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Pete Robbins Quartet: Pyramid
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Avevamo lasciato Pete Robbins come protagonista del notevole album con il Transatlantic Quartet (Live in Basel) ed eccolo di nuovo, nel frattempo impegnato in diversi progetti, con un quartetto newyorkese da sogno, composto da Vijay Iyer, Eivind Opsvik e Tyshawn Sorey. Pyramid è un album un po' particolare, che assembla materiale originale a riletture di classici pop, con un montaggio piuttosto leggero, che non lascia trapelare speciali disegni espressivi.
Si percepisce un'atmosfera rilassata e amicale, sorridente, legata forse agli anni di apprendistato, quando questi futuri piccoli maestri erano immersi in musiche diverse, magari affrontando seriosità matematiche o le derive di Morton Feldman (Iyer e Sorey) e nel contempo masticando soul o hit single del pop.
La raccolta scivola, come altre simili, nel sapore dolciastro delle canzoni rifatte in chiave jazz. Anche in questo caso cioè risalta la convinzione che rivestendo armonicamente e declinando ritmicamente una melodia in maniera un po' più sofisticata, i risultati siano interessanti.
Invece, come sappiamo, le note contano poco o nulla. Il pezzo di Leonard Cohen, via Jeff Buckley, oppure quello dei Nirvana, è toccante soltanto per l'unicità di un certo lirismo, oppure per l'intensità di una certa modulazione vocale. Non pare abbia molto senso appropriarsi delle singole note e tradurle in "jazz." Già Hancock in New Standards si era fatto subito dimenticare. Ora nemmeno queste versioni di Robbins danno alcuna ricchezza supplementare ai brani originali. Anzi sia "Hallelujah" che "Wichita Lineman" soffrono parecchio. Va molto meglio con "Too High" di Wonder, è chiaro che quando il "groove" è già cucinato a dovere gli improvvisatori giocano in casa.
Sempre notevoli e stimolanti invece i materiali di Robbins, ricchi di pattern ritmici immediati, o di temi intricati e di slittamenti metrici, in grado di valorizzare sia le linee solistiche virtuose del sax alto, sia il linguaggio magistrale di pianoforte, contrabbasso e batteria. "Equipoise" si avvicina alla davisiana "Milestones," "Vorp" sembra il pezzo migliore.
Si percepisce un'atmosfera rilassata e amicale, sorridente, legata forse agli anni di apprendistato, quando questi futuri piccoli maestri erano immersi in musiche diverse, magari affrontando seriosità matematiche o le derive di Morton Feldman (Iyer e Sorey) e nel contempo masticando soul o hit single del pop.
La raccolta scivola, come altre simili, nel sapore dolciastro delle canzoni rifatte in chiave jazz. Anche in questo caso cioè risalta la convinzione che rivestendo armonicamente e declinando ritmicamente una melodia in maniera un po' più sofisticata, i risultati siano interessanti.
Invece, come sappiamo, le note contano poco o nulla. Il pezzo di Leonard Cohen, via Jeff Buckley, oppure quello dei Nirvana, è toccante soltanto per l'unicità di un certo lirismo, oppure per l'intensità di una certa modulazione vocale. Non pare abbia molto senso appropriarsi delle singole note e tradurle in "jazz." Già Hancock in New Standards si era fatto subito dimenticare. Ora nemmeno queste versioni di Robbins danno alcuna ricchezza supplementare ai brani originali. Anzi sia "Hallelujah" che "Wichita Lineman" soffrono parecchio. Va molto meglio con "Too High" di Wonder, è chiaro che quando il "groove" è già cucinato a dovere gli improvvisatori giocano in casa.
Sempre notevoli e stimolanti invece i materiali di Robbins, ricchi di pattern ritmici immediati, o di temi intricati e di slittamenti metrici, in grado di valorizzare sia le linee solistiche virtuose del sax alto, sia il linguaggio magistrale di pianoforte, contrabbasso e batteria. "Equipoise" si avvicina alla davisiana "Milestones," "Vorp" sembra il pezzo migliore.
Track Listing
Personnel
Pete Robbins
saxophone, altoPete Robbins: alto saxophone, clarinet (1); Vijay Iyer: piano; Eivind Opsvik: bass; Tyshawn Sorey: drums.
Album information
Title: Pyramid | Year Released: 2014 | Record Label: Hate Laugh Music
Comments
About Pete Robbins
Instrument: Saxophone, alto
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