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Tomasz Stańko New York Quartet: December Avenue
ByLa dimensione è quella che si focalizza sul lirismo dell'insieme, sulla delicatezza dei dettagli, sulla rarefazione e sulla spazialità del suono. Un obiettivo a cui tutti i musicisti aderiscono con la massima concentrazione e leggerezza, raggiungendo un equilibrio notevole tra il disegno melodico, l'intreccio timbrico e ritmico, l'astrazione. È un'esplorazione misurata, guidata dal trombettista polacco con la forza distesa dei suoi quasi sessant'anni di attività artistica.
Stanko, collaboratore agli inizi del compositore e pianista Krzysztof Komeda, ha tracciato uno dei percorsi più originali e riconoscibili del jazz europeo. Fin dagli inizi musicista legato alla scuderia ECMm, per certi versi ne incarna nel modo migliore una delle anime più significative, legata appunto all'estetica della rarefazione, del dettaglio timbrico e dinamico, della sobrietà. Se in altri frangenti questi aspetti hanno portato all'esasperazione di ogni contenuto sanguigno a favore di un estetismo scialbo, con Stanko ci troviamo di fronte, al contrario, alla distillazione dell'energia, che emerge comunque con forza dal contesto rilassato. Un approccio alla misura e all'eleganza certo non fine a se stesso.
A livello di intensità lirica, a volte di fraseggio e timbro, tante sono le analogie con il nostro Enrico Rava, laddove però il musicista italiano incarna un'anima più latina, più estroversa, che zampilla vitalità e colore. La vicinanza tra i due è stata di recente sottolineata dal tour estivo che li ha visti insieme in Europa ed è stata approfondita dall'intervista reciproca tra i musicisti pubblicata da All About Jazz.
Il quartetto, già nella sua struttura acustica con sezione ritmica e tromba, delinea un clima espressivo ed estetico ben definito, in cui la melodia e certi impasti armonici sono i materiali fondamentali.
Come nel precedente Wislawa, la rarefazione è portatrice di grande intensità. Talvolta l'incipit dei brani è affidato a un solo strumento, che detta il clima con parsimonia e sapiente uso dei silenzi, spesso sottolineando proprio l'aspetto di spazio tridimensionale in cui si muove la musica. È il caso dell'introduzione quasi metafisica di "Bright Moon," con le note martellate da parte del pianoforte, o dello stesso brano di esordio, "Cloud," o di "Blue Cloud." Le nuvole sono efficaci termini metaforici di questa musica.
Spesso l'andamento della musica potrebbe essere definita un moderno mainstream, nell'accezione più attuale ed elastica del termine, con la sua alternanza di ballad pregnanti e di brani dal ritmo frizzante. Ma poi nella leggerezza irrompe il senso del rischio e dell'esplorazione, scardinando quello che si prospetta un comodo ascolto. Tra gli esempi più belli c'è "Burning Hot," dove è ancora il pianoforte mobilissimo di Virelles che inserisce il cuneo dell'imprevisto e lancia un formidabile solo dello stesso Stanko. "Bright Moon" merita una considerazione aggiuntiva, per il culmine di massima coesione emotiva ed espressiva degli strumenti, per il modo in cui la musica respira, per lo straordinario duetto tra la tromba e la batteria che apre la seconda parte: giocato non sui muscoli, ma su architetture evanescenti.
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