David Haney: Blues Royale

E poi, non capita spesso di imbattersi in un musicista giovane e smaliziato che abbia il coraggio e la voglia di confrontarsi liberamente con il repertorio del cosiddetto pre-war blues. Dalla mitica “Soul of a Man” di Blind Willie Johnson (recentemente riportata in auge dall’omonimo film-documentario di Wim Wenders) all’altrettanto epica “Big Road Blues” di Tommy Johnson, dall’immortale traditional “Old Landmark” alla misconosciuta “France Blues” del fantomatico Papa Harvey Hull, il pianista canadese pesca a piene mani nell’immenso calderone della black music anni venti e trenta.

Ci sarebbe, dicevamo, perché in queste undici tracce funziona poco o nulla. Non convince l’impasto sonoro allestito dal trio: i due contrabbassi si ostacolano vicendevolmente e spesso finiscono per eclissare il timido pianoforte (spiace dirlo, ma sovente i dischi CIMP soffrono di fastidiose approssimazioni in fase di missaggio). Non convince l’approccio al repertorio: eternamente indecisi tra un rigoroso spirito didascalico ed una cieca volontà sovvertitrice, i tre finiscono per galleggiare a mezz’aria in preda ad un’evidente mancanza di lucidità.

Ma, quel che è peggio, lascia perplessi il respiro complessivo della formazione e lo spirito di fondo che anima il progetto. Il blues, in particolare questo genere di blues, è questione di pancia, è musica carnale e sanguigna, brutalmente arcaica e dolente, avvicinarla con sguardo asettico e distaccato non rende certo giustizia al fuoco sacro che arde perennemente nelle dodici battute.

Che altro aggiungere? Un clamoroso passaggio a vuoto.

Comments