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Things We Like: Febbraio 2012

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Alberto Bazzurro

Freddo polare e ascolti - per lo più - domestici. Anche ben ripagati, visto che di dischi di peso questo primo scorcio di 2012 ce ne ha già regalati diversi.

Nel dettaglio:

OVER 70 - Li ha ormai passati (l'8 marzo sono 71: auguri), ma Franco D'Andrea non smette di stupirci (banale quanto sacrosanto). Il recente (doppio, quindi doppia goduria) Traditions and Clusters non fa che confermarcelo.

(L)OVER MAN - Molto amato da chi scrive (fin dalla prima ora), in Snakeoil, anomalo e bellissimo, Tim Berne ci offre una sua, abbastanza inedita, versione "da camera" (o quasi), magra e preziosa. Non poco del merito va ai clarinetti di Oscar Noriega, che apre squarci attraversati da profumi memori di Giuffre come di certo Stockhausen (Harlekin in primis).

NOWHERE MAN - Il vecchio Leo (Feigin), che sta dappertutto più che in nessun posto, se n'è uscito stavolta con la bellezza di otto CD tutti in un colpo, di cui almeno tre degni di nota. Due riguardano un sottovalutato cronico, Gebhard Ullmann, che rispolvera il molto amato (almeno da chi scrive) Clarinet Trio (4), brio e intelligenza da vendere, e Bassx3 (Transatlantic), atmosfere fonde e suggestioni assicurate. Piuttosto impressionante anche il multiflautistico e solitario La Rusna di Matthias Ziegler.

ANOTHER MEN - Sul fronte italico, altri uomini, sì, come quelli riuniti da Gianni Mimmo, sempre esemplare nel suo lavoro su sponda Amirani, nell'EAOrchestra (Arcari, Cosottini, Guerrini, ecc.) nello sfolgorante Likeidos, mentre torna in pista anche il più che degno Soreditch Trio con Guazzaloca e Marshall (Again, guarda un po').

Francesca Odilia Bellino

Ulises Conti - Iluminaciones [Metamusica - 2003]

Un flash-back di Buones Aires.

Posso ricordare un pomeriggio di primavera. Una camminata solitaria e lunga per le vie affollate del centro. Recoleta. Ad un qualsiasi semaforo. Uno in particolare, sul lato d'ombra.

Ci si ferma sempre per comprare musica in un viaggio. Un viaggio nel viaggio che continua negli anni. Come mai mi è capitato, quella volta sono stata completamente guidata nelle mie scelte da un commesso, bello e simpatico, dai gusti ben definiti, che ha preso in mano la mia curiosità, ha acceso il lettore CD, accompagnandomi in un breve, ulteriore, viaggio nel suo sud America. C'era di tutto: tango, nuovo tango, jazz, musica delle Ande, musica cilena, musica boliviana. Niente Brasile.

Le due ore di musica random, che accoglievano in fondo cinquant'anni di musiche e di creatività, sono trascorse lente, in tracce fatte ascoltare con saggezza. Tutta musica bellissima. Poi il commesso si è fermato e ha preso un CD nero con un polipo in copertina. "Questo è diverso".

Ulises Conti. Iluminaciones. Un viaggio nella fantascienza musicale argentina.

Bisognerebbe avere in mente gli scritti di Adolfo Bioy Casares per ascoltare la musica di questo compositore. Ma forse è già qualcosa di più. Ulises Conti è un artista, un poeta, uno scultore di suoni, osservatore di un paese, di un'epoca, di una storia drammatica quale è stata quella argentina, con il cannocchiale della fantasia.

En Auckland ya es manana.

Classe 1975. Piena dittatura. Ma in lui musica, arte, teatro, poesia, si fondono in un universo architettato nei minimi dettagli, con tratti lievi. Trae ispirazione da frammenti del quotidiano (come Los corazones metalicos), sprofonda in direzioni, dimensioni altre (come San Francisco) per tornare sulla Terra, con una delicatezza unica (come Nocturnos).

Una frontiera sottile, tra reale e finzione, storia di una nazione e storia privata, come nel disegno sonoro di El ano que naci. Senza violenza, con dramma e poesia. E leggera ironia.

Obbligatoria una visita allo zoo: http://ulisesconti.com.ar

Enrico Bettinello

L'ipnosi di Bola riscoperto da Awesome Tapes from Africa.

Mats Gustafsson e Paal Nilssen-Love che improvvisano in Etiopia con il krar "punk" di Mesele Asmamaw.

Il nuovo Chicago Underground Duo su etichetta Northern Spy.

Riascoltare Dudu Pukwana come medicina.

Jeri-Jeri con Mbene Diatta Seck nei giorni delle elezioni in Senegal.

Luca Canini

AUDIO. Meglio tardi che mai. Il disco è del 2010 ed è uscito per la misconosciuta Amish Records. Bird Show Band è il titolo ed è anche il nome del gruppo. Ben Vida e Jim Baker alle tastiere, Josh Abrams al contrabbasso, John Herndon e Dan Bitney alla batteria. Chicago all'ennesima potenza, tra post-rock, post-jazz e post-Sun Ra. Meravigliosa deriva.

AUDIO. Ristampe. C'entra poco col jazz. O forse no? Bah, comunque non perdetevela. Il triplo CD (a prezzo più che buono) lo pubblica la Temporary Residence e raccoglie tutto quanto pubblicato dai Bitch Magnet tra il 1988 e il 1990. Qui è il punk ad essere post.

AUDIO. Magari ne avete sentito parlare: se n'è andata Whitney Houston. Lacrime e retorica lasciamole da parte. Mi piace ricordarla con questa canzone, "Memories" che mi folgorò qualche anno fa, quando la ascoltai per la prima volta, e continua a incantarmi ora. Il brano è di Hugh Hopper, il gruppo, i Material, di Bill Laswell, il disco One Down. Al sax Archie Shepp. Anno 1982.

LIBRI. Si intitola Jade Visions: the Life and Music of Scott LaFaro ed è la corposa biografia del grande contrabbassista scritta dalla sorella Helene LaFaro-Fernandez. Una lettura che fa bene e aiuta ad andare oltre il mito.

VIDEO. Kiyohiko Senba & the Haniwa All-Stars dal vivo nel 1991. Una delle big-band più incredibili di sempre. Travolgenti. Attenzione al finale.

Maurizio Comandini

Gerry Gibbs Electric Thrasher Orchestra plays the music of Miles Davis [Whaling City Sound]

Gerry Gibbs, batterista e bandleader, è figlio del vibrafonista Terry Gibbs e ci regala uno dei tributi orchestrali più interessanti al Miles elettrico (e non solo). Il doppio CD è un po' difficile da trovare, ma ne vale la pena.

"22/11/1963" di Stephen King su iPad.

Stephen King ritorna agli antichi splendori con un libro che rimette in movimento dubbi, sogni, metafore. Riscrivere la storia è un esercizio complicato ma sempre stimolante, come già aveva dimostrato nel 1962 Philip Dick con il suo "The Man in the High Castle". Ca va sans dire che leggere il libro di Stephen King sull'iPad è una esperienza ancora più interessante.

Radio broadcast del concerto di Wadada Leo Smith's Organic a Vincennes per France Musique (14.02.2012).

Rispetto al doppio CD per la Cuneiform, Heart's Reflections, la formazione in tour è senza i due sax di Casey Anderson e Casey Butler e il suono è ancora più compatto ed elettrico. Seppure sfumata verso i sette minuti (e quindi probabilmente largamente incompleta) la versione del brano "Don Cherry's Electric Sonic Garden" è devastante.

Non guardare il Festival di Sanremo.

Una libertà che ogni appassionato di musica dovrebbe prendersi. Sempre. La presenza di Adriano Celentano, un cantante sedicente filosofo decisamente sopravvalutato, è un' ulteriore conferma della bontà della decisione di non guardare.

Libero Farnè

In febbraio mi hanno colpito tre ascolti radiofonici (ovviamente su Radio 3).

Lunedì 6: La sagra della primavera di Stravinskij, una composizione di importanza epocale e una delle mie folgorazioni giovanili.

L'orchestra della Scala era diretta da Daniel Harding. Un costante affanno, un'eccessiva sovreccitazione hanno portato a qualche approssimazione. Valery Gergiev è tutta un'altra cosa.

Martedì 7: la sola performance di James Blood Ulmer dall'ultimo festival di Sant'Anna Arresi.

Un bluesman dalla voce abrasiva come pietra pomice e dall'uso originalissimo della chitarra, ma il repertorio ha reso il concerto un po' troppo uniforme.

Giovedì 9: la Sinfonia n. 7 di Mahler.

Non ho memorizzato gli interpreti, ma la vitalità, l'euforico ottimismo, l'enfasi, la ricchezza tematica e dinamica mi hanno ricordato molto la musica di Berlioz.

Angelo Leonardi

Franco D'Andrea - Traditions and Clusters - El Gallo Rojo

Un magnifico doppio album con brani dai concerti di D'Andrea nel 2011: quello trentino del 14 marzo con D'Agaro, Ottolini e Bennink e poi col quartetto. Un brano in piano solo ripreso a Milano in giugno e l'inedito sestetto con i partner delle sue attuali formazioni dal Lagarina Jazz Festival di agosto.

Tim Berne - Snakeoil - ECM

Tim Berne torna con un disco introspettivo, avvincente per libertà e rigore. Con lui sono Oscar Noriega ai clarinetti, Matt Mitchell alle tastiere e Ches Smith alle percussioni. Berne conferma d'essere un compositore visionario e un sassofonista tra i più emozionanti della scena attuale

Vittorio Lo Conte

Ivo Perelman + Matthew Shipp, William Parker - Cama de terra [Homestead - 1996]

Capita a tutti di imbattersi in qualche vecchio disco di un artista di cui si seguono da anni le tracce discografiche e concertistiche. Magari una ristampa, o semplicemente una vecchia incisione che si ritrova fra le tante messe in un armadio o sull'hard-disk del portatile. Lo si ascolta, si fa il confronto con i suoi ultimi dischi.

Niente di nuovo. Se non che nel caso di Cama de terra, ritrovato fra i tanti di Ivo Perelman, ci torna in mente la Homestead, casa discografica di New York che ha avuto il merito di fare conoscere artisti poi assurti a notorietà internazionale come Nick Cave o i Sonic Youth e di avere dato una patria al noise rock. Venne fondata nel 1984 da Sam Berger a cui si sono poi susseguiti diversi direttori artistici fino a Steven Joerg, che ha abbattuto uno steccato importante presentando musicisti dediti al free jazz. Grazie a lui sono entrate in catalogo un paio di incisioni di David S. Ware e William Parker. Cama de terra di Ivo Perelman è stato il disco che ha concluso le pubblicazioni della label.

Siamo nel 1996, un periodo in cui il sassofonista brasiliano è già a New York e cambia formazioni per esprimere quello che per lui è l'esperienza di vita ed il free inteso come genere in cui si può esprimere di tutto, purchè si abbia qualcosa da dire. In questo trio, per la prima volta senza batteria, ma solo con il contrabbasso di William Parker ed il pianoforte di Matthew Shipp, la musica si fa più meditata e controllata rispetto ad altre situazioni, mantendendo un'intesità emozionale che si esprime per l'intera durata dell'album sia in forma di ballad come "Adriana," che in atmosfere più legate al free come "Spiral".

Poi si susseguono brani a geometria variabile e si esplorano i confini fisici degli strumenti. I sidemen sono subito pronti ad accettare le atmosfere dettate da Ivo, a volte in espressioni tipicamente avanguardistiche, altre volte, come nel caso della lunga title-track, con una palese forma jazzistica che mette in evidenza le radici monkiane e tayloriane di Shipp, cui viene dato abbastanza spazio insieme a Parker.

"The Dark of the Day" chiude il disco e l'avventura della casa discografica americana. Un titolo stranamente premonitore in cui gli accordi astratti di Shipp ed il suono screziato del sassofono descrivono un'atmosfera inquietante.

Poi le strade si sono separate: Steven Joerg ha fondato la AUM Fidelity dedita soltanto al jazz, mentre Ivo avrebbe da allora inciso per lo più per la Leo Records.

Neri Pollastri

L'assolo di John Lindberg e il crescendo collettivo finale nel concerto di Wadada Leo Smith a Metastasio Jazz [Prato - 13.02.2012].

Il sestetto di Franco D'Andrea nel secondo CD di Traditions and Clusters.

Il modo in cui Danilo Rea giocava con "Il nostro concerto" di Umberto Bindi nel suo piano solo di Montevarchi [19.2.2012].

Vincenzo Roggero

I dieci minuti e cinquantadue secondi di "Ballade" dall'album Frog Leg Logic del Marthy Ehrlich's Rites Quartet. Puro piacere fisico, mentale e spirituale. Il blues torrido del profondo sud che si alza come preghiera, la musica del diavolo che banchetta con armonie celestiali. Lo spirito di Julius Hemphill da lassù sorride benevolo e compiaciuto, e più di un brivido corre lungo la schiena.

Il concerto Jump the Shark al Circolo Quid di Brescia (26.02.2012). Piero Bittolo Bon & company offrono una musica densa, vigorosa, dalla straordinaria ricchezza espressiva. Musica tremendamente complessa che nelle mani del sassofonista e compositore veneto si trasforma in onda d'urto assolutamente godibile. Uno dei migliori gruppi italiani in circolazione.

Luigi Santosuosso

L'inesorabile e sontuosa bellezza della musica di Bill Frisell suonata per l'ennesimo stimolante progetto di Hal Willner, "Kaddish," prima mondiale oltre che concerto di apertura del Tune-In Music Festival dedicato ai 75 anni di Phillip Glass. Frisell, non alla chitarra ma alla conduzione di un dream team di suoi complici storici - Jenny Scheinmann, Eyvind Kang, Hank Roberts, Robin Holcomb, Doug Wieselman, Curtis Fowlkes e Kenny Wollesen -, incanta e riesce a far dimenticare la recitazione monocorde dello stesso Willner e quella un po' sopra le righe di Chloe Webb che interpretano "Kaddish" di Allen Ginsberg [Park Avenue Armory - New York - 23.02.2012]. Il che ci ha fatto tornare alla mente l'intrigante The Lion for Real [Mercury - 1990] collaborazione discografica tra Ginsberg, Frisell, Glass, Marc Ribot, Arto Lindsay, Mark Bingham, Todd Rundgren e tanti altri, incluso... Paul McCartney!

Un'altro spunto friselliano... L'ottima sinergia transatlantica di Time [Loveland Records - 2011], album del giovane chitarrista danese Jakob Bro, che per la seconda volta [dopo Balladeering sempre per la Loveland Records] chiama al suo fianco Frisell e Lee Konitz, con Thomas Morgan che completa l'originale line-up. Electro-cool nordico? Ottimo.

Continuando sull'asse delle collaborazioni scandinavo-statunitensi, colpisce il quarto capitolo della saga Overseas di Eivind Opsvik. Siamo solo a febbraio, ma l'ultimo disco del contrabbassista norvegese trapiantato da tempo a New York si candida già come uno dei dischi dell'anno. Il contributo decisivo di alcuni esponenti di punta della scena newyorchese - Tony Malaby, Brandon Seabrook, Jakob Sacks, Kenny Wollesen - dona alle belle composizioni di Opsvik quella stralunata ugly beauty che ci costringe a ripetere l'ascolto del CD in maniera quasi ossessiva.

E per chiudere, un'altra considerazione su New York... Ma quanto talento musicale scorre nelle budella della grande mela? Ogni giorno, per il solo costo di un biglietto di metropolitana si può godere un festival involontario che non fa rimpiangere l'altro festival che si svolge quotidianamente nei club e teatri 'ufficiali.' Sosia musicali di Gil Scott-Heron, giovanissimi che suonano Dixieland infuocato, corde vocali che rendono omaggio a Whitney Houston senza farla rimpiangere, irriducibili break-dancers, buskers, suonatrici di sega che mantengono blog quasi quotidiani, ma anche le tristi storie di sperimentatori ultrasettantenni e in pessima salute costretti a trascorrere gli ultimi anni della loro carriera suonando per passanti affrettati. È questa la vera scena 'underground.'

Giuseppe Segala

"Quando la musica decolla e quando no. È l'apporto di ogni elemento del gruppo che rende viva, pulsante l'attività del solista. E così il solista è in grado di far lievitare il gruppo, di trascinarlo".

Questa riflessione, tratta dal volume "Thinking in Jazz - The Infinite Art of Improvisation," di Paul F. Berliner, (The University of Chicago Press), mi è balzata in mente ascoltando l'ultimo lavoro di Franco D'Andrea, Traditions and Clusters. Quando il gruppo funziona, si stabilisce uno scambio continuo tra individualità e collettività. Questo insegna la musica, ma in particolare il jazz, dove il gruppo segue regole di spontaneità aperta a qualsiasi contributo, in stato di allerta nei confronti di ogni elemento, conscio o inconscio, voluto o occasionale, che può entrare nella musica di gruppo. Ascolto, esperienza, competenza, consapevolezza, apertura mentale, onestà. Tutto questo è il jazz. Bazzecole. O Bagatellen, come direbbe Webern.

Foto di Jos L. Knaepen (G. Ullmann), Roberto Cifarelli (J.B. Ulmer).

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