Julie Hardy: The Wish

Il repertorio è diviso più o meno a metà fra standard e originali scritti dalla stessa Hardy, con un approccio che tiene un piede nel mainstream cercando di posizionare l’altro nella contemporaneità. Tutto è molto calibrato, preciso, a volte sin troppo. Il timbro soave della voce di Julie in qualche caso diventa un limite e si avrebbe voglia di un po’ di fumo e catrame in più, in fondo alla gola.

Ben Monder, chitarrista con due anime, si mantiene dentro al tracciato e mostra il suo lato più legato alla tradizione, strizzando l’occhio a Johnny Smith e Joe Pass, senza mai innestare quel turbo che in altre occasioni lo ha proiettato in orbita con grande efficacia. Il pianista marca spesso in chiave rapsodica buona parte del repertorio, aggiungendo una ulteriore componente che guarda nella direzione della classicità. Tecnicamente l’album è decisamente riuscito, ma dal punto di vista dell’adrenalina e delle emozioni ci sarebbe piaciuta una maggiore propensione al rischio. Con una voce così ben impostata Julie Hardy potrebbe permetterselo senza alcun dubbio.

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