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Il jazz ecologico di Brad Shepik

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Intervista di Franz A. Matzner

All About Jazz: La scorsa estate ho avuto la fortuna di assistere al debutto della tua nuova suite intitolata Human Activity, da poco pubblicata dalla Songlines. Si tratta di un lavoro ispirato ai problemi causati dai cambiamenti climatici, commissionato dall'organizzazione Chamber Music America e che ha beneficiato del supporto della Fondazione Doris Duke. La scelta di questo tema ambientalistico è stata tua o delle istituzioni che ti hanno commissionato e finanziato il progetto?

Brad Shepik: Sono stato io a pensare a questo progetto. Volevo trovare un collegamento tra la mia musica e quello che penso e provo a riguardo dell'ecologia e di quello che, con il nostro stile di vita, stiamo facendo all'ambiente. Si tratta di una idea che mi frullava in testa da molto tempo. E ho a lungo cercato di trovare il modo giusto per realizzarla.

AAJ: La suite si articola in dieci parti. Quali sono stati i criteri che hai usato nella scelta dei vari riferimenti tematici?

B.S.: L'idea era di scrivere un brano per ogni continente ed una serie di brani dedicati a fattori che causano cambiamenti climatici come l'ossido di carbonio, la desertificazione, il riscaldamento degli oceani, i cambiamenti delle correnti marine.

AAJ: Hai flirtato a lungo con la musica 'world.' Qual'è la tua definizione di questo genere musicale?

B.S.: Si tratta di una definizione di comodo. Utile più che altro a fini di marketing. Come può un unica categoria coprire una gamma tanto ampia di espressioni musicali? Quando io stesso uso questo termine, lo faccio per riferirmi a musiche che affondano le radici nelle tradizioni locali di una certa area e che sono state tramandate per lo più per via orale. Al giorno d'oggi, con tutte le nostre fonti di informazione e il continuo spostarsi da un paese all'altro, diventa sempre meno facile stabilire che cosa sia veramente 'locale.' Ogni giorno incontro musicisti di ogni dove che sono al corrente di quanto accade musicalmente in ogni angolo del mondo. Alla fine dei conti, nel mio caso, è la mia sensibilità di musicista che finisce per filtrare tutte le fonti di ispirazione. L'altro giorno durante il sound-check stavo improvvisando qualcosa e il bassista mi chiede: "da dove viene questo brano?". Gli ho risposto "da Brooklyn" [dove Brad Shepik vive, N.d.T.]

AAJ: Qual'è per te la fonte di interesse verso queste musiche?

B.S.: A differenza della letteratura, la musica non ha bisogno di traduzioni. In ogni parte del mondo raccontiamo le stesse storie e ci poniamo le stesse domande, su di noi e sul mondo che ci circonda. Sono sempre stato interessanto a qualunque tipo di musica, sin da ragazzino. Andavo in biblioteca e prendevo in prestito molti dischi dalla sezione 'world' e 'folk.' Passavo un sacco di tempo nei negozi di dischi.

AAJ: I problemi posti dai cambiamenti climatici sono in genere affrontati a livello politico e scientifico. A quanto ne so, sono rari i casi in cui essi forniscono spunti artistici. Qual'è stata per te la maggiore difficoltà nell'affrontare questo tema da un punto di vista musicale?

B.S.: Non sono sicuro che la musica strumentale possa affrontare questa tematica con la stessa efficacia della musica cantata. Detto questo, ho provato a scrivere una suita che portasse l'ascoltatore in giro per il mondo per 90 minuti, focalizzandosi su come questi problemi ci colpiscono a livello quotidiano. Non passa giorno senza che io pensi a tutto questo, forse perché oramai sono diventato padre...

Ad ogni modo, scrivere tutta la musica non mi interessava. Con il jazz improvvisando diciamo la nostra storia. Quindi ho cercato di creare delle situazioni che facilitassero questo approccio. La musica deve stare in piedi non per le tematiche che affronta, ma - prima di tutto - per come suona. Ovviamente qualcuno troverà che la musica che ho scritto non ha nulla a che fare con quelle tematiche. Dopo tutto, non sono in pochi quelli che affermano che i cambiamenti climatici non sono collegati alle attività umane. Tutto quello che uno scienziato può fare è presentare fatti. Come musicista, tutto quello che posso fare è suonare musica e, con essa, creare un contesto. Poi spero che l'ascoltatore possa calarsi in questo contesto. Tanto per fare un esempio. il titolo di "Appalachian Spring" di Aaron Copland fu scelto dopo che la musica era stata camposta, e spesso risulta fuorviante per ascoltatori che si aspettano tutt'altra musica.

AAJ: Sei sempre stato così interessato all'ecologia?

B.S.: Direi di si, ma a livello personale piuttosto che a livello pubblico o di attivismo. Provo a riciclare quanto più possibile, cerco di comprare prodotti locali, di consumare il meno possibile. Mi tengo molto aggiornato su questi argomenti. In particolare, ho trovato molto utili gli scritti di David Quammen, Jared Diamond, Alan Weisman and Edward Hoagland.

AAJ: Essendo cresciuto nello stato di Washington, hai passato molto tempo all'aperto, nei boschi, facendo camping etc.?

B.S.: Effettivamente sono cresciuto non lontano da Seattle e ho passato un sacco di tempo facendo camping, pescando, sciando; sia da ragazzo che da adulto. Con la barca di mio padre ogni estate andavamo nel golfo di San Juan. C'erano un sacco di boschi e fiumi dove da bambino andavo spesso. Da allora in quelle zone la cementificazione si è diffusa a dismisura.

AAJ: Ricordi qualche posto in particolare che ti ha fatto diventare ancora più vicino alle tematiche ambientali?

B.S.: Ce ne sono stati. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto grazie alla musica. Sono Stato in luoghi di grande bellezza naturalistica, come Bali, dove ho viaggiato per un mese, il Marocco, il Medio Oriente, l'America Latina. E ancora in Europa, e in particolare Verdone in Francia, ma anche la Scandinavia, il Canada e molte parti degli Stati Uniti. La parte settentrionale dello Stato di New York è uno dei posti più belli che ho visitato. E ovviamente la il Nord-Ovest degli Stati Uniti, dove sono cresciuto.

La scorsa primavera ho visitato il Grand Canyon e la Monument Valley, che mi hanno affascinato tantissimo. Basta pensare a quanto tempo c'è voluto per creare questi posti... Poco tempo fa sono stato ad una mostra all'aperto organizzata a Parigi che forniva una mappatura della storia della terra dalla sua formazione al giorno d'oggi. Una delle cose che mi ha colpito di più è stata una passeggiata di circa mezzo kilometro che attraversava il Jardin des Plantes. Questa passeggiata lungo un sentiero con alberi di 200 anni rappresentava il percorso del nostro pianeta. Ebbene... la storia dell'uomo costituiva solo gli ultimi 10 metri della mostra!

AAJ: Il titolo "Human Activity" vuole riferirsi a quelli che negano l'impatto delle attività umane sui cambiamenti climatici?

B.S.: Secondo me non ci sono dubbi che la rapidità con cui questi cambiamenti si stanno verificando non ha precedenti. Quindi il titolo può essere interpretato in quella maniera. Tuttavia il resto del titolo "Sounding a Response to Climate Change" fa riferimento a quello che come individui possiamo fare per risolvere questo problema e per cercare di salvare il nostro pianeta.

AAJ: Quali sono secondo te le sfide principali per risolvere i problemi posti dai cambiamenti climatici?

B.S.: Ce ne sono molte, ma credo che l'educazione e sensibilizzazione del pubblico e il ricorso a fonti di energia alternative siano le principali.

AAJ: Il Presidente Obama considera i problemi ambientali come una delle priorità del suo mandato. Questo ti rende più ottimista?

B.S.: Sono ovviamente lieto che abbiamo ora alla nostra guida qualcuno che è finalmente in sintonia con il resto del mondo per quanto riguarda l'ambiente. Siamo arrivati ad un punto in cui capiamo che non possiamo continuare come abbiamo fatto finora. Credo che ora abbiamo una opportunità per cambiare. E spero che potremo farlo affrontando questi problemi a livello collettivo, invece che separatamente dal resto del mondo

Foto di Marko Mazej (la prima), Marjan Lanzik (la seconda), Juan Carlos Hernandez (la terza), Luca D'Agostino (la quarta) e Claudio Casanova (la quinta).

Traduzione di Luigi Santosuosso

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