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Hugh Hopper: Hopper Tunity Box

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Hugh Hopper: Hopper Tunity Box
Dici Hugh Hopper e subito pensi ai Soft Machine. Inutile nascondersi, la fama del baffuto bassista resta indissolubilmente legata al gruppo di punta della scena di Canterbury. Poco più di quattro anni di militanza, dal dicembre del ’68 (quando il nostro subentra all’eccentrico Kevin Ayers) al maggio del ’73, che hanno consegnato ai posteri cinque album ufficiali e una delle line up più celebri della storia del rock: Hopper, Wyatt, Ratledge, Dean.

Il 1973 è anche l’anno del debutto solista con l’ambizioso 1984. Un debutto cullato da tempo, un disco coraggioso che si ispira all’omonimo romanzo di George Orwell ed è basato sulla sperimentazione con nastri, distorsioni, overdubs e loops. L’arte del collage sonoro Hopper l’aveva appresa una decina di anni prima, a Parigi, in casa di Daevid Allen, l’australiano genialoide futuro padre dei Gong, che, a sua volta, aveva avuto modo di ascoltare le pionieristiche composizioni di Terry Riley.

L’ossessione per il lavoro di montaggio permea profondamente anche Hopper Tunity Box, seconda fatica a proprio nome pubblicata nel ’77 dalla misconosciuta etichetta norvegese Compendium e, a distanza di trent’anni, ristampata per la prima volta dalla Cuneiform a partire dai master originali. Come spiega lo stesso Hopper nelle note scritte appositamente per l’occasione, la musica nacque interamente in studio, attraverso un paziente lavoro di stratificazione basato sulle composizioni angolari del leader e sulle linee tracciate dall’inconfondibile basso fuzz. Tuttavia, rispetto ai visionari azzardi di 1984, ci troviamo di fronte ad un disco più convenzionale, meno individualista, maggiormente legato al classico idioma di Canterbury. Le uniche eccezioni sono rappresentate da “Lonely Woman”, omaggio a Ornette Coleman in cui il celebre tema viene fatto evaporare in un caleidoscopico tappeto sonoro, e “Ogster Perpetual”, una delicata miniatura che si riallaccia alle esplorazioni del disco precedente.

Per il resto, i brani hanno il caratteristico sapore del jazz-rock inglese, con tanto di ampi spazi concessi agli interventi solistici. E così, al di là del basso trasformista di Hopper, spiccano le funamboliche tastiere di Dave Stewart, già membro di Egg, Hatfield and the North e National Health, che aggiungono un tocco di caratteristico progressive sound a “Gnat Prong” e “Mobile Mobile”. Prezioso anche il contributo alle ance di Gary Windo, autentico cappellaio matto del jazz britannico e personaggio di culto della scena di Canterbury: il frenetico assolo di tenore che infiamma “Miniluv” è da antologia. Solida e poderosa risulta anche la sezione ritmica che può contare sui servigi di due rodati professionisti come Nigel Morris (Isotope) e Mike Travis (Gilgamesh).

Menzione speciale per il compianto Elton Dean. A un anno preciso dalla scomparsa, 8 febbraio 2006, questa ristampa aggiunge un ulteriore dettaglio alla carriera di uno dei maestri dell’improvvisazione europea. Basta ascoltare lo struggente assolo di saxello che impreziosisce “The Lonely Sea and the Sky”, a nostro parere l’apice della scaletta, o l’incendiaria cavalcata al contralto in “Spanish Knee”, ahimé inspiegabilmente sfumata sul più bello, per farsi un’idea delle infinite possibilità espressive dell'impareggiabile sassofonista britannico.

Track Listing

Hopper Tunity Box; Miniluv; Gnat Prong; The Lonely Sea and the Sky; Crumble; Lonely Woman; Mobile Mobile; Spanish Knee; Oyster Perpetual.

Personnel

Hugh Hopper
bass, electric

Hugh Hopper: bass, guitar, recorder, soprano saxophone, percussion; Elton Dean: alto sax, saxello (4,6,8); Mark Charig: cornet, tenor horn (4,6,8); Frank Roberts: electric piano (4,5,8); Dave Stewart: organ, pianet, oscillators (1,3,7); Mike Travis: drums (1-5,8); Richard Brunton: guitar (2,5); Gary Windo: bass clarinet, saxophones (1,2,5,6); Nigel Morris: drums (7).

Album information

Title: Hopper Tunity Box | Year Released: 2007 | Record Label: Cuneiform Records


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