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Intervista a Jerry Granelli
ByAll About Jazz Italia : Parlaci di te, della tua famiglia, di come hai iniziato a fare il musicista, dei tuoi collegamenti con il buddismo e lo zen.
Jerry Granelli: A casa mia c'è sempre stata musica. Mio padre e mio zio erano batteristi. Quindi una batteria era sempre presnte. Come del resto il jazz, a cominciare da Louis Jordan e Louis Armstrong, e tutta la grande musica degli anni quaranta. Ma c'era anche tanta musica italiana, cantanti e ballerini, in ogni occasione. Sono sempre stato interessato al jazz, mi piaceva improvvisare, percuotere le pentole e i tegami, accompagnando i dischi. Credo che la prima volta che ho ascoltato Charlie Parker qualcosa sia successo e ascoltando Max Roach ho subito pensato che quello era il modo nel quale volevo suonare. Ma anche prima di questo episodio ero comunque affascinato e rapito dalla musica.
Adesso sembra tutto naturale, cose se fosse la sola scelta possibile. Sono cresciuto a San Francisco e la mia carriera si è sviluppata verso la fine degli anni cinquanta, suonando per strada, nelle session after hours, al Bop City e negli altri locali dell'epoca. In quegli anni lavoravo, suonavo, imparavo e credo che il mio vero break sia arrivato con Vince Guaraldi nei primi anni sessanta. Quando il Flower Power si è affermato io stavo suonando sempre più la 'free music,' soprattutto con il gruppo Light Sound Dimension, una band che basava i suoi spettacoli sulla interazione fra musica e luci. E suonavo anche in molti locali rock, cercando sempre di esplorare nuove situazioni, elettronica compresa.
Eravamo parte dell'esplosione del rock e di tutto il movimento che scuoteva la società. Anche se credo che quando ti ci trovi dentro non hai tempo per interrogarti su quello che sta succedendo e per riflettere. Sono stato fortunato ad essere nato a San Francisco in quegli anni, con il salto generazionale dallo swing al bebop e poi la nascita della musica free. Sono stato influenzato da tutti quelli che mi stavano attorno e ho rubacchiato un po' da tutti, con il loro permesso, ovviamente. Tutti i grandi sono stati miei maestri, passavano tempo con noi giovani, ci insegnavano con l'esempio di quello che facevano. Noi avevamo la fortuna di poterli ascoltare, di poter andare alle jam session con loro.
Sto parlando di Philly Joe Jones, di Roy Haynes, di Elvin Jones, di Joe Morello, di Shelly Manne, del vecchio Papa Jo Jones, di Gene Krupa e così via. Era tutta la generazione precedente che si metteva in connessione con la nuova generazione. Questo succedeva a San Francisco, ma anche in altre città, naturalmente. Nel 1970 ho conosciuto il grande maestro tibetano Chogyam Trungpa. Ha avuto una influenza importante nella mia vita. Ha cambiato tutto. Veramente tutto. Mi ha insegnato ad essere un essere umano. E' molto difficile per me parlare di questo, ma se tu sei più aperto come essere umano allora anche la tua arte cambia. A questo punto della mia vita devo ringraziare la mia famiglia, i miei maestri e la musica.
AAJ: Sin dai tuoi primi dischi, nei primi anni sessanta, con Vince Guaraldi e Mosè Allison, la tua musica sembra avere un rapporto privilegiato con i chitarristi, con il blues, con la voce. Da Bola Sete a David Tronzo, toccando Bill Frisell, Jay Clayton, Robben Ford e tanti altri. Raccontaci qual'è il tuo rapporto con le sei corde, con la voce, con il vecchio schema delle dodici battute.
J.G.: Scegliere la propria direzione non è sempre un atto cosciente. Le cose succedono, ti capita di sentire qualcuno, di sentire un suono dentro la testa. Mi è sempre piaciuta la chitarra e negli anni sessanta improvvisamente cominciarono ad esserci un sacco di chitarristi in giro. La chitarra ha portato nuove opzioni di suono che mi hanno colpito e mi hanno anche fornito idee di fraseggio da applicare alla batteria. Sono stato fortunato per aver avuto l'opportunità di suonare con questi grandi musicisti. Ognuno di loro ha portato qualcosa di originale che probabilmente è quello che mi ha incuriosito, al di là dello strumento.
Il blues è una delle componenti di questa musica ed è una forma che consente di improvvisare molto bene. E' una sorta di richiamo ancestrale, così come le ricette della mamma. Una cosa che ti piace sempre. La voce e la batteria sono gli strumenti più antichi. La voce inoltre ti dà la possibilità di usare le parole, per ottenere un risultato meno astratto. Se poi la voce è quella di Jay Clayton allora le opzioni sonore aumentano ancora di più. Sono sempre alla ricerca di nuove possibilità per incrementare le opzioni sonore e i musicisti che hai citato nella tua domanda mi forniscono svariate opzioni.
AAJ: Cosa ci puoi dire dei progetti di tuo figlio JA Granelli e di come suona il basso? E' facile per te suonare con un musicista che è anche un figlio? In generale cosa si prova a suonare con musicisti molto più giovani di te?
J.G.: Abbiamo fatto diversi CD assieme. E siamo andati in tour. E' stato per me un dono meraviglioso poter seguire la sua crescita nell'ambiente della musica e vederlo diventare un collaboratore in grado di creare cose nuove attraverso la sua abilità tecnica al basso e le sue capacità come compositore. Mi ha anche fatto conoscere molti grandi artisti della sua generazione. Per dirla in breve mio figlio è stata una fonte di ispirazione preziosa. Il rapporto padre-figlio è diventato ancora più intenso, ma non sul palco. Quando ti confronti con musicisti più giovani,
devi essere veramente pazzo se decidi di avere un atteggiamento di chiusura nei loro confronti. Molto meglio approfittarne per affrontare le nuove sfide ed opportunità che i giovani colleghi possono offrirti. Un altro punto importante è quello rappresentato dalla possibilità di offrire loro una occasione di farsi conoscere. Su questo non voglio aggiungere altro, semmai dovresti chiedere a loro. Quando ci si avvicina ai 70 anni praticamente tutti sono più giovani di te. E il fatto di insegnare mi consente di rimanere in contatto con le nuove tendenze e di esserne influenzato. Sono stato davvero fortunato, avendo potuto insegnare e allo stesso tempo creare, assieme ad altri musicisti, progetti musicali importanti. In Europa, negli Stati Uniti e ora in Canada, il paese dove ho scelto di vivere. Infatti da 23 anni mi sono trasferito ad Halifax.
AAJ: Diciamo che hai deciso di fare un viaggio nella tundra selvaggia e solitaria per una settimana. Tutto solo con te stesso. Puoi mettere nel tuo zaino solo tre libri, tre CD e tre DVD. Cosa scegli di portare con te?
J.G.: Se avessi una settimana da passare con me stesso non porterei CD e DVD. Porterei libri sul Dharma, cibo e un cuscino per praticare la meditazione.
Foto di Michelle Smith-Lewis (la prima), John Sherlock (la terza e la quinta), Daniela Sheehan (la quarta)
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