Cinema Torresino
Padova
26.03.2017
Nella pregevole programmazione del Centro d'Arte studentesco di Padova, l'appuntamento con il quintetto
Bigmouth di
Chris Lightcap rappresentava l'occasione ghiotta di ascoltare un concerto in esclusiva per l'Italia, in cui alla notevole caratura dei singoli componenti si univa la bella compattezza di un gruppo tra i più significativi della scena contemporanea. Il pubblico che stipava la sala ha saggiamente colto tale occasione e i due bis hanno dato la misura dell'apprezzamento.
Il carattere del quintetto di Lightcap sta nel saper coniugare temi accattivanti, estroversi, con una qualità musicale e un'energia notevoli. Cosa non facile, se si considerano le insidie della routine e dell'artificio nascoste in tale sintesi, che nel caso di Bigmouth sono tenute lontane dal lavoro compositivo del contrabbassista, sorretto da intelligenza e istinto. Per certi versi, restando nell'ambito dei contrabbassisti leader, la felice sintesi di elementi ricorda il primo quartetto di
Dave Holland con
Anthony Braxton e
Sam Rivers. Fatte le dovute proporzioni, anche in quel caso la sostanza musicale si sposava spesso con temi di grande impatto emotivo.
Nel caso del quintetto
Bigmouth, brani come "Nine South" e "Plattform" hanno la capacità di imprimersi con immediatezza nella memoria, ma poi, scavando, scoprono tante altre sfumature e finezze. In primo luogo gli impasti su cui si regge il lavoro del gruppo. Una coesione ariosa e ricca di sfumature, di libertà della sezione ritmica, che fin dalle prime battute del concerto si è messa in luce come un trio in grado di reggere un'intera esibizione. Poi la qualità scura, ruvida, screziata della fusione tra i due sax tenori, che spesso dà l'impronta più originale e riconoscibile al quintetto.
I due tenori di
Tony Malaby e
Chris Cheek trovano perfetta coesione nel reciproco ascolto e rispetto, ben riconoscibili nel contrasto stilistico e timbrico, pronti ad emergere con pregnanza e ad appartarsi con discrezione. "Blues for Carlos," in uno dei bis, ha dimostrato la perfetta osmosi dei due in assolo intrecciato.
La batteria di
Gerald Cleaver è quanto di più incisivo, dinamico e musicale si possa trovare oggi su una scena che spesso abbonda di supervirtuosi riluttanti alla autolimitazione. Il legato di Cleaver al piatto è un supporto prezioso per il contrabbasso movimentato del leader, il quale spesso evita la scansione walking per destreggiarsi con fantasia su metri saggiamente lontani dalle ormai note combinazioni più capricciose. Il pianoforte e il piano elettrico di
Craig Taborn sono al servizio di questa musica e nel contempo la alimentano di delizie.
Qua e là si avverte l'influenza di Ornette e di
Charlie Haden: "Epicenter" si muove con grazia nell'estro danzante e zigzagante di Coleman, con il lavoro di Taborn che dimostra come il suo pianoforte avrebbe potuto essere uno dei rari comprimari del sassofonista. E con Malaby che evidenzia una vicinanza empatica a
Dewey Redman. Il leader, in particolare quando si ritaglia assoli e raccordi, è memore non supino della lezione di Haden.
Foto: Vigilio Forelli