Taylor Ho Bynum: The Middle Picture

Altrettanto indubbiamente, se si dovesse assegnare la palma del fedelissimo per l’ultimo quinquennio, il premio andrebbe a Taylor Ho Bynum. Dal sestetto al quintetto (recentemente apprezzato nel concerto alla Royal Festival Hall di Londra), dal duo (documentato sul CD Duets (Wesleyan) 2002) al trio, senza dimenticare le formazioni allargate (ad esempio nella serie di performance raccolte nel quadruplo 4 Compositions (Ulrichsberg) 2005), il trombettista di Boston, manco a dirlo diplomatosi alla Wesleyan University, è diventato una presenza costante nelle produzioni firmate da Braxton.

Tuttavia, sarebbe un’ingiustizia ridurre il talentuoso Taylor al ruolo di spalla fissa. Come dimostrato dalla notevole esperienza dello SpiderMonkey Strings e del duo con il batterista Eric Rosenthal (sui CD And Only Life my Lush Lament e Cenote), il ragazzo (e non in senso affettivo, Bynum è nato nel ‘75) ha talento da vendere: sia come strumentista, e su questo già i dubbi erano stati dissipati da un pezzo, sia come fantasioso compositore e brillante arrangiatore.

Non sorprende, dunque, che The Middle Picture (griffato dalla Firehouse 12, figlia dell’omonimo locale di New Haven e neonata etichetta di Bynum) sia un lavoro solido e completo, decisamente convincente sotto il profilo della scrittura e assolutamente prezioso per quanto riguarda il contributo dei cinque compagni di viaggio scelti dal trombettista.

Nella variopinta congrega di ex-braxtoniani assoldati per l’occasione, spiccano le chitarre di Mary Halvorson e Evan O’Reilly (l’unico del sestetto a non aver lavorato con Braxton). Sono le sei corde dei due giovani talenti, infatti, a caratterizzare profondamente il suono complessivo del gruppo. Distorsioni, loop, riverberi siderali, furiose cavalcate, ruvide scorribande: l’arsenale a disposizione della coppia è quanto mai vario e dirompente. Fantasioso e mai scontato l’apporto della sezione ritmica formata da Jessica Pavone (alla viola e al basso elettrico) e dal batterista Tomas Fujiwara. Preziosa, infine, l’ampia tavolozza di colori approntata dai due fiati.

Più che mai azzeccata la scelta di includere nella scaletta due cover: “In a Silent Way” di Zawinul (un pasticcino neo-freak in cui le chitarre giocano ad evocare fantasmi kraut e bagliori psichedelici) e “Bluebird of Delhi” di Ellington (con Matt Bauder impegnato a mascherarsi da novello Ben Webster). Tra le composizioni originali, tutte di buon livello, si distinguono la cervellotica “Brooklyn with an E” (un gustoso esercizio in trio di spigolosità) e la suadente “mm(pf)” (con apertura delirante e finale cadenzato).

Bene così Taylor! Quattro stelle e via...

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