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Fonterossa Days #8

Fonterossa Days #8

Courtesy Benedict Munz

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Ex-Wide e Teatro Sant'Andrea
Fonterossa Days #8
Pisa
20-21.4.2024

Giunto alla sua ottava edizione, Fonterossa Day si è allargato da un giorno a due: così, pur mantenendo la medesima struttura programmatica del passato —concerti di formazioni nel roster della Fonterossa Records e dei docenti del laboratorio di improvvisazione tenutosi nei mesi precedenti, l'orchestra del quale chiudeva la rassegna —i primi due concerti si sono tenuti la sera del sabato presso l'Ex-Wide, prologo dell'abituale giornata domenicale di musica presso il Teatro Sant'Andrea.

La premiere serale s'è aperta con Icy Demons, formazione di Griffin Alan Rodriguez, cantante e bassista chicagoano residente in Italia, che l'ha fondata vent'anni fa negli States e che qui l'ha riproposta con musicisti italiani. Accanto a lui la cantante Giulia Galliani, che operava anche a tastiere ed elettronica, il chitarrista Maurizio Sammicheli e il batterista Daniele Paoletti. Musica che fondeva numerosi stili, dal rock all'hip hop al blues, fortemente striata di elettronica e caratterizzata dal gioco delle voci, con Rodriguez a interpretare tra canto e talking con sonorità scure e ruvide e la Galliani perlopiù a fornire un controcanto invece più alto e cristallino. Un set molto ritmato, spesso su temi minimali, che invitava i presenti alla danza.

A seguire uno dei concerti più attesi della rassegna, l'improvvisazione tra i quattro docenti alternatisi alle quattro giornate di lavoro del FonterossaLab da gennaio al pomeriggio stesso: Giancarlo Nino Locatelli al clarinetto contralto, Paolo Botti alla viola, Silvia Bolognesi al contrabbasso e Mike Reed alla batteria. Una formazione "d'occasione" che non aveva mai suonato assieme prima e che ha dato vita a una musica commovente: libera, con pochissime frasi ma un fortissimo legame espressivo, mutevole nelle atmosfere. Partita con suoni soffusi, dove giganteggiavano l'espressività di Locatelli e le aperture di Botti, la performance si è poi impennata sotto la spinta gioiosa della Bolognesi, con le invenzioni di Reed —che ha prodotto suoni inattesi suonando con dei bicchieri sulle pelli e sfregando oggetti occasionali —e le ondeggianti interazioni collettive. Un procedere creativo dal quale era dolce lasciarsi trasportare, assecondandone le svolte, imprevedibili ma sempre dotate di senso. Un grande esempio di improvvisazione riuscita, da parte di quattro splendidi musicisti, che speriamo vivamente possa vedere la luce su supporto —tutti i concerti della due giorni sono stati registrati.

La giornata domenicale è iniziata come usuale alle 17,00 nella suggestiva cornice della chiesa sconsacrata di Sant'Andrea. L'apertura è spettata al duo di Biagio Marino e Zeno De Rossi, autori un paio di anni fa per Fonterossa del singolare CD Break Seal Gentle e che avevamo visto recentemente a Metastasio Jazz. Una musica che fonde in modo assai personale jazz, elettronica e noise, dando particolare attenzione ai timbri e alle loro cangianti sfumature, caratterizzata dal mutare delle accordature della chitarra da un brano all'altro e dalla forte interazione tra i due artisti, che infatti hanno significativamente sviluppato il materiale registrato due anni orsono, conservandone i contenuti ma spingendoli assai oltre quanto elaborato al tempo. Musica raffinata in modo persino sorprendente guardando gli apparecchi —una distesa di pedali ed elaboratori elettronici —, a dimostrazione che con attenzione, cura e spirito di ricerca è possibile dar vita a musica inattesa e raffinata a partire da qualsiasi strumento.

Il secondo set era quello del quartetto CV53 della flautista Carlotta Vettori, anche lei autrice di un CD per Fonterossa uscito due anni orsono, Ruah. Musiche originali, tranne un brano, suonate assieme a lei da Niccolò Faraglia alla chitarra, Andrea Melani alla batteria e ancora la Bolognesi al contrabbasso. Dopo una deliziosa apertura per flauto solo, la musica si è sviluppata in un curioso equilibrio tra armonia classica novecentesca e avanguardia jazzistica anni Sessanta-Settanta, infatti omaggiata con l'inserimento del classicissimo "Gazzelloni" di Eric Dolphy. Molto brava la flautista, che ha variato stilemi, forme espressive e timbri strumentali, ma anche Faraglia, che spesso duettava con le alla chitarra. Come sempre eccellenti la Bolognesi e Melani, ben più che pilastri ritmici e costantemente presenti nelle complesse trame della musica pensata dalla leader.

La sezione pomeridiana è stata conclusa dal quartetto Panaleake, il cui CD Vane è uscito per Fonterossa da qualche mese. Si tratta di una formazione singolare, che definisce la propria musica "Folkloric Free Jazz" e che vede tre fiati girare attorno alle variopinte e decisamente intense percussioni di Francesco Cigana. La presenza del trombone e del susafono di Glauco Benedetti contribuisce in parte a sopperire alla mancanza di un basso, ma in realtà anche i suoni scuri dei due strumenti finiscono per intrecciarsi ai sassofoni di Tobia Bondesan e Jacopo Giacomoni nella costruzione di tessuti sonori che prendono spunti sì dal folklore, ma da quello delle più disparate zone del mondo, e anche da molte altre fonti e tradizioni. Dentro il suggestivo magma cui hanno dato vita i quattro si udivano così suoni ancestrali, canti tribali, danze rituali dai ritmi fissi e ossessivi (a un certo punto tutti e quattro i musicisti hanno lungamente suonato delle strane percussioni etniche di legno), mentre gli interventi dei sassofoni, riprendendo gli spunti di fondo, vi si ergevano con stilemi e forme espressive decisamente jazzistiche. Belli alcuni tagli nettissimi per separare scenari tra loro diversi, ma anche momenti di intensa interazione tra i fiati. Musica fresca e coraggiosa nella sua libertà di utilizzo di molteplici e variegati materiali, bravissimi tutti gli interpreti, menzione particolare per l'altosassofonista Giacomoni, notevole anche scenicamente per il modo in cui improvvisa al proprio strumento.

Dopo una breve pausa ristoratrice, la sezione serale s'è aperta con il Leaping Fish Trio, formazione che vede Paolo Botti affiancato da Enrico Terragnoli e Zeno De Rossi. I tre hanno presentato il loro ultimo lavoro, appena uscito sempre per Fonterossa: Trees—The Music of Lou Reed. Un concerto davvero molto bello per il modo raffinatissimo in cui sono state riproposte, senza la voce, le composizioni del cantante statunitense, sviluppandone con delicatezza timbriche elettroniche, traendo fuori dal suo rock elementi country —in particolare attraverso l'uso del dobro da parte di Botti —, lasciandole scorrere lentamente per riassaporarne il gusto sotto nuove fogge. Come al solito eccellente Terragnoli nel trar fuori dall'elettronica suoni poetici, mentre Botti non ha quasi mai ripreso le linee liriche della voce con la viola, invece improvvisando, e ha mostrato tutta la suggestione di uno strumento singolare qual'è il dobro. Camaleontico De Rossi, che a momenti ha fatto il batterista rock, ma perlopiù ha anche lui ricercato tra le pieghe dei brani aspetti nascosti da disvelare.

Come sempre, la conclusione della rassegna è spettata all'Orchestra FonterossaLab, composta dai partecipanti ai quattro incontri svoltisi nei mesi precedenti con i quattro docenti, che l'hanno diretta a turno. L'orchestra era estremamente composita, includendo musicisti di età, formazioni e abilità molto diverse; chi scrive anche quest'anno ne faceva parte e può testimoniare sull'intesa raggiunta e anche sulla qualità del lavoro svolto con i docenti, che hanno proposto approcci assai diversi l'uno dall'altro. In ordine cronologico sia dei laboratori, sia della direzione nell'ora circa del concerto, la Bolognesi ha incentrato il lavoro sulla sua conduction, fondamentalmente derivata da quella appresa da "Butch" Morris, ma anche parzialmente rivista e facente uso di brevi temi scritti, utilizzati a chiamata e come "pietre miliari" dell'improvvisazione guidata; Botti ha invece lavorato su i temi di sue tre note composizioni, usati però solo come ancoraggio e pretesto per un lavoro improvvisato in parte libero, in parte a chiamata, inserito in un canovaccio interamente costruito assieme all'orchestra; Locatelli ha diretto l'orchestra senza alcun supporto scritto, basandosi solo sul sound painting di cui è maestro, dopo aver istruito i musicisti a una parte —ridotta, ma sufficiente —dei suoi segni codificati, e ha dato attenzione anche al silenzio e al ruolo del corpo nella performance; Reed, infine, ha come Botti preso spunto da alcune sue composizioni, ma le ha ancor più ridotte, costruendo nel laboratorio una struttura sulla quale chiamare temi e assoli.

Tutte e quattro le performances hanno funzionato, al netto di qualche inevitabile sbavatura che —come si conviene all'improvvisazione —è anche stata l'origine di interessanti e inattesi sviluppi. Essendo all'interno dell'orchestra, chi scrive non può dare altra valutazione se non quella del pubblico —che è parso apprezzare molto— e di alcuni musicisti ed esperti interpellati alla fine —anch'essi soddisfatti di quanto ascoltato.

Aldilà della gioiosa bellezza della due giorni, merita sottolineare la sua importanza sia per promuovere e sostenere i musicisti che gravitano attorno all'etichetta Fonterossa, sia per insegnare e diffondere l'improvvisazione nelle sue forme più sperimentali e radicali. Da quest'ultimo punto di vista, va detto che i partecipanti ai laboratori non solo portano con sé nozioni ed esperienze per riutilizzarle nel loro ordinario lavoro, sviluppandolo, ma stanno sempre più organizzando occasioni per sperimentare ancora, in autonomia o con docenti esperti, quanto "assaggiato" nei seminari pisani. Un grazie dunque a Fonterossa e Silvia Bolognesi che organizzano, ma soprattutto a Pisa Jazz e Francesco Mariotti che dedicano attenzione, spazio e finanziamenti ad attività che vanno un po' oltre il mero "spettacolo," ma senza le quali quest'ultimo non potrebbe che languire.

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