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Brian Auger's Oblivion Express
ByTeatro Politeama - Manerbio - 14.11.2007
Il secondo appuntamento della dodicesima edizione del Manerbio Jazz Festival, in programma mercoledì 14 novembre, ha visto protagonista un’icona del jazz rock, Brian Auger, accompagnato dagli Oblivion Express. Questa formazione, che negli anni settanta ebbe un grandissimo successo in tutto il mondo è stata chiaramente rinnovata ed ora comprende due figli del grande hammondista, Karma alla batteria e Savannah alla voce, oltre al bassista Jeffrey Condor.
Chi ha seguito negli ultimi anni le sue esibizioni sa che più o meno il repertorio è quasi sempre lo stesso, ma questo non toglie il fatto che alla veneranda età di sessantotto anni Brian Auger sia ancora un massimo esponente dell’organo hammond. La scaletta verteva principalmente su tre album pubblicati nella prima metà degli anni settanta, vale a dire Second Wind, Closer to It e Straight Ahead, dai quali sono stati attinti otto brani che hanno mantenuto la freschezza di quegli anni. Dall’iniziale “Freedom Jazz Dance”, firmata da uno dei suoi musicisti preferiti, il sassofonista Eddie Harris, è stata tutta una carrellata di ricordi, passando da “Truth” a Don’t Look Away”, Whenever You’re Ready” e “Happiness Is Just Around the Bend”.
Poi un tuffo ancora più indietro nel tempo, con le rivisitazioni di “Save Me” e “Light My Fire”, che allora erano cantati da Julie Driscoll, ed ora ci pensa Savannah, che non è alla sua altezza, ma è migliorata decisamente dalle prime uscite, che risalgono ormai a quasi dieci anni fa.
Anche Karma alla batteria ha fatto notevoli progressi, ma la colonna portante è solamente lui, il buon vecchio Brian, che, conserva intatto il suo stile così unico negli assoli e nelle armonie.
E oltre al suo umorismo british in versione italiana,(molto divertenti i suoi siparietti "maccheronici") ci ha regalato tre momenti indimenticabili, con tre “classici”: uno nel vero senso della parola, “Pavane”, ripescato nel repertorio dei Trinity, un blues rock barocco che ci ha fatto tornare ai tempi del progressive inglese.
Poi è stata la volta di “Butterfly”, preceduta da un ricordo del tastierista su una tournèe americana a fianco degli Headhunters di Herbie Hancock: è proprio suo infatti questo strumentale a cui Brian ha aggiunto il testo. Era uno dei pochi pezzi lenti che Hancock eseguiva nel suo periodo funky, ma è di una bellezza straordinaria.
E per finire uno dei cavalli di battaglia fin dai tempi dei primi Oblivion, “Bumpin on Sunset”, di Wes Montgomery, rifatta in versione molto lenta e ipnotica.
Un concerto molto piacevole che non poteva non concludersi con un acclamatissimo bis, un’infuocata versione di “Compared to What”. Il vecchio leone ruggisce ancora...
Foto di Danilo Codazzi Altre immagini tratte da questo concerto sono disponibili nella galleria immagini
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