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Francesco Diodati: gatto con chitarra

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Cerco di suonare per chi ascolta e di raccontare una storia, altrimenti a che serve la musica?
Intervistiamo Francesco Diodati, giovane chitarrista romano (classe '83), che ha destato il nostro interesse dopo la pubblicazione di Purple Bra per la Auand Records, l'album d'esordio alla guida del quartetto Neko. Diodati è cresciuto ascoltando suo padre cantare Fabrizio De Andrè e Jimi Hendrix, fino a rimanere affascinato dal suono della chitarra e approfondirne lo studio sotto la guida di Roberto Spadoni. Oggi è un musicista preparato e curioso di esplorare le possibili diramazioni del jazz, tanto che la sua e-mail di risposta alle nostre domande arriva da New York, dove si trova per suonare e caricarsi di energia creativa.

All About Jazz Italia: Dopo un primo innamoramento per la scena cantautorale italiana sei stato instradato al jazz dal tuo maestro Roberto Spadoni. Ci racconti i risvolti di questo incontro decisivo?

Francesco Diodati: Dopo un anno che chiedevo incessantemente di voler imparare la chitarra, i miei decisero di mandarmi in una piccola scuola romana a Villa Gordiani, dove casualmente incontrai Roberto. Avevo tredici anni e Roberto, dopo essersi accorto della mia grande curiosità, iniziò a suggerirmi degli ascolti mirati. Fu così che acquistai Kind of Blue, Ah Uhm, Joe Pass e Jim Hall. Da lì è partita la passione per una musica che al momento mi sembrava molto astratta, ma al contempo attirava la mia attenzione. Poi ho frequentato i corsi estivi di Siena Jazz, ho formato i primi gruppi, sono arrivati i primi ingaggi e il resto è storia recente.

AAJ: Nel frattempo ti sei laureato in Statistica Economica. Perché successivamente hai deciso di dedicarti completamente alla musica?

F.D.: La laurea in Statistica Economica è stata in parte frutto di una mia passione per le scienze matematiche in generale, in parte del desiderio di prendere il classico "pezzo di carta". È stata in fondo una bella esperienza e sono stato fortunato ad avere avuto degli ottimi professori - alcuni venivano anche a sentirmi ai concerti - con i quali tutt'ora mantengo buoni rapporti. Durante i cinque anni di università già suonavo e insegnavo; ho cercato di laurearmi il più in fretta possibile perché sapevo che avrei continuato a suonare alla fine del ciclo di studi. Non pensavo ad altro, l'idea di andare in un ufficio non mi entusiasmava. Pur nell'instabilità economica e con grandi sacrifici, la professione di musicista permette molte libertà e impone frequenti viaggi. Due caratteristiche convincenti, almeno per ora.

AAJ: Cosa vuol dire Neko?

F.D.: Gatto, in giapponese. Al momento della formazione del gruppo volevo evitare il classico quartet, che sinceramente detesto, e stavo leggendo libri di Murakami Haruki, uno scrittore giapponese, nel quale ho ritrovato molte somiglianze con il mio modo di vedere la vita e la musica. E mi piacciono i gatti. Così chiamai il primo pezzo composto per il gruppo Neko. Poi ho chiamato il gruppo Neko.

AAJ: Attraverso quali percorsi sono nati i brani del progetto?

F.D.: Alcuni, come "Kort," "Doctor BC" e "Finale aspettato," sono brani che avevo composto tempo addietro e che suonavo con il quintetto (Antonello Sorrentino, Danielle Di Majo, Marco Piccirillo, Ermanno Baron), la mia prima vera esperienza da leader, pur essendo un gruppo abbastanza collettivo. Ho deciso di portarli ai Neko per vedere che succedeva e nel corso del tempo sono cambiati molto, perché tutti i ragazzi danno sempre molte idee e stimoli sugli arrangiamenti. Le altre composizioni le ho scritte quando già si era formato il gruppo, e devo dire che sono pensati proprio per le voci strumentali di Francesco Bigoni, Ermanno Baron e Francesco Ponticelli. Anche questi brani comunque non sono passati indenni dal turbine di modifiche fatte nel corso dei concerti e delle prove, prima di arrivare alla forma che suoniamo sul CD.

AAJ: Nelle dinamiche di gruppo lasci molto spazio al sax tenore di Francesco Bigoni.

F.D.: La cosa che mi stupisce di Francesco è il suo modo di suonare continuamente insieme al gruppo, anche quando ha una parte solistica; inoltre ha un timbro quasi da cantante rock.

In realtà non ci sono dei veri assoli su Purple Bra e al momento della registrazione Francesco si è sentito di suonare di più, mentre io faccio da guida nei punti di raccordo; mi è sempre piaciuto lasciare libertà ai musicisti del mio gruppo, e in questo caso il risultato mi ha molto soddisfatto.

AAJ: "So Real," di Jeff Buckley, è l'unico brano non originale. È una tua scelta?

F.D.: Ho scoperto Jeff Buckley solo qualche anno fa grazie alla mia ragazza e ne sono rimasto affascinato. Non solo è un compositore straordinario, ma anche un chitarrista davvero originale. In seguito, alcuni suoi pezzi e in particolare "So Real" mi hanno fatto pensare al suono del quartetto e ad alcune atmosfere che ci sono care, perciò l'ho proposto, e tutti sono stati entusiasti.

AAJ: Quale strumento utilizzi e per quale precisa caratteristica?

F.D.: Gibson Es 335, e una chitarra classica Alhambra. In realtà sull'album uso una delle bellissime Ballabio, che appena posso comprerò. La 335 è uno strumento duttile, ha una voce calda, ma un vasto campo espressivo che permette di utilizzare effetti di ogni tipo.

AAJ: Quali sono gli aspetti del tuo modo di fare musica che dovresti migliorare?

F.D.: Vorrei suonare le mie idee e i miei approfondimenti in un modo ancora più semplice e intelligibile, e avere un suono più "grosso," più proiettato, perchè chi ci ascolta è un pubblico che non sempre sa e bisogna saperlo coinvolgere.

AAJ: Per quale motivo un organizzatore di festival dovrebbe sceglierti per il suo prossimo cartellone?

F.D.: Che domanda! Perchè bisogna puntare ai giovani! Perchè cerco di suonare per chi ascolta e di raccontare una storia, altrimenti a che serve la musica?

Foto di Marco D'Amico (la prima)

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