Franco D'Andrea Quartet: Sorapis

Laddove la dimensione live del precedente Half the Fun liberava una intrinseca esuberanza, una marcata libertà esecutiva e permetteva alla musica di formarsi e di scorrere prevalentemente sottoforma di suite, in Sorapis il pensiero di D'Andrea e del suo quartetto è organizzato in episodi più strutturati, dalle forme anche molto diverse, dalle storie fortemente connotate, veri e propri saggi di equilibrio tra scrittura e improvvisazione, tra rigore e creatività.

Lasciarsi coinvolgere completamente dalla musica di Sorapis è come cogliere la bellezza, i cambiamenti, le sorprese che la montagna regala nello scorrere di una giornata. Come i riverberi del sole sul granito, i giochi di ombre e di luce, gli spigoli e gli anfratti che si aprono all'improvviso, la quiete di un tramonto, i tumultuosi giochi d'aria e di acqua che solo gli acquazzoni estivi sono in grado di scatenare.

Dopo quindici anni di vita, il quartetto è un organismo che pensa, respira e produce all'unisono, lontano però da automatismi, ammiccamenti rodati, estetismi sorretti dalla routine, non infrequenti in formazioni così longeve. Anzi D'Andrea e i suoi compagni di viaggio procedono nella direzione opposta. La profonda conoscenza reciproca spinge verso la ricerca, la sperimentazione, rendendo le composizioni qualcosa di continuamente mutevole, uno spazio aperto dove esistono sì strutture solide e ben riconoscibili ma attorno e dentro le quali i quattro musicisti si muovono curiosi e imprevedibili.

Impossibile segnalare un brano piuttosto che un altro perché sarebbe come ammirare un panorama da una sola prospettiva. Ci piace allora ricordare "The Single Petal of a Rose" un Ellington d'annata messo lì quasi per caso ma geniale dimostrazione di come il quartetto sia in grado di rileggere un pezzo di storia rendendolo più vivo e attuale che mai ed in perfetta sintonia con l'intero lavoro.

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