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Charlie Haden Quartet West
Teatro Manzoni - Milano - 31.10.2010
La ventiseiesima edizione di Aperitivo in Concerto offre ampio spazio alle orchestre, quelle che (citiamo dal materiale di presentazione della rassegna) "all'epoca dello Swing venivano definite infernal machines, macchine infernali da ritmo, meccanismi implacabili nel delineare la potenza espressiva del jazz attraverso la metafora delle orchestre sinfoniche europee, trasformate in equivalenti improvvisativi ma con un diverso risvolto teatrale, in cui intrattenimento e impegno si incontrano e si fondono".
In apparente contraddizione con questa linea programmatica, il concerto d'apertura della rassegna è stato affidato ad una piccola formazione, il Quartet West di Charlie Haden. La contraddizione è però solo apparente. In primo luogo perché il Quartet West nasce, nel 1987, con l'intento di far rivivere il jazz degli anni '30 e '40 (la stagione dello swing di cui sopra, appunto). E poi perché Haden, leader della storica Liberation Music Orchestra, è uno che di orchestre se ne intende.
In questo concerto milanese, il Quartet West si è presentato con l'organico quasi- originario: Ernie Watts al sax tenore, Alan Broadbent al piano, Rodney Green (che sostituisce Larance Marable) alla batteria. Una formazione che, dopo venticinque anni di musica insieme, ha raggiunto una perfezione esecutiva davvero straordinaria, convincendo per una volta anche chi scrive (di solito molto scettico in proposito) che effettivamente "non è importante cosa si suona, ma come lo si suona".
In programma, brani prevalentemente tratti dal recente album Sophisticated Lady (realizzato con il contributo di Norah Jones, Cassandra Wilson, ed altre grandi voci femminili), incentrato sulla Los Angeles di Raymond Chandler e le sue atmosfere noir.
Ma, come sempre in Haden, l'operazione nostalgia non è fine a se stessa. Il Quartet West guarda più indietro che in avanti, questo è indubbio. Il concerto si è aperto su un giro armonico di Charlie Parker, e si è chiuso con "Blue in Green". La rielaborazione del linguaggio in chiave contemporanea è però sempre presente. La sorpresa sempre dietro l'angolo.
Esemplare, a questo proposito, l'esecuzione di "Lonely Woman". Questo meraviglioso brano di Ornette Coleman, lo sappiamo bene, è ormai un po' troppo suonato ed abusato. Sta diventando una sorta di prezzemolo onnipresente, l'equivalente contemporaneo di quello che è stato "'Round Midnight" negli anni immediatamente successivi all'uscita del film di Tavernier. Il quartetto (ed in particolare Alan Broadbent nel suo spazio solistico) lo ha però completamente trasfigurato, portandolo su territori a tratti blues, a tratti magmatici, a tratti quasi euro-colti. In breve, restituendocene un'interpretazione imprevista ed imprevedibile, nuova ed al tempo stesso rispettosa ed affettuosa.
Foto di Roberto Cifarelli.
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