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Avanguardia dall'Ungheria: Check It Out, Igor / La Manivelle Magyare
ByBéla Szakcsi Lakatos - Miklós Lukács
Check It Out, Igor
BMC Records
(2005)
Valutazione: 3 stelle
La registrazione che ha portato a questo disco è stata effettuata in sole otto ore ed è completamente improvvisata. Il terreno d'incontro tra un jazzman di ampie vedute come Lakatos (le sue collaborazioni vanno da Frank Zappa ad Art Farmer, da Jack DeJohnette a David Sanchez) ed un solista classico dal ricco bagaglio etnico come Lukács è una musica prettamente contemporanea che mantiene relazioni col dinamismo ritmico del folklore ungherese. La fantasia dei solisti tende a trasfigurare ogni cosa, evidenziando il loro dialogo di artisti liberi che alternano concitate interazioni a momenti liricamente astratti.
Il cimbalom è uno strumento della tradizione folklorica gitana che Lukács usa con tecnica formidabile aggiungendo la stessa capacità di dominio che dimostra Abou-Khalil per l'oud. I due artisti instaurano un dialogo ricco d'inventiva, rispondendo in maniera empatica alle sollecitazioni reciproche al punto che sembra impossibile nasca di getto, senza neppure degli abbozzi tematici. L'intesa è immediata sul piano ritmico, anche se alla lunga il risultato risulta un po' monocorde. Di grande fascino (con una rarefazione che ricorda l'estremo oriente) sono invece le pagine d'impronta cameristica come "Lukas" oppure "An Invocation and a Curse" dove la musica indulge in sottili trasparenze. Ancora su questa linea intimista ma più incline alla ballad jazzistica è "Autumn Memories", che vede protagonista il raffinato pianismo di Lakatos e risulterà gradito al pubblico più tradizionalista. Il disco resta comunque rivolto agli appassionati della libera improvvisazione post-free e dell'avanguardia.
La Campagnie des musique à ouïr.
La Manivelle Magyare
BMC Records
(2005)
Valutazione: 3 stelle
Protagonista de La Manivelle Magyare è il trio francese La Campagnie des musique à ouïr ampliato a tre colleghi ungheresi, il più noto dei quali è appunto il chitarrista Gábor Gadó. La musica del disco trae spunti dall'estetica dei gruppi guidati da Bill Frisell e Bobby Previte che integra in un tessuto variopinto e ricco di suggestioni: si va da iterazioni folkloriche a motivi caratterizzati da compostezza accademica, da impetuose parentesi rock a quadri liberamente improvvisati e quant'altro.
Una logica inclusiva che ha il pregio di offrire molti spunti interessanti ma che promette più di quanto riesce a mantenere: la tensione collettiva spesso si diluisce e il percorso musicale non sembra andare verso una chiara identità stilistica. Non sembri una critica eccessiva. Come detto, il lavoro ha molti tratti interessanti ed in qualche momento risulta appassionante. Gli interventi solisti sono apprezzabili e gli impasti timbrici efficaci. Ma soffre di un sovraccarico espressivo che ne appesantisce il passo.
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