Un unico brano di poco meno di quaranta minuti di solo piano, nelle sue più varie accezioni (non suonato unicamente sugli ottantotto tasti, vogliamo dire, ma per esempio, generosamente, sulla cordiera), registrato dal vivo a Monaco di Baviera all'inizio del 2020, copre questo album del ginevrino Jacques Demierre, settant'anni proprio in questi giorni (4 gennaio 2024), nonché prossimo ai quaranta di attività discografica a proprio nome (piuttosto copiosa).
Vi prevalgono un'essenzialità, una cerebralità, sin troppo insistite, un incedere a tratti un po' estenuato (nel segno di una grammatica certamente non supina, anzi ardita, ma non sempre metabolizzata a dovere), pur rispettando in toto la libertà del performer di esprimersi secondo i tracciati e i criteri che ritiene a lui più congeniali, né senza ovviamente trascurare ciò che la dimensione live si porta appresso, per esempio una data gestualità, ciò che finisce fisiologicamente per spostare l'ago della bilancia.
A porsi come ascoltatore a posteriori, questo fin troppo generoso rimuginare attorno allo strumento ci convince tuttavia solo in parte, ediremmopiù a livello concettuale che nell'espressione tangibile che un dato postulato di partenza pratica via via. Tutto ciò naturalmente senza nulla togliere, lo ripetiamo, alle certo onestissime intenzioni e alla legittimità delle scelte operate dall'artista.
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Ecumenico ma (abbastanza) esclusivo, non sopporta la musica – e l’arte in generale – di routine, rassicurante e dozzinale, preferendo, se proprio deve, il brutto all’inutile. Un ideale spaccato dei suoi amori musicali (che non si limitano al jazz; e più o