Tobias Meier, Marc Méan: Philippe & Paul

Le difficoltà iniziano dalla copertina: spacchettarla per trovarvi dentro l'oggetto è già impresa degna di miglior causa (per non parlare del reimpacchettamento...). Poi si capisce il meccanismo, e si va via un po' più sciolti. Intanto, però, si è messa mano (orecchio) al prodotto e le difficoltà si sono acuite.

La musica contenuta in questo CD dei due giovani svizzeri Tobias Meier e Marc Méan, in effetti, non possiede alcun parametro che transiti nei pressi dei concetti di scorrevolezza, accoglienza, coinvolgimento, pathos: vi regna invece l'antigrazioso più involuto, cerebrale, nebuloso, anaffettivo, claustrofobico (e chi più ne ha più ne metta) che si possa immaginare.

Per carità: alla base c'è una ricerca fortemente voluta, capillare (fin troppo...), ma ci sarebbe modo e modo di metterla in pratica. Qui anche solo il deambulare torvo, imbronciato, stentoreo, approssimativo (intenzionalmente, si ha motivo di credere) del sax alto fa venire l'orticaria, la voglia incontrollata di essere altrove.

Disco faticoso, qua e là anche fastidioso, che la scelta di campo iniziale non può comunque, da sola, riscattare ed emancipare, quindi. Si salvano alcuni frammenti, o brevi episodi, generalmente dove è Méan più di Meier a menare le danze. Eufemisticamente, si capisce, visto che qui il movimento, anche nel senso di sviluppo, evoluzione, appare bandito: ci si attorciglia e aggroviglia costantemente su se stessi, ci si morde la coda, si itera e reitera.

E alla fine si è pure costretti a rialloggiare il dischetto nella fatidica custodia...

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