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Intervista a Gaetano Liguori

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La musica non potrà cambiare il mondo ma potrà renderlo un posto migliore
In questa intervista Gaetano Liguori ripercorre la storia, sua e di un'intera generazione di musicisti che ha tentato velleitariamente di cambiare il mondo in musica, dalla creazione di un circuito "alternativo" al rapporto con altre forme d'arte.

All About Jazz Italia: La prima cosa che salta agli occhi scorrendo la tua biografia è la definizione di "musicista militante," che lega cioè la musica attiva alla politica attiva. E' un etichetta che ancora ti senti cucita addosso?

Gaetano Liguori: Per me è sempre stato un onore l'appellativo di musicista militante, un'etichetta che mi sono cercato (come direbbe il senatore Andreotti). Vedi, io un po' per generazione ed un pò per libero arbitrio non ho mai sopportato prevaricazioni e prepotenze di nessun tipo, quindi il fatto che esistesse lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo non mi è mai piaciuto. Questo ideale di Fratellanza, Eguaglianza, Libertà mi ha sempre animato come uomo ed è naturale che cercassi di trasmetterlo anche nella musica, che è stata anche il mio mestiere. Per un periodo questa etichetta mi ha anche avvantaggiato, dopo un po' meno, ma nella vita certo bisogna avere una parola ora desueta "coerenza". Ad Atene quando inventarono la prima democrazia, cambiando un governo agli oppositori davano l'ostracismo, cioè li allontanavano... Beh a me è andata meglio perché pur pensandola allo stesso modo sono ancora qui. Negli anni '70 lottavo con gli studenti contro un mondo ingiusto, negli anni '80 ho cominciato a viaggiare ed a lottare per le ingiustizie nel 3° mondo, negli anni '90 ho cominciato un viaggio dentro di me studiando dalla filosofia alla psicologia dalle religioni alla letteratura, dal 2000 ho scoperto il vangelo e l'impegno antimafia, che mi pone sempre contro il sistema e mi fa sentire un diverso rispetto alla scena musicale super modaiola.

AAJ: Potremmo intitolare questa conversazione "Quel lungo '68," cioè i dieci/quindici anni che hanno visto uno dei picchi creativi del Jazz italiano, ed europeo in generale, la cui fine si fa coincidere - indicativamente - con il concerto del 14 giugno del 1979, all'Arena di Milano, il giorno dopo la morte di Demetrio Stratos. Come è stato il tuo '68?

G.L.: Il lungo '68, come dici tu, è andato avanti sino alla fine degli anni '70, mi ha visto protagonista insieme ad altri compagni-amici che vorrei qui ricordare come Mario Schiano, Guido Mazzon, Tony Rusconi, Giorgio Gaslini, Massimo Urbani e tantissimi altri. Certo, il ruolo di un musicista spesso si integrava a quello dell'operatore culturale,e questo la dice lunga sul ruolo della musica jazz che è stata per un decennio la colonna sonora, insieme al Rock, dei giovani impegnati che volevano sentirsi alternativi. Naturalmente, io parlo di Milano dove ho vissuto in prima persona lo sviluppo di quegli anni, quando scoprivi che dopo una manifestazione, uno sciopero, un'occupazione, era bello stare insieme ed ascoltare un po' di musica fuori da quella proposta dal connubio televisione-multinazionali del disco. Il jazz era tutto questo, una musica che aveva una storia fatta di personaggi "originali" ed un presente fatto da lotte contro il razzismo. Il Free Jazz che accompagnava le lotte degli afroamericani negli USA si nutriva di personaggi come Ornette Coleman, Cecil Taylor, Archie Shepp ed era un faro per noi giovani musicisti che non solo trovavamo linfa in quel nuovo linguaggio cosi spigoloso e iconoclasta che valorizzava il solismo più sfrenato ma anche i collettivi più rigorosi, era l'equivalente in musica dei pugni di Mohamed Ali o del gesto di sfida di Carlos e Smith alle Olimpiadi di Citta del Messico. Se c'erano rivolte a Detroit e alla Università della California, perché non potevano esserci occupazioni alla Statale o scontri di piazza quando la polizia cercava di impedire cortei pacifici?

Un momento importante e di verifica per tutti noi fu "Nuove tendenze del Jazz Italiano," festival che organizzammo in una Università Statale occupata. Naturalmente, come per tutti i processi storici, ci fu una fine che non si può legare ad un singolo avvenimento... Certo con il distacco della società civile dai temi sociali per musicisti impegnati come me cominciò a farsi dura... tutto però con un processo graduale.

AAJ: Cosa voleva dire essere militanti in quegli anni e cosa vuol dire esserlo ora? Meglio: ha ancora un senso esserlo ora?

G.L.: Essere militanti allora voleva dire essere completamente immersi nella realtà sociale dell'epoca, da partecipare alle manifestazioni a vivere in modo alternativo al "sistema". Per me come musicista forgiato dagli studi classici del conservatorio la rottura con la musica ufficiale avvenne quando entrai nella classe di Musica Elettronica del grande Angelo Paccagnini: lì per la prima volta mi sentii libero di potermi esprimere attraverso linguaggi nuovi e sperimentali, e quando sulla mia strada incontrai Cecil Taylor ero pronto a recepire quel tipo di linguaggio che buttava alle ortiche 200 anni di armonie tonali, di melodie accattivanti e soluzioni ritmiche che a mio vedere avevano fatto il loro tempo (figuriamoci ora). Essere militanti voleva dire andare a suonare nel Natale del 1976 nel Friuli terremotato invitato dall'attuale direttore di Musica Jazz e allora responsabile degli Amici dell'Unità, significava occupare la Statale di Milano per fare un Festival intitolato "Nuove tendenze del Jazz Italiano". Ora essere militanti in un momento dove la politica offre pessimi esempi e in un momento che vede il trionfo della televisione trash può essere considerato un atto rivoluzionario occuparsi di lotta alla mafia.

AAJ: Quand' è che tu e i musicisti della tua generazione avete realizzato che stava finendo un'epoca?

G.L.: Ci sono processi storici che seguono strade che sono legate allo sviluppo di pensieri politici, economici, sociali ed etici... questo vale anche per la musica. Io in certe situazioni mi sento una reliquia di un altro tempo e di un altro mondo, ma spesso - come dice Moretti - è meglio far parte di una minoranza che di una maggioranza. Mi piace di più il mio modo di vivere. Per buttarla in metafora: non è vero che la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca. La Potemkin è un film straordinario e tra venti anni, quando saremo degli splendidi ottantenni La Potemkin ci sarà ancora.

AAJ: Tra i tanti con cui ha suonato, Don Cherry. Che tipo era?

G.L.: Nella mia lunga carriera ho avuto la fortuna di conoscere grandi protagonisti del Jazz italiano, europeo ed americano. Don Cherry con il quale insieme all'Idea Trio suonammo in uno storico concerto per la FGCI a Reggio Emilia nel 1974, era davvero una persona carismatica a tal punto che in pieno concerto face un cenno con la mano al bassista Del Piano di abbassare il volume del suo amplificatore, e lui si mise a suonare abbassandosi, in ginocchio

AAJ: Hai ripreso dopo circa 30 anni il progetto dell'Idea Trio (quello storico con Roberto Del Piano e Filippo Monico) in occasione del CeglieJazz Open Festival, dove hai riproposto "I signori della guerra". Che esperienza è stata?

G.L.: Mah direi che è stata un'esperienza incredibile perché gli anni sono quasi quaranta. Ci sono due piani che si competrano: quello musicale, e quello umano. Per quello musicale è stato emozionante riprendere un dialogo dopo anni di esperienze separate. Certo fare un discorso musicale legato alle avanguardie musicali degli anni sessanta, avanguardie poco digerite, ci avvantaggia perché ci pone ancora adesso in rapporto dialettico con la musica e ci fa sembrare dei ragazzini che ancora sperimentano. Quanto al rapporto umano, quello non si era mai interrotto, mentre suonavo c'era una sospensione del tempo, futuro e passato si fondevano in una combinazione un pò nostalgica ma senz'altro stimolante.

AAJ: Ultimamente sei impegnato in uno spettacolo teatrale dal titolo "A cento passi dal Duomo," che denuncia le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale del Nord. Ce ne parli?

G.L.: Già da parecchi anni porto sulle scene con il giornalista Daniele Biacchessi uno spettacolo sulla figura di Peppino Impastato giovane impegnato negli anni '70 in una radio libera a Cinisi in provincia di Palermo, che fu ucciso solo perché ironizzava sulla Mafia e la denunciava. Ora invece con Giulio Cavalli portiamo in giro uno spettacolo scritto con Gianni Barbacetto intitolato "A cento passi dal Duomo" che racconta come, grazie a connivenze e silenzi da parte delle autorità, il cancro della mafia, camorra e 'ndrangheta si è ormai accasato nel profondo Nord e non è solo quella dei colletti bianchi, ma quella che occupa il territorio, che chiede il pizzo e che costruisce l'EXPO 2015. Tutto questo è costato all'amico Giulio una scorta fissa. Quanto al sottoscritto, già abituato al Nicaragua, Beirut, Iraq..., eppure ero più preoccupato all'Ortomercato di Milano, a cento passi da casa mia.

AAJ: "La musica non potrà cambiare il mondo, ma potrà renderlo un posto migliore". E' ancora così?

G.L.: E' sempre stata la frase che ha ispirato il mio interesse verso la musica tutta ed in particolare il verso il jazz... Spesso mi sento il testimone di una generazione che ha creduto in ideali di libertà, e spesso la mia musica è stata il veicolo di idee, sensazioni e fermenti culturali e politici. Dalla creazione di un "circuito alternativo" che ha reso vive piazze, scuole, fabbriche, al rapporto con altre forme d'arte (teatro, cinema, poesia) all'approfondimento delle civiltà" diverse" il mio è stato un percorso pieno di "gioia e rivoluzione" che mi ha portato ad incontri con persone eccezionali artisticamente ed umanamente, da Dario Fo a Padre Sorge. Abituato a creare musica legata al mio contesto, umano e culturale non potevo non misurarmi con le grandi risposte che da millenni si pongono gli uomini di ogni razza, colore, religione... Dove vado, da dove vengo, il rapporto con l'unica certezza che abbiamo in vita, la morte. Il problema del bene e del male e via dicendo. Io ho voluto ascoltare varie voci e varie risposte... Dalla filosofia al buddismo, dalla politica alla psicanalisi. In questo mio viaggio-odissea una decina di anni fa ho cominciato a leggere e studiare il Vangelo e mi sono accorto che molte risposte erano li a portata di mano, e sono risposte che dopo 2000 anni ci danno ancora la speranza, speranza negli uomini, e nella vita, la frase che più mi piace è "cercate il regno dei cieli e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù". Certo leggendo ed analizzando passi come "Le beatitudini," che sono un manifesto programmatico di come dovremmo vivere, non solo per guadagnarci il paradiso, ma anche per rendere i rapporti umani... umani, mi accorgo di quanta strada l'uomo debba ancora compiere, ma come dice il teologo Hans Kung "la fiducia nella vita e in se stessi costituisce la pietra angolare di una personalità sana".

AAJ: Tra le tue ultime produzioni un Oratorio sugli scritti del teologo Sergio Quinzio...

G.L.: L'incontro con Sergio Quinzio è cominciato negli anni Novanta quando spesso mi capitava di ascoltarlo nel programma radiofonico di Gabriella Caramore "Uomini e profeti" perché nel mio percorso di ricerca la sua voce mi è stata guida, anche nel suo dubitare. Ho letto "Il silenzio di Dio" e mi sono appassionato alle sue tematiche soprattutto a quella escatologica... sul nostro fine ultimo. "Dalla Gola Profetica" unisce due suoi titoli "Diario profetico" e "Dalla gola del leone" Piero Stefani ha scelto dei brani ed io li ho fatti diventare Musica anzi un Oratorio alla maniera del 1600 dove la parola è musica e la musica diventa parola. Ho fatto interagire il linguaggio della mia musica con le sue parole ed ho lasciato fluire le improvvisazioni dei miei bravi musicisti, come se la parola diventasse musica. Un ringraziamento particolare va poi a Claudio Riva che ha saputo scegliere e dirigere con il coro della "Cappella musicale del Duomo di Milano" i brani della tradizione Ambrosiana che fanno sentire come al di là del linguaggio musicale cosi diverso per storia e cultura la musica abbia la facoltà di attraversare epoche e costumi secolari per affermarsi come linguaggio cosmico. Padre Guido Bertagna della Compagnia di Gesù mi ha poi dato la magnifica occasione di eseguirlo nella magnifica chiesa di S.Fedele a Milano, per l'occasione dei Dialoghi di Quaresima e poi questa esecuzione in un contesto cosi lontano da una chiesa un club jazz dove abbiamo effettuato la registrazione.

Foto di Elda Papa (Idea Trio)

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