato insieme il nostro cammino.

Sono una persona molto istintiva. Se mi trovo con delle persone che fanno qualcosa in una direzione nuova che reputo interessante la seguo senza pensarci un attimo! Questo autunno ho conosciuto dei musicisti cambogiani molto bravi che facevano musica khmer e mi sono trovato in modo automatico in tournee con loro, la cosa mi piaceva e l'ho fatto! Non si deve pensare mai alla musica come "la mia musica, la mia personalità" ... Non siamo noi che decidiamo la nostra personalità ma è il pubblico che ascoltandoci ci dà la definizione di dove noi siamo, di cosa noi siamo. È sempre una esperienza collettiva e non personale, per cui darsi una definizione da soli è solo un limite alle proprie potenzialità.

AAJ: Quali sono le sue sensazioni quando suona il suo strumento? Ci sono musicisti, come ad esempio Zorn, Portal, Ribot, che sembrano sprofondare nello strumento come fa lei...

L.S.: Ti sorprenderà quello che dico. Ma quando si suona non si pensa a sentimenti, non si vedono paesaggi da sogno o altre cose del genere... Quando si suona si conduce una locomotiva, siamo al comando di un treno, ci si assicura che c'è abbastanza carbone, e si fanno tutte le cose necessarie perché il treno vada bene! Se si deve accelerare o rallentare; uno che conduce una locomotiva non ha il tempo per fare altro che queste cose! La musica è solo la musica diceva Stravinskj.

Quando si suona non si fanno scelte del tipo "sono depresso e allora decido di suonare triste" oppure "siamo di buon umore e facciamo una musica allegra". L'emozione è il motore di tutto questo... ci guida automaticamente. E non ci resta che lavorare meccanicamente sullo strumento e creare una miscela di cose che si svolgono in modo pragmatico. Noi musicisti siamo solo li a fare quello che dobbiamo fare e se ci va bene escono fuori delle cose interessanti...

AAJ: Pensa che dalla collaborazione con Michel Portal verrà fatto un disco?

L.S.: Sono 30 anni che io e Michel suoniamo insieme e non abbiamo mai fatto un disco... La nostra collaborazione crea una situazione un po' surreale, che si genera ogni volta che le due locomotive - per continuare il paragone di prima - si incontrano> Come potremmo far rivivere questa cosa in una registrazione? Il pubblico, la location, il nostro stato d'animo, sono parte integrante della cosa.

Io e Michel abbiamo molte cose in comune. Quando suoniamo lo facciamo con un grande senso di libertà ed è come se i nostri clarinetti lottassero uno contro l'altro e - allo stesso tempo - uno per l'altro.

Forse un giorno lo faremo un disco. Ma non è che sia una nostra priorità. Ci piace la spontaneità degli eventi dal vivo.

Foto di Dario Villa (la prima), Emiliano Neri (la seconda), Davide Susa (la terza, quarta e quinta), Danilo Codazzi (la sesta).

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