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Intervista a Bernard Stollman

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E' proprio vero, come dice Bernard Stollman nell'intervista che segue: "La ESP era una forma d'arte a sé stante".

A partire dalle sue splendide copertine, spesso disegnate in modo artigianale, prive di note, e corredate semplicemente con alcune informazioni essenziali sui musicisti, sui pezzi e sulla registrazione. E poi quella frase che divenne una sorta di motto della piccola casa: "You never heard such sounds in your life." Del resto l'indipendente newyorkese ESP nacque "in casa," solo sulla base dell'incallita passione per il free jazz, o meglio per la "free improvisation".

L'anno di nascita ufficiale è il 1965, ma è nel 1964 che l'avvocato bianco Stollman, originario di New Brunswick (New Jersey), trentaquattrenne praticante, specializzato nella tutela dei diritti dei musicisti, si decide a mollare tutto per imbarcarsi in un'avventura epocale che avrebbe segnato in modo indelebile la storia del jazz con dischi memorabili di Albert Ayler, Paul Bley, Ornette Coleman, Sun Ra, Giuseppi Logan, Frank Lowe, Steve Lacy e tanti altri.

Negli anni Sessanta produsse anche storici gruppo di rock "iconoclasta" (i più famosi rimangono i Fugs), ma poi la ESP pubblicò anche registrazioni inedite di grandi del passato: Charlie Parker, Bud Powell, Billie Holiday. Dopo alterne vicende e un clamoroso crack finanziario a metà degli anni Settanta, la ESP dal 2005 è tornata sul mercato. L'avventura della ESP è iniziata con un disco dedicato all'esperanto (Ni Kantu en Esperanto, ESP 1001), l'utopico linguaggio universale, di cui ancora oggi Stollman è un cultore e un sostenitore, ed è proseguita con uno dei capolavori di Albert Ayler: Spiritual Unity (ESP 1002), in trio con Gary Peacock e Sunny Murray. Un lavoro registrato in una session memorabile e di fortuna a cui partecipò Annette Peacock, a quel tempo moglie di Gary.

Dunque l'etichetta, tornata in piena attività da tre anni, pubblica ristampe dei vecchi titoli, ma anche interessanti novità ad alto tasso di anticonvenzionalità. Per citare due compositori appena pubblicati (e diversissimi tra loro) ricordiamo il disco Jugendstil (ESP 4048) del bassista Stephane Furic (Con Chris Speed e Chris Cheek) o il disco Gold (ESP 4041) della visionaria cantante e pianista svedese Lindha Kallerdahl o ancora l'elettronica degli Yximallu.

Ne abbiamo approfittato per intervistare Stollman e recensire alcuni dei tanti dischi significativi dell'etichetta: Town Hall 1962 di Ornette Coleman, Closer di Paul Bley, Live at Cafe Montmartre 1966 - Vol. 2 di Don Cherry, New York Eye and Ear Control di Albert Ayler - Don Cherry - John Tchicai - Roswell Rudd - Gary Peacock - Sunny Murray, The Call di Henry Grimes, The Giuseppi Logan Quartet, New York Art Quartet, Milford Graves Percussion Ensemble, Explosions di Bob James, Black Beings di Frank Lowe, The Forest and the Zoo di Steve Lacy.

All About Jazz: Mr. Stollman, partiamo dalla fine: cosa è oggi la ESP?

Bernard Stollman: In questi ultimi anni l'etichetta sta vivendo una delle fasi migliori della storia. Possiamo dire che l'attività è divisa in tre grandi branche: produciamo ristampe di dischi storici che furono all'origine dell'etichetta; ripubblichiamo o riproponiamo registrazioni sconosciute o meno note e spesso inedite di grandi jazzisti del passato come Lester Young, Billie Holiday ma ci dedichiamo anche molto all'attualità di nuove formazioni che secondo noi portano avanti il discorso legato alla free improvisation e alla creatività. Ovviamente da quarant'anni a questa parte nel DNA dell'ESP c'è la ricerca di gruppi underground che hanno meno spazio che per motivi non certo qualitativi sono stati ingiustamente sottovalutati dal mercato ufficiale. In particolare, ci sono molte novità succose in attesa di pubblicazione tra la fine del 2008 e il 2009.

AAJ: La ESP è stata una scommessa in qualche modo vinta, anche se tra molte difficoltà. In quanti eravate all'inizio e come vi siete organizzati?

B.S.: Io ero il direttore, il responsabile dell'organizzazione e il manager affiancato da un piccolissimo staff per le pratiche d'ufficio e le spedizioni. La mia carriera professionale era iniziata come avvocato. La interruppi per gettarmi con foga in un incerto sottobosco combattendo contro una serie di problematiche complesse. Il pubblico statunitense non era pronto per la musica che proponevamo. Riuscimmo ad andare a avanti per un breve periodo grazie ai gruppi pop che iniziammo a produrre nella seconda metà degli anni Sessanta e che vendevano bene: i Fugs, i Godz e i Pearls Before Swine.

AAJ: Quanto le è costata all'inizio questa avventura?

B.S.: La ESP, quando nacque, nel 1965, fu sovvenzionata e tenuta in piedi esclusivamente da mia madre che mi diede 107 mila dollari per un anno e mezzo. In quel periodo producemmo 45 album. Se moltiplichi per dieci quella quantità di soldi ti risulta grosso modo il valore in dollari attuale. L'unico aiuto pubblico fu un sostegno governativo dal New York State Council on the Arts che ci ha permesso di realizzare un tour di una settimana nei college dello Stato di New York. Gli album dal vivo tratti da quel giro di concerti sono quelli di Sun Ra (Nothing Is..., ESP 1045) di Patty Waters (College Tour, ESP 1055) e di Burton Greene (On Tour, ESP 1074).

AAJ: La frase "L'artista decide per sé stesso," stampata in calce a tutti i dischi ESP sembra eloquente sulla particolarità dell'etichetta. In cosa consistevano queste peculiarità rispetto alle tante label che al tempo prestano grande interesse al free?

B.S.: Il nostro contratto coi musicisti era di una sola pagina, mentre l'industria discografica aveva contratti che andavano dalle 24 alle 45 pagine. Non obbligavamo mai l'artista a rigidi accordi o a fare un certo numero di album in un dato periodo. Noi coinvolgevamo l'artista come partner nella registrazione e co-pubblicavamo i lavori con gli stessi musicisti.

AAJ: Come abbiamo detto, la ESP, pur mantenendo una linea ben precisa e coerente, nella seconda metà degli anni Sessanta ha iniziato a produrre dischi di rock. Una presa di distanze dalle scelte iniziali?

B.S.: Furono gli stessi musicisti rock e contattarci, attratti dalle caratteristiche dell'etichetta e dalle nostre posizioni in tema di libertà di espressione. Noi consideravamo l'atteggiamento iconoclasta il principale denominatore comune di tutti gli artisti che producevamo. I Fugs erano sostanzialmente dei poeti Beat, e i Godz furono autentici anticipatori del movimento punk.

AAJ: L'ESP ha scelto una strada antagonista rispetto alle regole del mercato. In un'intervista di qualche anno fa lei ha detto: "Tutto quello che ho fatto mi è sempre sembrato logico e naturale e non aveva mai alcuna minima relazione con quello che stava facendo l'industria discografica". Può chiarire questo concetto?

B.S.: L'ESP è sempre stata un'etichetta che era essa stessa una forma d'arte. Mentre l'industria si è sempre dedicata a individuare nuove tendenze che da commercializzare e promuovere presso il grande pubblico noi ci siamo sempre dedicati a riconoscere l'innovazione nell'arte e a documentarla senza alcun riguardo per il mercato. Oggi l'etichetta esiste e prosegue la sua dedizione alla documentazione dell'arte, e ha attratto un nuovo pubblico entusiasta molto attento alle nostre nuove uscite.

AAJ: In questi ultimi 3 anni stanno uscendo le ristampe dei grandi capolavori della ESP. Sono delle riedizioni che nella maggior parte dei casi non contengono nuove tracce, ma che tendono a restituire questi gioielli nella loro originalità. Oltre a questa ovvia constatazione in che modo l'editing è stato rivisto?

B.S.: Quando veniamo a sapere di brani on tracce che ci sono "sfuggiti" nel passato li aggiungiamo sempre o addirittura abbiamo pubblicato veri e propri nuovi dischi, come è successo con Heliocentric Worlds Of Sun Ra Vol. 3 (ESP 4002). Sun Ra si è tenuto questi pezzi per 35 anni e ci sono stati consegnati dal suo archivista Michael Anderson, il nostro storico. Erano parte della sessione di registrazione di Heliocentric Worlds of Sun Ra Vol. 2 (ESP 1017). La ristampa dell'album di Frank Lowe (Black Beings, ESP 3013) contiene 20 minuti appartenenti all'originale session di registrazione che in un primo momento erano stati sottovalutati. L'album del concerto di Giuseppi Logan alla Town Hall, More (ESP 1013), sarà ristampato probabilmente in febbraio con 7 minuti che erano andati persi e quindi non inclusi sulla versione originale dell'album. Una decina di anni fa infatti ho scoperto quei 7 minuti sul master della registrazione di Albert Ayler effettuata durante la stessa serata alla Town Hall.

AAJ: Ci sono molti aneddoti sulle prime registrazioni e le prime produzioni ESP. Qual'è quello più curioso?

B.S.: Ce ne sono molti... Durante la registrazione dell'album del quartetto di Marion Brown (ESP 1022) fu usato un pezzo di Wayne Shorter. Durante la registrazione gli abbiamo telefonato e gli abbiamo chiesto il permesso di co-pubblicare il pezzo. Lui ha rifiutato e io diedi l'indicazione di cancellare il pezzo. L'ingegnere del suono in realtà lo salvò senza che io lo sapessi. Nella ristampa dell'album il brano è stato inserito ma l'autore citato è Alan Shorter. Un episodio che ricordo sempre con grande impressione riguarda ancora Giuseppi Logan ed è avvenuto durante la registrazione del suo primo album (ESP 1013). Io e Richard Alderson, il tecnico del suono, eravamo così incantati dalla musica che non ci rendemmo conto che il nastro era finito durante la performance. Io ero costernato, perché pensavo che la registrazione fosse stata rovinata. Venuto a conoscenza del problema Giuseppi diede indicazione a Alderson di riavvolgere il nastro fino al punto precedente allo stop e di fargli ascoltare un paio di misure precedenti all'interruzione. Poi lui con il gruppo ripresero a suonare con una continuità perfetta e impressionate rispetto al punto precedente allo stop. Quello che mi era sembrato un lavoro basato su un'improvvisazione casuale si rivelò invece essere qualcosa in cui ogni musicista aveva una perfetta cognizione di ciò che stava facendo. Per me fu una lezione sorprendente e incoraggiante.

AAJ: Lei ha conosciuto e frequentato a lungo delle autentiche leggende anche loro malgrado come Albert Ayler e Giuseppi Logan. Cosa ricorda di loro? Che personaggi erano? Cosa pensa della loro rispettiva misteriosa scomparsa?

B.S.: Albert era una persona moderata e spirituale. Era interamente dedito alla sua musica e molto tormentato. Questo è un indizio oggettivo ma insufficiente per farsi un'idea precisa del come e del perché morì. Anche Giuseppi era una persona molto tormentata, la prima volta che lo vidi me lo presentò Milford Graves che me ne parlava come di un talento straordinario che valeva la pena di far registrare. Io mi fidavo di Milford e quindi organizzai la session di registrazione del suo primo disco. Appena entrai in studio la prima cosa che mi disse guardandomi negli occhi fu: "Se cerchi di fregarmi ti ammazzo". Milford era costernato, e cercava di scusarsi ma fortunatamente, nonostante tutto, il rapporto tra me e Giuseppi non fu mai più di questo tenore. Proprio quest'anno Giuseppi è stato rintracciato dopo molti anni di isolamento e di gravissime difficoltà. Adesso sta suonando e ha in mente di registrare nuove cose. L'etichetta ESP gli ha concesso totale disponibilità per farlo.

AAJ: Cosa ha fatto Giuseppi Logan negli ultimi tre - quattro decenni?

B.S.: L'ho incontrato, dopo più di 35 anni che non lo vedevo, al Vision festival di New York del 2008. Mi ha detto solo che era stato "in molti istituti".

AAJ: Si è parlato di un album annunciato dalla ESP nella seconda metà degli anni Sessanta, ma mai realizzato. Doveva intitolarsi The Giuseppi Logan Chamber Ensemble in Concert. Che ne è stato?

B.S.: Era la registrazione dal vivo di un concerto che si tenne tra il 1967 e il '68 alla Judson Hall (oggi si chiama Cami Hall). L'ingegnere del suono mi disse che la registrazione non era riuscita, ma non era vero. Si tenne i nastri fino alla fine dei suoi giorni. Ora il figlio, che ha queste registrazione, sta trattando e discutendo con noi e spero di ottenerle indietro al più presto.

AAJ: Un altro personaggio di capitale importanza nella storia del jazz contemporaneo è Sun Ra. Come venne in contatto con lui?

B.S.: Lo incontrai per la prima volta nel '64, nel corso della due giorni intitolata "October Revolution," il festival dedicato alle principali figure dell'improvvisazione free. In quell'occasione mi invitò ad andarlo ad ascoltare in un loft a Newark. Quando ci andai rimasi molto colpito dalla sua musica e per questo lo ingaggiai per una registrazione per la ESP. Quel festival è diventato famoso per aver acceso un'importante scintilla nella storia della musica creativa. Il Cellar Cafè era un luogo molto underground e privo delle caratteristiche minime per fare un concerto e accogliere il pubblico, talvolta saltava la luce elettrica. Ma era ideale per stabilire contatti e per conoscere da vicino i musicisti.

AAJ: Ho letto di due episodi fondamentali nella sua storia personale e in quella della ESP. Quando ascoltò per la prima volta Ayler al Baby Grand Café, nella seconda metà del 1963 a Harlem, e poi quando incontrò Ornette a casa di Nica, dove firmò il contratto per la realizzazione del suo disco "Town Hall 1962" (ESP 1006).

B.S.: Sì, devo dire però che il primo episodio fu più rilevante nella storia dell'etichetta. Quel concerto è stata un'esperienza che non dimenticherò mai. Albert suonò nel secondo set, dopo il trio di Elmo Hope e io rimasi sconvolto dalla sua energia e dalla sua intensità. Fu Albert, la cui musica aveva bisogno di essere documentata e diffusa, che mi incitò a impegnarmi nella realizzazione dell'etichetta.

AAJ: Sulla rivista italiana Musica Jazz l'anno scorso alcuni giornalisti hanno dato vita a una discussione in cui uno dei temi cruciali riguardava l'idea che il free potesse subire lo stesso destino stereotipato e convenzionale di quello che viene chiamato neo-bop. Cosa ne pensa?

B.S.: Ogni forma d'arte col tempo diventa "accademica," in qualche modo è un processo ineluttabile. Su questa ipotesi di partenza le singole individualità creative accettano una sfida nell'inventare nuove forme d'espressione.

AAJ: Nel 1974, quando fu varata la legge federale contro il "bootleging" la ESP chiuse i battenti. Può spiegare cosa successe?

B.S.:La crisi dell'ESP iniziò ben prima del 1974. Già nel 1968 l'etichetta era stata seriamente e definitivamente messa in crisi dalla diffusione di dischi pirata. Dal '69 al '74 continuai a produrre nuovi dischi ma non venivano distribuiti e i miei fondi finirono proprio nel '74. Ma delle grosse responsabilità le ha anche un'industria discografica che puntava tutto su dischi che contenevano solo un paio di canzoni "forti" e basava su un numero ristretto di artisti.

AAJ: Nel 1992, 17 anni dopo che la ESP aveva chiuso, la tedesca ZYX riprese a commercializzare l'intero catalogo. Qualche anno fa avete fatto un accordo con una compagnia olandese e poi con l'italiana Abraxas. In realtà però non è andato tutto liscio neanche in quel caso. Cosa è successo?

B.S.: Sì i rapporti con le case europee sono stati travagliati. La ZYX pagò un acconto ma poi ignorò le sue responsabilità sui soldi delle vendite. L'etichetta olandese fallì. Infine l'italiana Abraxas pagò con regolarità durante i primi anni, ma poi smise.

AAJ: Molti rifiutano o rifiutavano il temine "Jazz". Ma è evidente che tutti o quasi tutti i musicisti della ESP facevano parte di un circuito ben preciso. Con che criterio nella prima metà degli anni Sessanta ha scelto gli artisti e come avvenivano le selezioni e la scelta del materiale da pubblicare?

B.S.: Noi abbiamo cercato di immortalare su disco gli artisti più innovativi che erano parte della generazione successiva a Diz, Bud, Bird e John Coltrane. Ma mentre il termine "Jazz" è ampiamente accettato al di fuori degli Stati Uniti i nostri artisti lo detestavano perché ritenevano che non descrivesse la profondità del loro lavoro ma fosse un eufemismo legato a questioni razziali. Del resto Duke Ellington che scrisse composizioni utilizzando molti linguaggi fu liquidato dalla critica come "compositore di jazz". Nel rispetto delle volontà dei nostri artisti anche io, quando è possibile, preferisco usare l'espressione "free improvisation".

AAJ: Il primo disco e il nome dell'etichetta sono dedicati all'esperanto. Esiste un legame tra l'esperanto e il free jazz di New York degli anni Sessanta?

B.S.: La libertà di comunicazione per me è interessante in ogni forma.

AAJ: La sua carriera è iniziata come avvocato. Una professione che ha anche ripreso nella seconda metà degli ani Settanta. Oggi vive a New York? Si dedica solo all'ESP?

B.S.: Attualmente vivo a Brooklyn. Ritengo una grandissima fortuna quella di essere riuscito a coinvolgere nella mia iniziativa musicisti che fanno parte dell'attualità musicale più innovativa e che fanno funzionare l'etichetta. Attualmente sono coinvolto in un progetto che dovrebbe essere concluso nel 2009 e che consiste in un software che permette di utilizzare una forma di comunicazione, un "interlinguaggio" basato sull'esperanto.

AAJ: Cosa ascolta a casa quando si rilassa?

B.S.: Non mi rilasso mai a casa ascoltando musica, non ne ho il tempo. Ascolto musica sempre con un atteggiamento critico nel tentativo di capire cosa è veramente importante e nuovo.


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