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Abdullah Ibrahim & Ekaya
ByTeatro Manzoni - Milano - 30.01.2011
E' sempre un piacere ascoltare la musica di Abdullah Ibrahim. Il suo jazz così gioioso e solare. Semplice, verrebbe da dire. Non fosse che questo termine viene spesso frainteso, e scambiato per banalità. Ma la semplicità della musica del pianista sudafricano non ammette fraintendimenti. E' delicatezza, pura essenzialità. L'andare diretti al cuore della musica, e dell'ascoltatore, con serenità. In una comunione di spiriti che diventa rito quasi-religioso.
In questo concerto milanese, Ibrahim ha presentato brani prevalentemente tratti dal suo nuovo album Sotho Blue, pubblicato dall'etichetta Intuition. Evocando a tratti in modo sommesso, altre volte in modo palese, il maestro Ellington (un brano è stato esplicitamente introdotto, tra le risate degli altri membri della band, sulle note di "Take the a Train").
Motore della sua piccola orchestra, il contrabbasso di un Belden Bullock in grandissima forma, e le fantasiose coloriture della batteria di Gorge Gray, mentre ampio spazio solistico è concesso ed uniformemente distribuito tra i quattro fiati (Antonio Hart a flauto e sax alto, Keith Lofotis al sax tenore, Tony Kofi al sax baritono, e Andrae Murchison al trombone).
Per se stesso, il leader ha invece ritagliato - come gli accade sovente - un ruolo apparentemente defilato, più da organizzatore di idee e di suoni, che da autentico protagonista. Pochi cenni, essenziali, per dirigere la band. Illuminanti accordi a sostegno delle tessiture. Interventi solistici ridotti al minimo, capaci però di condensare in poche note mezzo secolo di jazz (da Monk a Jarrett) e forse più.
Due ore piene di concerto, che sono volate.
Foto, di repertorio, di Mark Savage.
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