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Intervista a Gianluca Petrella
ByIl primo ad accorgersi di lui è stato il sassofonista Roberto Ottaviano che lo inserì nelle sue formazioni. Poi vennero gli anni con la O F P orchestra dove come primo trombone venne diretto da Carla Bley, Steve Coleman e Bruno Tommaso. Nel 1997 ha passato diversi anni a Francoforte dove ha suonato con numerosissimi musicisti europei. Dalla fine degli anni Novanta si è stabilito a Torino. Attualmente è membro fisso nelle formazioni di Enrico Rava, Cristina Zavalloni, Paolino Dalla Porta e Roberto Gatto.
A suo nome ha registrato due dischi: X Ray per la Auand nel 2001 e Indigo 4 per la Blue Note nel 2005. Ha collaborato in diverse situazioni con tutti i più rinomati jazzisti italiani da Franco D'Andrea Paolo Damiani, da Furio Di Castri passando per Antonello Salis, ma non mancano nella sua storia recente anche collaborazioni con situazioni che vanno al di là del circuito strettamente jazzistico, come le divagazioni in ambito lounge con il dj Nicola Conte. Ma la nostra intervista parte da quello che sembra essere davvero un periodo particolarmente positivo, ovvero il presente di Petrella.
All About Jazz Italia: Come ci si sente dall'alto della classifica di Down Beat?
Gianluca Petrella: Francamente sono il primo a essere sorpreso. Non è neanche il caso di dirlo: sono contento. E' un referendum su scala internazionale, quindi è una bella soddisfazione. Sicuramente c'entra anche il concerto che ho fatto con Enrico Rava a New York, ma più complessivamente direi che, per il jazz italiano, anche là qualcosa si sta muovendo. Per esempio mi ha stupito e inorgoglito andare alla Tower Records e vedere tutti i miei CD negli scaffali...
AAJ: Cosa intendi per "qualcosa si sta muovendo"?
G.P.: Mi riferisco al fatto che il mondo del jazz italiano si fa notare. Che i musicisti sono considerati al di là dei soliti due o tre nomi… anni fa non era così.
AAJ: Al di là del jazz italiano mi sembra che gli ultimi tempi siano tra i migliori di tutta la tua carriera: oltre a una vera incetta di premi l'anno scorso è arrivato anche un contratto con la Blue Note per cui hai registrato "Indigo 4"
G.P.: Devo dire che la soddisfazione è doppia perché ritengo che il trombone sia uno strumento "difficile" non solo per l'impegno e la dedizione incredibile che richiede, ma anche perché poi è sempre relegato in secondo piano: sembra quasi non appartenere, nell'immaginario comune, al mondo del jazz, come il sax o la tromba. A livello personale per me è la conferma di un percorso intrapreso in modo giusto, in cui ho puntato sempre di più l'obbiettivo. All'inizio ho cercato di fare il maggior numero di esperienze possibili di allargare la mia mentalità musicale, poi c'è stata una sorta di presa di coscienza anche sui propri interessi sulle proprie vocazioni.
AAJ: Hai vissuto a Bari, Bologna, Francoforte e Torino. Quella di non fermarsi mai troppo nello stesso posto è una scelta precisa?
G.P.: Non direi. A Torino sto bene e ho trovato il mio posto. Da Bari sono venuto via a malincuore infatti ci torno sempre molto volentieri, ma andarmene era l'unica alternativa che avevo per mettere a frutto al massimo le mie risorse. Per concludere veramente qualcosa.
AAJ: Eppure la Puglia è una regione molto viva dal punto di vista musicale.
G.P.: Io ti posso parlare di Bari, dove ho vissuto per una ventina d'anni: c'è un bel vivaio di talenti ma una mentalità piuttosto limitata fa sì che ci sia scarsissima disponibilità di spazi e di occasioni.
AAJ: Cosa bolle nella tua pentola al momento?
G.P.: Un secondo disco per la Blue Note che per contratto devo realizzare nel 2007
AAJ: Hai già qualche idea?
G.P.: Sì sto scrivendo le parti. Ci saranno sempre i musicisti dell'altro disco (Francesco Bearzatti, Paolino Dalla Porta e Fabio Accardi) più ospiti stranieri e italiani. L'unico ospite certo per ora è il cantante John De Leo che stimo molto sia musicalmente che umanamente.
AAJ: Tra i musicisti che hanno richiesto la tua collaborazione ci sono nomi altisonanti del jazz come Enrico Rava, Roberto Gatto, ma anche formazioni più "di frontiera" come il Domino Quartet. Come è stata la tua esperienza cion quel gruppo e con Antonio Borghini?
G.P.: Stimo molto Antonio. Ho vissuto in prima persona la sua crescita musicale: ci siamo conosciuti a Bologna 8 o 9 anni fa e per un periodo abbiamo vissuto nella stessa casa. Entrambi studiavamo molto e passavamo tantissimo tempo a suonare i rispettivi strumenti. Era inevitabile che finissimo per fare qualcosa assieme. Poi ognuno è andato per la sua strada e non è mai stato fatto niente di ufficiale fino a quando non abbiamo messo insieme questo progetto un paio di anni fa. Purtroppo non abbiamo suonato molto dal vivo oltre alla registrazione del concerto per Radio 3. Per i nostri impegni abbiamo sempre faticato a trovarci ancora, e poi c'era un batterista come Hamid Drake, che passa più tempo in aereo che a terra.
AAJ: Nelle interviste tutti ti chiedono sempre chi sono i tuoi modelli trombonistici, io ti chiederò se c'è qualche trombonista italiano che ti ha segnato particolarmente.
G.P.: Posso dirti che non c'è nessun italiano che sia stato veramente il mio mentore o il mio faro luminare. In casa mia si ascoltava moltissimo jazz e tra i dischi c'era veramente di tutto. Uno tra i primissimi che, quando ero ragazzino, ho ascoltato sui dischi di mio padre è stato Dino Piana che allora andava moltissimo….
AAJ: Un giovane talento del trombone?
G.P.: Un certo Petrella, lo conosci? No, scherzo. Mi piace Tony Cattano, è un ragazzo siciliano. Mi sembra che sia sulla strada giusta.
AAJ: Cinque dischi da isola deserta?
G.P.: Tomorrow Is The Question di Ornette Coleman, Attica Blues di Archie Shepp, Optometry di DJ Spooky col quartetto di Matthew Shipp, Midnight Sound dei Flanger e mettiamoci anche il mio Indigo 4.
Foto di Claudio Casanova
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