Home » Articoli » Interview » Claudio Riggio: La Genesi di una Improvvisazione Corale
Claudio Riggio: La Genesi di una Improvvisazione Corale

Non mi pongo mai il problema se ciò che faccio sia di semplice fruizione. Non perché non mi interessi cosa percepisce l'altro, anzi, il lavoro è proprio sull'ascolto. Ma lo riterrei un atto di grande arroganza pensare se l'ascoltatore possa capire o meno.
AAJ: "Uno Spazio, quattro Oggetti" è un lavoro che colpisce per la qualità dei suoni e per la sua capacità di creare un ambiente sonoro omogeneo. Il titolo stesso mi sembra che sintetizzi perfettamente l'idea di creare uno spazio con una propria fisicità, nonostante le diverse attitudini dei quattro musicisti.
CR: Sono contento che tu abbia colto questo aspetto, perché è proprio l'intento principale del lavoro. L'idea non era quella di sonorizzare un ambiente, ma di creare un luogo in cui a "stare" è l'ascoltatore. Credo che l'ascolto sia la composizione stessa. Quando suoni, non proponi suoni, ma ascolti il tuo silenzio interiore e gli dai voce. L'ascoltatore, con la sua sensibilità, ricompone la musica nella propria testa. L'improvvisazione, dal mio punto di vista, è ciò che può rimanere incompleto, offerto a chi ascolta, che diviene così il vero compositore.
AAJ: Conoscendo la tua precisione e l'approccio più istintivo di Rino Adamo, mi chiedo come si bilancino queste due attitudini. Inoltre, ho notato che molti dei suoni non sono facilmente riconducibili a un singolo strumento, creando un'apparente complessità che in realtà risulta molto omogenea e "impro-ambient."
CR: Hai colto un aspetto fondamentale. È vero, molti suoni non sono facilmente identificabili. In questo lavoro sono esistiti quattro mondi separati che si sono ascoltati senza mai incontrarsi, generando al centro uno spazio vuoto. È come un dialogo con profondo rispetto, dove non si arriva a una sintesi, ma si descrive uno spazio che resta vuoto. Questo è un po' il concetto che guida il lavoro.
AAJ: Ho percepito una grande "matericità" o "tridimensionalità" nella vostra musica, come se l'ascolto fosse un'esperienza sensoriale. Ci sono delle parti più rarefatte, ma ciò che emerge è una densità e una continuità.
CR: Nelle nostre intenzioni, è emersa subito una grande attenzione al rapporto tra suono e assenza di suono come due elementi di uguale pertinenza espressiva. Non è che se non si suona non c'è musica. Volevamo alternare assenza di suono e suono come due elementi in dialogo. Avevo chiesto di pensarci in maniera spaziale, come se un musicista fosse lontano e uno in primo piano. L'ascoltatore è come se fosse nella stanza, vicino a uno strumento e lontano dagli altri, e si crea un "assurdo" nel cambio di senso. Questo ritorna al concetto dell'ascolto come attitudine compositiva.
AAJ: Infine, come hai scelto i musicisti? Perché proprio tu, Rino Adamo , Giancarlo Schiaffini e Marco Ariano?
CR: L'idea è nata in modo molto spontaneo. Rino mi ha chiamato per fare un'altra cosa, dopo il nostro lavoro in duo e abbiamo pensato a un quartetto che includesse un batterista con un approccio più da percussionista, da creatore di sonorizzazioni, che da batterista che tiene una pulsazione A quel punto gli ho proposto di chiamare anche Giancarlo. Li ho incontrati, ho spiegato le mie idee e si sono mostrati subito coinvolti. In studio, si è creata immediatamente una dinamica di ascolto e di rispetto, e ho dato solo qualche indicazione di massima, lasciando a ognuno la sua libertà creativa.
AAJ: Lavori di questo tipo, che sono difficilmente riproducibili, possono essere visti come una provocazione. Che ruolo pensi possa avere una proposta del genere nel mondo musicale attuale?
CR: Non mi pongo mai il problema se ciò che faccio sia di semplice fruizione. Non perché non mi interessi cosa percepisce l'altro, anzi, il lavoro è proprio sull'ascolto. Ma lo riterrei un atto di grande arroganza pensare se l'ascoltatore possa capire o meno. Come io mi sento libero di esprimere ciò che sento, così l'ascoltatore deve essere libero di percepire quello che vuole. Non mi pongo la questione di come la mia musica sarà percepita; la sto offrendo in assoluta e umile sincerità, con la consapevolezza della competenza che condivido con musicisti straordinari.
AAJ: Oggi ho riascoltato in macchina uno dei tuoi primissimi lavori "Audrey" e continua a piacermi molto nonostante gli anni e i numerosi ascolti, anche e non solo per la presenza di Tom Harrell, ma per la scrittura e l'approccio improvvisativo. C'è un'evoluzione nel tuo stile e nel tuo modo di concepire la musica, da album come "Audrey," fino a oggi?
CR: C'è un filo conduttore che collega tutto il mio percorso. In "Audrey," avevo già inserito delle "miniature," ovvero delle destrutturazioni scritte dei pezzi. L'idea di comporre come un atto di destrutturazione, non di costruzione, è nata lì. Quell'idea ha continuato a girarmi in testa: suonare la musica come se fosse uno strumento. Usare ciò che crei non come un oggetto fine a sé stesso, ma come un mezzo per toccare la musica degli altri. Questo ha generato tutto ciò che è venuto dopo.
AAJ: Sembri aver sviluppato un approccio molto fisico e tattile alla chitarra.
CR: Negli ultimi anni, ho lavorato tanto sullo strumento escludendo l'orecchio, toccando la chitarra come se fosse un oggetto non musicale. Ho cercato di creare delle coreografie con le dita sulla tastiera, partendo da ciò che sentivo toccando, anziché da ciò che sentivo con l'orecchio. È un lavoro sinestetico: invece di partire dall'orecchio, parto dalla mano. Non intesa come diteggiatura, ma come il piacere di creare delle forme che poi generano dei suoni. È un approccio che mi ha portato a collaborare con musicisti come Alessandro Giachero, che ha una sensibilità simile.
AAJ: Trovo che voi chitarristi, come anche i pianisti, rispetto a chi suona uno strumento a fiato, abbiate la fortuna di poter lavorare anche sulla percezione tattile.
CR: Sì, è proprio questo il punto. Non parlo di diteggiature, ma di un lavoro sinestetico. A volte la geometria può influenzare il suono: io lavoro su schemi e figure, partendo dalla mano e dal piacere di fare delle forme che generano poi dei suoni, anziché partire dall'orecchio. È un gesto molto sensuale, e l'ho condiviso con gli altri musicisti del progetto sia a parole sia, soprattutto, suonando insieme.
https://on.soundcloud.com/mBmWi0BBZjXgwcvEBH
Tags
Interview
Marco Iacoboni
Claudio Riggio
Rino Adamo
Giancarlo Schiaffini
Marco Ariano
Tom Harrell
Alessandro Giachero
Comments
PREVIOUS / NEXT
Support All About Jazz
