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Anthony Braxton chiude Biennale Musica 2012

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Non deve sembrare una scelta eccentrica se Biennale Musica 2012 - il cui sottotitolo +Extreme- ha voluto sottolineare la presenza nel panorama contemporaneo di orientamenti estetici estremi - ha pensato bene di affidare la conclusione ad Anthony Braxton. Il poliedrico musicista americano il 13 ottobre ha pilotato il suo 12+1tet (senza nascondere di essere superstizioso, è ricorso a questo ingenuo espediente solo per non dire che i componenti dell'ensemble erano 13, numero che porta sfortuna); la formazione, in cui la quota rosa ha raggiunto quasi il 50%, comprendeva nomi ben noti coi quali il sassofonista collabora da anni: Taylor Ho Bynum, Mary Halvorson, Ingrid Laubrock, Jessica Pavone, Erica Dicker, James Fei... Nell'esecuzione di "Composition 355(+)" Braxton ha confermato la sua personale visione di una musica contemporanea afroamericana, in cui composizione e improvvisazione si compenetrano fra loro in modo indissolubile.

Del jazz non si sono conservati, se non in modo molto trasfigurato, lo swing e il senso del blues. Sono sopravvissuti invece, e in misura determinante, l'esigenza di un sound concreto e personalizzato (ancora inconfondibile la pronuncia del leader al contralto) e soprattutto l'interplay fra le varie voci all'interno di griglie compositive da interpretare secondo un ampio grado di libertà improvvisativa; per cui si può parlare, come nel jazz (dalle origini di New Orleans fino alle ricerche di oggi), di una musica prettamente collettiva. In Composition 355(+) scattanti e insistite strutture geometriche, esposte all'unisono, si sono progressivamente sfaldate in più aperti e ampi sviluppi narrativi, coagulate in mirate aree strumentali, articolate in contrastati contrappunti, in formicolanti situazioni d'assieme o in essenziali spunti solistici.

Ne è risultata una prova matura di una concezione compositiva austera e ambiziosamente elaborata nei decenni, interpretata con competenza e motivata partecipazione dai fedeli collaboratori; per quanto il risultato sia stato più che convincente, l'atteggiamento complessivo non è riuscito a travalicare definitivamente da un lato i limiti di un esercizio accademico di derivazione colta, dall'altro il compiacimento di un ritualismo risaputo e autoreferenziale proprio di certo jazz.

Nel pomeriggio, sempre nei suggestivi spazi dell'Arsenale, la 56^ edizione del Festival veneziano ha proposto la notevole performance di Ludus Gravis, larga formazione di contrabbassi fondata nel 2010 da Stefano Scodanibbio, alla memoria del quale il concerto è stato dedicato, e da Daniele Roccato, efficace interprete nelle composizioni per contrabbasso solo.

Appunto l'aspetto ludico e quello della gravità, nel senso più ampio del termine e non solo per quanto attiene il registro degli strumenti, convivono in "Ottetto," ultima composizione di Scodanibbio, scritta nel 2011 su commissione di Angelica Festival. Il ricorso a un'ampia gamma di soluzioni tecnico-espressive ha dato vita a un percorso movimentato, a una sequenza di sorprendenti episodi concatenati. Nella seconda parte le componenti melodica, armonica e ritmica si sono materializzate in modo più esplicito, sovrapponendosi tumultuosamente fra loro con dinamici accorgimenti contrappuntistici.

In Bajo el Volcán, lavoro per sette contrabbassi scritto appositamente da Julio Estrada per Ludus Gravis ed eseguito in prima assoluta, l'andamento strutturale si è affidato non a una puntigliosa notazione ma allo sfregamento eterodosso degli archetti e delle mani sugli strumenti o degli stessi archetti fra di loro, creando effetti timbrici e cromatici imprevedibili. Si è sviluppato così un fluire sonoro pigro, ondivago, misterioso, con increspature e addensamenti che sembravano dare voce alle lamentazioni di una natura agonizzante. Si è inoltre rivelato particolarmente coinvolgente l'impatto scenografico di questa performance, risultato sia dall'evidente componente gestuale prevista dalla partitura, sia dall'aggressività cromatica delle casacche rosse indossate dagli esecutori, intraprendenti garibaldini di un'attuale visione estetica sempre all'attacco con disinvolta vitalità.

Foto di Akiko Miyake (la seconda e la terza).

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