Ventiquattro minuti, un unico lungo brano, dal vivo all'FGO Barbara di Parigi il 16 febbraio 2018, bastano a Eve Risser per dirci tutto e il contrario di tutto: che si può partire lancia in resta, forti di idee, smalto, inventiva, e strada facendo perdere la bussola, smarrire idee, smalto e inventiva, rifugiandosi in un'iteratività decisamente troppo insistita che trasforma gli ultimi minutima progressivamente quasi tutta la seconda metàdella performance in un percorso abbastanza sofferto (per chi ascolta).
È quanto accade in questo singolare mini-album della pianista francese, che del resto ci ha abituati a saliscendi anche repentini fra disco e disco, prova e prova, nonché all'interno dello stesso segmento espressivo della sua evidentemente dibattuta creatività. Qui si parte con belle dinamiche di piano preparato, suoni pieni e strisciati, accarezzati e percossi, comunque vivi, spesso palpitanti, che tengono deste curiosità e attenzione di chi ascolta, fino al momento in cui si coglie abbastanza perentoriamente come una sorta di black-out creativo, che fa scivolar via l'interesse fino a poco prima indiscutibile, trascinando mestamente quanto segue sino alla fine dei suddetti ventiquattro minuti. I quali, a conti fatti, finiscono per rivelarsi persino troppi.
La verità, ovviamente, e malgrado l'additata eterogeneità qualitativo-inventiva, sta nel mezzo. Come il valore complessivo del lavoro, comunque stimolante.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o