Home » Articoli » Album Review » Sun Ra: Sun Ra Featuring Pharoah Sanders & Black Harold
Sun Ra: Sun Ra Featuring Pharoah Sanders & Black Harold
ByLa musica di Sun Ra era ancora sostanzialmente sconosciuta agli appassionati di jazz, sia pubblico che critica. Eccetto Sound of Joy del 1956 (Delmark) e The Futuristic Sounds of Sun Ra del 1961 (Savoy) l'Arkestra aveva inciso solo per la Saturn e la svolta espressiva verso il free fu nota solo dopo la pubblicazione dei due dischi ESP The Heliocentric Worlds of Sun Ra.
Questa registrazione precede dunque di quattro mesi quel lavoro in studio, col vantaggio di documentare uno dei suoi primi straordinari happening che lasciarono sbalorditi e affascinati sia il pubblico che Don Heckman e A.B. Spellman, i due autorevoli critici presenti. Peccato non avere le immagini (...well you had to be there..., scrisse quest'ultimo) ma la musica risplende comunque, anche grazie al lavoro dei tecnici ESP.
Iniziamo da Pharoah Sanders. Il sassofonista era a New York da poco tempo e faticava a trovare scritture, anche se aveva conosciuto Cherry, Ornette e Coltrane (che nel giugno 1965 lo prese con sé nel cast di Ascension). Sanders incontrò Sun Ra mentre lavorava temporaneamente come portiere in un locale dove s'esibiva l'orchestra. Alla sua offerta di entrare nella formazione Ra rispose con un diniego ma pochi mesi dopo (quando John Gilmore accettò una scrittura coi Jazz Messengers) fu accettato e lo possiamo ascoltare nello splendido "The World Shadow" (poi noto come "The Shadow World"), in "Rocket Number 9" e in "The Other World," una delle tracce aggiunte.
I suoi interventi mostrano un solista in via di maturazione anche se l'assolo del secondo tema è già significativo.
Il secondo nome che compare nel titolo, il flautista Black Harold (noto anche come Atu Harold Murray) è rimasto un musicista di secondo piano, anche se ha collaborato e inciso regolarmente nell'orbita dell'Ethnic Heritage Ensemble. La sua presenza è visibile in "The Voice of Pan" uno dei brani già inclusi nell'Lp, dove usa il flauto con la tecnica vocalizzante inventata da Sam Most e tipica di Roland Kirk. Ed ancora nei bucolici "Space Mates" e "The Now Tomorrow" dove l'influenza è piuttosto di Dolphy.
Parlando del disco nel suo complesso non possiamo che ribadire da un lato l'importanza storica di un documento che coglie l'Arkestra agli albori dell'estetica free e dall'altro valutare quanto aggiungono i cinque nuovi brani, collocati in apertura del percorso discografico. I più interessanti sono: "Discipline 9" che si snoda languidamente lungo forme d'astratto camerismo fino a delineare il dolce tema (una nenia, suonata e cantata in coro) e terminare con una coda liberamente improvvisata; "The Other World" lungo e furibondo collettivo free dove, oltre a quello di Sanders, troviamo un intenso intervento di Pat Patrick al baritono prima dell'estenuante assolo di batteria che copre ¾ del brano; ed infine il citato "The Now Tomorrow" suggestivo percorso cameristico, caratterizzato dall'austera presenza dei contrabbassi con archetto di Alan Silva e Ronnie Boykins.
Per quanto riguarda i brani facenti parte l'edizione originale segnaliamo ancora il frenetico "Rocket Number 9," il lento, astratto, "Dawn Over Israel," contraddetto da un tellurico assolo di Sun Ra al piano e "Gods on a Safari" con Alan Silva protagonista al contrabbasso.
< Previous
Helsinki Jazz Festival Moves to the I...
Next >
The Winding Shell