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Allison Miller: Breaking Ground
Bisogna essere una persona fuori del comune per eccellere in diverse discipline artistiche, in particolar modo quando il successo ti mette sotto i riflettori e si manifesta in contesti differenti. Di certo la padronanza della tecnica è importante, ma ci vuole anche un giusto mix di capacità di adattamento, curiosità e determinazione. È forse questo che rende Allison Miller, batterista, compositrice, band leader e femminista dichiarata, una persona ed una musicista così carismatica.
Come musicista, si è distinta sia nel Jazz, sia come cantautrice, avendo lavorato con alcuni dei massimi esponenti di entrambe le scuole. Si trova egualmente a suo agio suonando Free Jazz con Marty Ehrlich o andando in tour con personaggi del calibro di Ani DiFranco, Brandi Carlile e Natalie Merchant. È una band leader affermata, e ha pubblicato recentemente un disco Jazz, Boom Tic Boom (Foxhaven Records, 2010), che ha ricevuto molteplici riconoscimenti. Suona in un modo sottile ma ricco di contenuto, e le sue composizioni, nelle sapienti mani dei compagni di band Myra Melford (pianoforte), Todd Sickafoose (contrabbasso), e Jenny Scheinman (violino), si muovono e si alternano tra melodie straight-ahead ed improvvisazione sperimentale, creando un equilibrio pieno di emozione.
Gli esordi
All About Jazz: Quando hai cominciato a suonare la batteria?
Allison Miller: Ho cominciato a dieci anni.
AAJ: Perché proprio la batteria?
A.M.: È quel che ho sempre desiderato fare. Per me non esiste altro strumento [ride]. In effetti ho cominciato a suonare quando mia mamma mi ha iscritto in una band dove suonavo un piccolo rullante. Ho partecipato a questo campo scuola musicale per un paio d'anni, prendendo lezioni sia di canto che di piano. E alla fine fui grande abbastanza per la batteria, perciò posso dire che cominciai a suonare la batteria al campo estivo. La prima canzone che imparai a fare alla batteria fu "Billie Jean" [ride]. E la suonavo in questa grande band, era davvero divertente. Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che hanno approvato le mie scelte. Ho sempre mostrato talento per la batteria. E mi hanno sempre dato un grande sostegno, e penso che questo sia dovuto alla mia forte convinzione di farne una carriera. Ho molti studenti che suonano davvero bene, ma al di fuori delle lezioni non sono incoragiati abbastanza. E quindi si convincono che non potrà mai essere una professione. Io gli dico sempre che se vuoi davvero qualcosa, lo puoi ottenere. Basta avere una forte disciplina.
AAJ: Ho sempre trovato interessante il fatto che molti musicisti sapessero sin da subito che strumento avrebbero voluto suonare. Sono attratti da un particolare, o dal modo di suonare.
A.M.: Beh, penso che siano davvero fortunati, perché sanno davvero quel che gli piace.
AAJ: Dopo "Billie Jean," mentre via via imparavi a suonare, quale e come è stato il tuo incontro con il Jazz?
A.M.: Tony Williams è stato colui che mi ha influenzato maggiormente. In particolare, le sue esecuzioni in Miles Smiles (Columbia, 1966) e Nefertiti (Columbia, 1968). Alle superiori mi sono innamorata di quel tipo di musica. Avevo già avuto modo di ascoltare del Jazz prima di allora: le Big Band, Buddy Rich, eccetera. Ero colpita dalla sua abilità tecnica alla batteria, ma non mi prendeva, musicalmente parlando. Fu Tony a farmi scattare qualcosa dentro. E dopo Tony, sono stata catturata dalla musica di Wayne Shorter, John Coltrane e Elvin Jones. E Thelonious Monk.
AAJ: Hai capito subito che volevi fare della musica una professione, o te ne sei resa conto in seguito?
A.M.: Direi che l'ho capito subito... C'è stato un momento in cui pensavo di fare l'archeologa, ma è passato subito [ride]. La famiglia di mia madre ha una lunga tradizione di musicisti. Mia madre è pianista, e direttrice di un coro. Ha avuto un'educazione musicale classica, è andata al conservatorio, e tutto il resto. Mia nonna Sugar la chiamavamo Sugar o Money; non so perché, ma quelli erano i suoi soprannomisuonava l'organo. Era organista di professione, in Oklahoma. E la sorella di mia nonna era una cantante professionista, e sua sorella una pianista. Mio cugino è un cantante d'opera molto famoso. Io sono l'unica musicista in famiglia che abbia preso una strada diversa da quella della musica classica.
AAJ: Credo che nelle famiglie che non posseggono quel genere di background musicale il momento in cui si annuncia la propria intenzione di diventare musicista sia particolarmente difficile. Si sentono spesso, da parte dei genitori, commenti del tipo "Ehi, ma come pagherai le bollette?"
A.M.: Vero. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto tantissimo. Hanno investito su di me. Hanno capito che quel che facevo mi appassionava veramente. Quando ho cominciato mi hanno dato questo piccolo drum pad. E l'ho usato per un bel po.' Poi mi hanno dato un rullante. Ma non mi davano una batteria, mentre quel che avrei voluto suonare era una batteria. Ho suonato per due anni su piccole batterie da esercitazioneuna di quelle cose che hanno i pad di gomma. Ci ho suonato per due anni. Dopo di che hanno capito che se non mi ero ancora stufata era perché volevo suonare davvero la batteria. Perché non è affatto divertente suonare su quei pad di gomma. Avevano capito che facevo sul serio. E da allora non hanno mai smesso di sostenermi.
L'esperienza di New York
A.M.: Finite le scuole, sono tornata a Washington, dove vivevo con i miei e dove mi esibivo regolarmente. Un mio amico pianista che viveva a New York una volta mi invitò, così cominciai ad andarci abbastanza di frequente, e mi piacque fin da subito. Dentro di me mi ero detta che sarei rimasta a Washington, a perfezionare la tecnica per altri cinque anni prima di trasferirmi a New York. Ma quando cominciai ad esibirmi a New York cominciai a non poterne più fare a meno; a due mesi dal diploma mi ci trasferii. Non avevo fatto chissà quali progetti, ma tutto sommato andò bene. L'amico di un amico aveva un appartamento a New York, e a metà degli anni Novanta potevi ancora permettertelo. Mi cascò tra le mani, e colsi la palla al balzo.
Avevo dei risparmi da parte, così mi trasferii. E mi andò bene. Suonavo persino nelle stazioni della metropolitana, qualunque occasione mi capitasse a tiro. Suonava il telefono e accettavo l'ingaggio, qualsiasi cosa fosse. In questo modo feci moltissima esperienza, e fu così che diventai un adulto che si guadagna da vivere suonando. Ma non fu affatto facile. Oggi non riuscirei a reggere quei ritmi e quello stile di vita.
Ma era divertente. Avevo 21 anni e amavo la città, e New York negli anni Novanta era un gran posto dove vivere, dove andare a spasso ad ascoltare buona musica ogni sera. C'erano molte ottime jam session allora, semplicemente andavi e suonavi. Andavo, suonavo e talvolta mi cacciavano. Ma ogni volta imparavi qualcosa di nuovo sulla musica e su come suonare insieme ad altri.
New York è stato un gran bel posto dove stare quando ero giovane. Ti ha reso umile. Mi ero avventurata in una città dove c'erano mille batteristi migliori di meo almeno diversi da me, dal punto di vista musicale. Un bel bagno d'umiltà. Alla fine del college credevo di aver già imparato tutto. Poi mi trasferii a New York e capii, "No, non ho ancora imparato un bel niente!"
Lo stile di Allison
AAJ: Parliamo un po'del tuo stile. Hai avuto molto successo con il Jazz, ma ne hai riscosso altrettanto cimentandoti in altri generi, in particolare come cantautrice. Paragonando i due mondi, cos'è che ti tiene focalizzata sui ritmi del Jazz?
A.M.: Ognuna di queste due espressioni ha a che fare con due lati molto diversi del mio carattere. Il Jazzo come mi piace definirla, la musica creativa, improvvisataè il mio primo amore. È per questo che mi sono appassionata alla batteria. Adoro l'ergonomia delle percussioni Jazz. Adoro la musica. Adoro ascoltarla. Quando sono a casa, questo è il genere musicale che ascolto di solito. Soddisfa il mio bisogno di coesistere e di comunicare con gli altri musicisti sul palco, che in fondo è il significato profondo della musica.
Appena ieri abbiamo fatto una serata di puro Free Jazz e avanguardia. Senza prove. Senza concordare una musica o un'altra. Siamo saliti sul palco e abbiamo suonato. Questo per me è il vero senso della musica. Tre persone sul palco che comunicano solo tramite la musica, che si parlano l'un l'altra con i propri strumenti. Questo è il senso della musica.
E il Jazz è ciò che soddisfa questo aspetto del mio essere. Adoro il feeling del Jazz. Adoro l'orchestra di Count Basie. E Duke Ellington. Sunny Murray. I duetti di Don Cherry e Ed Blackwell. Adoro ogni sfaccettatura del Jazzswing, straight o free, per me è comunque stupendo e mi colpisce dritto al cuore.
L'essere cantautrice fa parte di quella parte di me che rappresenta ciò che ero prima di imbattermi nel Jazz. Quando ero più giovane ascoltavo molti cantuatori e continuo a farlo anche adesso, dato che io stessa lo sono. I miei primi amori musicalmente parlando sono stati Prince, Michael Jackson, Joni Mitchell, Jimi Hendrix. Li adoravo davvero. Perché soddisfano quella parte di me che vuole sentire canzoni ben scritte, con dei bei testi, che abbiano il giusto groove e che siano ballabili.
C'è un altro aspetto dell'essere una cantautrice che mi piace particolarmente, vale a dire la possibilità di realizzare un album prodotto come si deve. Adoro essere in studio, come produttrice, e trovare il giusto accompagnamento di chitarra, o di batteria, adatto alle parole del testo. Adoro trovare il giusto sound per una canzone. Per me il bello in un brano come cantautore è suonare la batteriae spesso la parte per batteria è abbastanza semplice e rarefatta, e adoro avere spazio per la batteriaamo trovare il giusto timbro per una canzone. Posso mettere un backbeat su due e quattro come sottofondo per molti brani, ma per ognuno scelgo un diverso rullante, o un diverso suono dei piatti, o ancora un rullante più tintinnante. Questi piccoli espedienti ti permettono di cambiare completamente il timbro e il feeling del pezzo. Penso che al mio lato ossessivo-compulsivo piaccia molto il dover trovare la giusta soluzione.
AAJ: Curi molto l'aspetto del suono, in particolare tramite un uso molto vario del rullante e delle spazzole.
A.M.: In genere, le spazzole saltano fuori con le ballad. A me piace molto il loro suono sul tamburo, mi ci sento in sintonia, e per questo scelgo di usarle con più forza. Senza pensarci su, in effetti. Sento che è il momento giusto e le uso.
E dire che usare le spazzole è più difficile delle bacchette. Ci vuole più controllo dei muscoli. Ai miei studenti alle prime armi faccio fare esercizio con le spazzole. E c'è un esercizio in particolare che faccio e che propongo ai miei studenti. Si chiama "Alan Dawson Rudimental Rituals." È un esercizio che dura venti minuti ideato dal grande batterista Alan Dawson. Dawson ha insegnato a Tony Williams, Terri Lyn Carrington e altri batteristi famosi. Io stessa ho studiato da un batterista che a sua volta aveva studiato da lui. E abbiamo tutti imparato ad eseguire questo esercizio. E lo faccio fare a tutti i miei allievi, con le spazzole, ed è un modo per migliorare il modo di suonare con le spazzole.
Donne di carattere
AAJ: parliamo del tuo nuovo album, Boom Tic Boom. Nella conferenza stampa del lancio hai spiegato che ti sei ispirata a donne che contano molto nella tua vita. A chi ti riferivi?
A.M.: Ho la fortuna di avere alcuni amici davvero speciali. Sia uomini che donne. E quando ho composto le musiche dell'album non ho pensato "Devo scrivere un disco dedicato a tutte le donne forti, radicali ed ispirate che conosco." Ho cominciato a scrivere e a poco a poco mi sono resa conto che tutte le donne con le quali avevo a che fare allora mi ispiravano.
Ad esempio, "Big and Lovely" l'ho scritta per la mia grande amica Toshi Reagon, di Washington. È una grande cantautrice e forse una delle artiste più trascinanti in circolazione. Quando siamo a Washington passiamo un sacco di tempo insieme. Va spesso in tour, così abbiamo entrambe molto tempo libero quando siamo a casa e dato che ci piace la buona cucina, ne approfittiamo per uscire e provare posti nuovi. Una sera abbiamo partecipato ad una festa incredibile in un piccolo bistrot vicino a casa mia. La mattina dopo mi sono alzata e quella canzone mi è venuta spontanea. E questo perché stavo pensando a Toshi. Era legata a lei perché avevamo appena trascorso insieme quella splendida serata.
Il brano "Cheyenne," il primo dell'album, l'ho scritto per un'altra grande amica, la batterista Jen Gilleran, che è del Colorado. Andavamo in giro per Cheyenne [città del Colorado, N.d.T.] e mi è venuta in mente quella canzone. Non è stato nè intenzionale, nè pianificato. Non avevo capito quanto quelle donne mi avessero ispirato finché non ho scritto la musica. Pensai "Accidenti, questa canzone l'ho scritta pensando a lei. Questa pensando a mia mamma, che è fantastica. Questa per le mie sorelle." Semplicemente così.
Ho anche molte amiche davvero radicali, femministe convinte ed impegnate in politica. E quindi finiamo spesso a discutere un sacco [ride].
AAJ: parliamone ancora un po'dopotutto scrivo da una città permeata di politica. Una cosa che ho notato al tuo spettacolo è che c'erano molte coppie lesbiche tra il pubblico. È stato davvero piacevole vedere una cosa del genere in un evento a Washington DC, specialmente perché c'era anche molta gente che era venuta per godersi una serata di Jazz. Un interessante mix di persone, alquanto inusuale. Che effetto ti ha fatto un'esperienza del genere?
A.M.: Mi ha fatto piacere che delle lesbiche siano venute a sentirmi suonare del Jazz. Il Jazz è una musica sofisticata: non è sempre facile da ascoltare e non è una musica che attira le masse. E sfortunatamente non attira neanche i media, al giorno d'oggi. Sembra una forma d'arte che sta morendo. Beh, magari non sta morendo, ma non riceve i riconoscimenti che si merita. Quindi se posso essere un mezzo per avvicinare al Jazz coloro i quali non sono soliti ascoltarlo, vuol dire che sto facendo bene il mio lavoro.
Penso che le persone vengano perché sono out ma sono spesso sui media. Ho suonato per cantanti che sono icone del movimento femminista come Ani Difranco e per famose cantanti out come Brandi Carlile. Sono in questa comunità che è molto omocentrica e ho dei fan. E quelle persone sono uno zoccolo duro, e sono mie fan, qualunque tipo di musica io suoni. È fantastico.
E in effetti quella serata in particolare c'erano moltissime donne. Molte più che in altri spettacoli che facemmo quella settimana. E molte di quelle donne comprarono i CD. Non pensavo l'avrebbero fatto. Pensavo che avrebbero detto, "Questa musica è troppo strana per i miei gusti." Ma sono state fantastiche, grandi.
AAJ: È stato entusiasmante vedere quel mix di persone. E ha spiazzato anche gli aficionados del Jazz, che si guardavano intorno pensando, "C'è qualcosa di diverso in questo pubblico." e penso che sia stata una cosa positiva.
A.M.: Già. E c'erano anche molti giovani. Anche alcuni giovanissimi, e mi è sembrata una cosa divertente.
AAJ: In passato hai parlato delle difficoltà di essere una batterista donna. Immagino te lo chiedano ad ogni intervista, ma voglio chiederti se pensi che la sfida di essere out, di essere una batterista donna in ambito Jazz, sia ancora una sfida o se le cose stiano cambiando.
A.M.: Sono convinta che le cose stiano cambiando, ma rimane una sfida. Voglio dire che finché il palco non sarà eterogeneo come un qualunque angolo di strada di New York, avremo ancora molta strada da fare. Cioè un posto dove puoi sentir suonare una band di qualunque razza e genere. Penso che sia molto più facile oggi per una batterista ventenne di quanto lo fosse per me quando avevo vent'anni. Ed era più facile per me quando avevo vent'anni di quanto fosse per Terri Lyne Carrington, o Cindy Blackman, o Geri Allen, o per qualunque altra grande artista come loro.
Ma dobbiamo ancora fare molta strada. E per cambiare bisogna farsi vedere. Fare in modo che donne come me, che suonano dal vivo, vengano viste dai ragazzimaschi e femmineper far loro vedere che anche le donne possono suonare la batteria. Fare in modo che sia una cosa ovvia. Perché è solo questione di immagine. Quando la nuova generazione, che non sa la differenza, penserà che sia normale vedere una donna alla batteria, allora ciò diventerà normale.
Per me è assolutamente normale. Non ci ho mai neache pensato fino all'età di ventun anni e le persone hanno cominciato a dire 'È strano vedere una batterista donna' E io dicevo "Davvero? Perché? Non mi vedo a fare altro."
Discografia Selezionata
Allison Miller, Boom Tic Boom (Foxhaven Records, 2010)
Todd Sickafoose, Tiny Resistors (Cryptogramphone, 2008)
Agrazing Maze, At the End of the Day (Foxhaven Records, 2005)
Allison Miller, 5am Stroll (Foxhaven Records, 2004)
Foto di Angela Jimenez (la prima), Smith Banfield (la terza), Joanne Weisner (la quinta)
Traduzione di Stefano Commodaro
Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA
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