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I Poeti del Piano Solo 2025

I Poeti del Piano Solo 2025

Courtesy Luca Segato

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Museo Opera del Duomo, Giardino Villa Bardini
I Poeti del Piano Solo
Firenze
12-14 giugno 2025

Sesta edizione della rassegna I Poeti del Piano Solo, tre concerti con altrettanti pianisti internazionali, organizzata da Musicus Concentus con la direzione artistica di Stefano Maurizi. La novità di quest'anno erano le location: dopo la già sperimentata sala del Museo dell'Opera del Duomo, proprio a fianco della basilica fiorentina e in mezzo alle opere d'arte, che ha ospitato il concerto di apertura affidato a Shai Maestro, gli altri due concerti erano quest'anno nella stupenda cornice del giardino di Villa Bardini, che offre una impressionante e maestosa vista sull'intera città.

Il pianista israeliano, ormai considerato uno dei principali interpreti mondiali dello strumento, ha aperto con una lunga interpretazione di "Halleluja" di Leonard Cohen, nella quale convergevano ispirazioni diverse —classiche, popolari, jazzistiche —e che includeva numerosi passaggi assai intensi —un pedale in crescendo con la mano sinistra, con un contrappunto coloratissimo dalla mano destra —e che tuttavia rimaneva sempre lirica e sognante, quasi un viaggio onirico.

Maestro ha portato avanti il suo approccio a tutto campo anche nell'interpretazione del Great American Songbook passando da un lavoro timbrico e ritmico sulle corde del piano, a passaggi lirici che si soffermavano sulle note alte, affiancati da percussioni sul corpo del piano, battiti ossessivi su singole note, e riff ritmici che pian piano si sono sciolti in una tessitura melodica, con un intreccio degno del primo Jarrett. Dopo una "'Round Midnight" progressivamente trasfigurata e davvero notturna, il pianista ha fatto una pausa per introdurre una sua composizione di quindici anni orsono, dedicata allora alla pace tra il suo paese e la Palestina, e si è commosso pensando alle condizioni che quell'area vive oggi, dichiarando senza mezzi termini quanto accade a Gaza "inaccettabile e inumano." Un brano dal sapore romantico e assai toccante, grazie al rimbombare della tastiera durante un prolungato pedale ritmico. La conclusione del concerto è spettata a un altro pezzo originale, partito rarefatto e addensatosi progressivamente in una narrazione pensosa.

Complessivamente Maestro si è confermato pianista dalle grandi qualità tecniche al servizio di una poetica originale. Volendogli trovare un limite, ha dato l'impressione di avere urgenza di "riempire di note" la performance, lasciando poco spazio alle pause e al silenzio, reiterando lo schema dei brani, spesso iniziati meditativamente e condotti in crescendo dinamico fino alla conclusione catartica: bello, ma un po' ripetitivo.

Il giovane pianista scozzese Fergus McCreadie, protagonista della seconda giornata, la prima all'aperto nel panoramico giardino, ha aperto il suo concerto con un lungo brano multiforme nel quale si ritrovano numerose tracce della musica popolare del suo Paese, balli e marce tradizionali, che venivano però smontate e poi rimontate in più forme, sempre con molta facilità alla tastiera e una decisa componente ritmica. Il prosieguo del concerto non si è poi discostato da quel primo modello, a parte un brano di Ellington al centro e uno di Monk alla fine: narrazioni distese, condotte dalla mano destra sulle note alte, mentre la sinistra proponeva cellule minimali reiterate ipnoticamente, o pulsazioni ritmiche scure e battenti, o roboanti rullate, che infondevano pathos alle tessiture. Sebbene un semplice e uniforme, una modalità accattivante, ben eseguita, a momenti anche fortemente coinvolgente. Il pianista è giovane e ha tempo per crescere ancora.

L'ultimo concerto, sempre a Villa Bardini, era affidato a un big internazionale del pianoforte, anche se in Italia meno noto che altrove: Jacky Terrasson. Figlio di padre francese e madre afroamericana, l'artista —che compirà sessant'anni a novembre —ha iniziato con un brano come "You've Got a Friend" di Maureen Carol King, defininendo subito il proprio profilo artistico: quello di un virtuoso della tastiera che si mette al servizio di composizioni note e di successo per rileggerle e proporle al pubblico in una sorta di raffinato intrattenimento.

Come tutto ciò ch'è poi seguito, il trattamento del brano pop è stato decisamente singolare: intimo ed elegante, ma anche vario e tormentato, con momenti di forte frammentazione che lo portava anche assai lontano dalla linearità melodica dell'originale. Stilemi ripresi anche nel successivo "Autumn Leaves," iniziato guardando lo spettacolo della città che si apriva al suo fianco: lasciato sullo sfondo il lirismo del tema, le frasi venivano smontate nelle loro componenti ritmiche e sovente accompagnate da riff percusivi mantellanti. Frequenti i cambi di atmosfera, con passaggi blues ed artifici insuali (come una serie di colpi con il piede sul palco e un breve accompagnamento con la voce), andamenti percussivi prima seguiti da una ricerca timbrica accompagnata da un pedale sulle note medie, che svelava finalmente il tema conduttore: quello de "Le vie en rose." Verso la fine c'è stato anche il tempo per una sorta di medley tra una composizione di Chopin e un "Besame mucho" percosso, ribattuto, mugolato e poi chiuso con un cinguettio di note alte, per una eterea "Over the Rainbow," rarefatta e meditativa, e per la chapliniana "Smile," cui Terrasson ha dedicato un album. L'omaggio a Ellington è arrivato giusto alla fine, nel bis, con una "Caravan" percussiva ed estroversa, a chiudere una performance certo non sperimentale o innovativa, ma non di meno di altissimo livello, piacevolissima e a momenti entusiasmante.

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