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NovaraJazz 2023

NovaraJazz 2023

Courtesy Luciano Rossetti

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NovaraJazz 2023
Novara, varie sedi
1—11.06.2023

"Abbiamo ormai alle spalle vent'anni di passione con l'amico e socio Riccardo Cigolotti, accanto a tanti che hanno legato un pezzo della loro vita a questa piccola grande avventura. Il nostro punto di partenza è sempre stato lavorare su Novara e sulla sua comunità con progetti nuovi e poco presenti in Italia, convinti che un territorio possa trarre beneficio dagli stimoli culturali e da un forte marketing territoriale." Queste parole di Corrado Beldì, uno dei due direttori artistici di NovaraJazz, sintetizzano la filosofia e gli obiettivi fondamentali di questo festival giunto alla ventesima edizione senza smentire il suo forte carattere. Se nel primo fine settimana il programma è stato proiettato sul territorio provinciale mettendo in evidenza alcuni rilevanti aspetti paesaggistici, culturali e artistici, è indubbio che negli ultimi giorni, dall'8 al l'11 giugno, si sono esibiti i nomi internazionali di maggior calibro, dislocati di volta in volta nelle più opportune e prestigiose sedi del centro storico del capoluogo. In particolare, una scelta portante dell'edizione del ventennale ha funzionato da generatrice di altri appuntamenti: "Non potevamo che invitare la nuova versione della Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek—ricorda Beldì—musicista con cui abbiamo prodotto negli anni molti progetti non solo musicali." Alcuni membri dell'orchestra infatti si sono esibiti anche in solo-performance o hanno costituito il nucleo di base per gruppi più ridotti, per lo più inediti.

Reduce da una frattura all'omero che lo ha tenuto lontano dai palcoscenici per un paio di mesi, Pasquale Mirra al Museo Faraggiana ha inaugurato la lunga serie di solo performance, compenetrando in un flusso unico temi che hanno segnato la sua formazione—in questo concerto tre brani di Don Cherry affiancati a tre suoi original—e parti improvvisate di raccordo, di ricostruzione del discorso melodico. Una pratica, quella del solo, iniziata nel 2009 in occasione della morte della madre e poi evolutasi in atteggiamenti, forme e repertori sempre diversi, innescando atmosfere magiche e incantatorie, di grande potenza espressiva, la cui valenza rituale e spirituale attinge a varie fonti culturali o a motivazioni del tutto private e contingenti. La performance novarese ha messo però in evidenza alcune innovazioni sensibili rispetto al passato. Innanzi tutto un'esasperazione dei contrasti dinamici: a crescendo eccitanti, basati su note marcate da uno smagliante riverbero, hanno fatto riscontro improvvisi smorzamenti di volume fino ad accarezzare in un soffio la superficie del vibrafono. Le variazioni timbriche, come sempre dovute ai vari strumenti, materiali e accessori utilizzati, hanno donato una cangiante gamma sonora alla sua improvvisazione.

Al Palazzo Bellini si sono succedute altre due solo performance di altrettante componenti dell'orchestra di Mazurek. Nicole Mitchell, che purtroppo non ha potuto esibirsi in mattinata sotto la cupola di San Gaudenzio per un ritardo dovuto al volo aereo, ha concepito sette brani, ognuno dei quali caratterizzato da un tema, da un nucleo generatore di conseguenti sviluppi. In quattro di questi, in aggiunta al variato fraseggio del flauto ha inserito a tratti un leggero ed evocativo intervento vocale o uno scandito, limpido controcanto elettronico preregistrato. È prevalsa una narrazione volatile e distesa, moderatamente sperimentale, inerpicandosi di rado in sussulti vertiginosi o al contrario ritraendosi in frasi serene.

Non molto diversa l'impostazione improvvisativa di Angelica Sanchez che si è esibita subito dopo. La cinquantenne pianista di Phoenix ha affrontato un'unica improvvisazione senza soste organizzata in episodi concatenati, dimostrando un approccio più austero e meditativo, spingendosi a tratti verso territori più scabrosi, verso agglomerazioni free o problematici ripensamenti.

Entrambe le musiciste, volitive, di solida preparazione tecnica, con prestigiose collaborazioni alle spalle, sono espressione della più impegnata ed attuale ricerca americana degli ultimi decenni. Fra l'altro sono state insignite di due riconoscimenti particolari da parte degli organizzatori: alla Mitchell, da molti anni co-presidente della storica AACM di Chicago, è stata consegnata una delle due Chiavi d'Oro di NovaraJazz 2023, mentre la Sanchez ha ricevuto una targa per essere stata la musicista No. 2000 a calcare i palcoscenici del festival.

Altri tre improvvisatori, che non fanno parte della Exploding Star Orchestra, hanno sostenuto solo performance estremamente interessanti, diversissime fra loro. Alle prese con l'organo della chiesa di San Giovanni Decollato, Veryan Weston ha eseguito "The Sacred Geometry of Sound," una composizione appositamente scritta per il festival piemontese. Sotto le sue mani (...e i suoi piedi) si sono alternate audaci complessità armoniche e dinamiche, riverberi madreperlacei e cupe risonanze, contrastate contrapposizioni e fremiti puntillistici, inventando un percorso movimentato, ricco di sorprese, dagli esiti estremamente coinvolgenti. Sfrangiate onde di suono si sono inseguite come onde del mare, che assumono tonalità e sfumature sempre diverse sotto i raggi del sole e a seconda dell'intensità del vento; ricorrenze insistite ora placide e distese, ora d'incalzante determinazione, a tratti più minacciose, poi tumultuose e spumeggianti, fino ad acquetarsi nell'estinzione conclusiva.

Un'altra proposta insolita è stata ospitata alla Galleria Giannoni d'arte moderna, dove il contrabbassista danese Adam Pultz Melbye, azionando esclusivamente l'archetto, ha impostato una progressione di radicale coerenza. L'iniziale flebile accordo acuto ha via via preso spessore nel registro medio-grave dello strumento, fino a diventare una massa risonante e vibrante che ha pervaso lo spazio della sala. L'effetto era quello di un suono stratificato dall'uso del loop, invece era il risultato di un processo totalmente acustico. Ne è risultata un'intima meditazione sul contrabbasso, una concentratissima immersione zen, sempre tenuta sotto controllo nei suoi sviluppi minimali; nel complesso una musica compatta, allo stesso tempo concretamente fisica e di astrazione assoluta.

Nella chiesa del Carmine, Joe McPhee, a cui è stata assegnata la seconda Chiave d'Oro di quest'anno, ha iniziato la sua performance declamando una poesia inneggiante al potere della musica di Trane e Ayler, per poi passare al sax tenore lanciando drammatici sovracuti, armonici e note strozzate. Ben presto il suo eloquio pieno e rotondo ha enunciato temi semplici e distesi; poi di nuovo sonorità sforzate, vocalizzi, ancora passaggi di decantazione con le dita tamburellanti sulle chiavi, altri temi melodici di grande lirismo... Anche se amplificata dalla notevole risonanza della chiesa—una pianta a croce greca di media grandezza—è sembrata eccezionale la potenza del suo sound, come estremamente lucida la sua costruzione del fraseggio. L'ottantatreenne polistrumentista di Miami, più che mai attivo sulla scena internazionale, ha colpito per la sua invidiabile forma fisica e mentale e hanno impressionato la generosità, la motivazione, la voglia di improvvisare ancora una musica personale e innovativa.

McPhee è stato anche ospite del trio che Gabriele Mitelli ha costituito cooptando due favolosi improvvisatori inglesi: il contrabbassista John Edwards e il batterista Mark Sanders. Con questa formazione, ascoltata all'ombra delle mura del Castello Sforzesco Visconteo, si è entrati in un clima di matrice decisamente e classicamente free: Sanders e soprattutto Edwards hanno macinato con esasperata convinzione un sostegno frastagliato, tumultuoso, propulsivo, di greve concretezza sonora. Il tenore di McPhee in questo contesto ha esposto un linguaggio non estremo, ma ben tornito, con sortite d'impronta ayleriana. Mitelli, l'artefice di questo quartetto reduce da un primo incontro a Vienna, ha rappresentato il polo più innovativo, nel senso che il suo approccio, pur coerentemente free, sembrava costruito con una più fredda consapevolezza, inserendo fra l'altro un uso, ormai immancabile, dell'elettronica come sottofondo rumoristico, costante e un po' inquietante.

Ancora di libera improvvisazione free e di formazione paritaria si può parlare nel caso dell'inedito trio esibitosi in una sede della Soprintendenza e costituito dallo stesso Mitelli, da Ingebrigt Håker Flaten al contrabbasso e Mikel Patrick Avery alla batteria (ecco altri due membri ripescati dall'orchestra di Mazurek). La parabola della performance è stata guidata dall'ascolto reciproco, ma anche dal protagonismo ora dell'uno ora dell'altro, nonché da idee eccentriche atte a scardinare un ordine appena raggiunto. Si è cercato così di calibrare i crescendo, le soste in aree melodiche a volte dal tono quasi infantile, gli inasprimenti della greve componente acustica o le abrasive allucinazioni dell'elettronica manovrata da Mitelli, le reiterazioni ritmiche ossessive, la sofisticazione di una ricerca sperimentale, la regressione in acquisiti moduli rituali... In particolare, non si può fare a meno di rilevare come nell'alternare e compenetrare l'uso degli ottoni di piccola dimensione, della voce e dell'elettronica Mitelli dimostri sempre più di seguire il modello il maestro Rob.

Rob è stato appunto il protagonista di questa edizione, che lo ha presentato anche con due diversi trii. La pluriennale collaborazione fra il trombettista e Damon Locks approda ora a New Future City Radio, un CD che uscirà in luglio per la International Anthem. Nell'accogliente cornice del giardino di Palazzo Natta il duo si è trasformato in trio con l'aggiunta di Mauricio Takara alle percussioni varie. Per l'occasione è stata l'elettronica a farla da padrona, utilizzata da ognuno dei tre nelle sue più varie potenzialità per dare vita a un'improvvisazione fatta di tentativi, accenni, cambi di direzione prima di approdare a lunghe fasi dense di ritmi invadenti ma variatissimi, di voci urlate dal vivo da Mazurek o declamate da Locks, ma più spesso registrate e moltiplicate, di flussi elettronici ora fruscianti e stratificati ora martellanti, oltre ovviamente alle sortite perentorie da parte del trombettista. Una performance che è transitata da crude enunciazioni a visioni oniriche, da collettivi corrosivi e tonici a trame più sfilacciate.

Il Chicago/Sao Paolo Underground—Mazurek con Chad Taylor e Mauricio Takara—sembra sintetizzare nel modo più esplicito e riuscito il messaggio del trombettista, celebrando un incontro interculturale fra l'originaria avanguardia chicagoana e le espressioni ancestrali di una certa tradizione brasiliana. Nel vasto chiostro della Canonica del Duomo, l'ipnosi poliritmica fomentata dal poderoso drumming di Taylor e dal più esile ma pervadente contributo percussivo ed elettronico del brasiliano Takara ha lanciato i brucianti e visionari interventi della tromba e della cornetta di Mazurek, che come sempre ha esasperato l'espressività anche con sovreccitate esternazioni vocali e una massiccia dose di supporti tecnologici. L'apparizione novarese, protratta in un crescendo avvincente con il trombettista più che mai nelle vesti di un trascinante sciamano, non ha certo tradito le aspettative, come ha sancito l'ovazione del pubblico.

Tutti i concerti recensiti finora si sono svolti di mattina o di pomeriggio nelle raccolte sedi citate, in cui è stato favorito un rapporto ravvicinato fra interpreti e ascoltatori, immersi in un perfetto silenzio e nella massima concentrazione. Diversa la situazione visiva ed acustica dei concerti serali gratuiti all'interno del Broletto, luogo storicamente destinato all'incontro e allo scambio di esperienze e pertanto formicolante della vitalità di un pubblico eterogeneo, che ha necessariamente contribuito a creare un'ampia rumorosità di fondo. Qui il palcoscenico allestito su un lato della corte ha accolto le formazioni più numerose.

Attiva dal 1999 sotto la direzione del clarinettista e compositore Peter Vermeersch, la Flat Earth Society Orchestra, formazione belga di una quindicina di elementi per lo più non più giovanissimi, ha riproposto i suoi collaudati schemi, che a ben vedere l'avvicinano agli umori di altre band olandesi. Un procedere collettivo scanzonato e disinvolto, che si è agglomerato in temi all'unisono, in crescendo improvvisi e diradamenti di tensione, in movenze esplicitamente swinganti, in gag musical-circensi a volte protratte al libitum, ha incastonato i brevi assoli di ogni membro. Nel complesso la proposta è sembrata un po' datata, basandosi su una routine incapace di riservare sussulti sorprendenti: la verve e l'ironia di un tempo sembrano ora essersi tramutate in accademia.

La nutrita edizione del ventennale ha presentato molte iniziative che sarebbe giusto approfondire, a cominciare dalla mostra fotografica monografica di Luciano Rossetti. Per quanto riguarda le altre proposte concertistiche, meritano un accenno gli appuntamenti di sostegno ad alcuni progetti attuali e trasversali da parte di WeStart, Centro di Produzione Musica Piemonte Orientale, unico nel Nord Italia riconosciuto dal Ministero della Cultura ed anche il concerto del Bantu Continua Uhuru Consciousness, uno scatenato settetto di voci e percussioni proveniente da Soweto che al Broletto ha concluso il festival in modo festoso.

È il caso di soffermarsi invece sull'evento clou del festival: il concerto della Rob Mazurek Exploding Star Orchestra, che ha eseguito una suite concatenata in vari episodi. Dopo un incipit dell'ensemble prudente e disarticolato, il vibrafono di Pasquale Mirra ha introdotto movenze più cadenzate che hanno avviato il lavoro integrato e costante dei due batteristi, Chad Taylor e Mikel Patrick Avery, e del contrabbasso pulsante di Ingebrigt Håker Flaten. A questi si sono poi aggiunte le essenziali parti solistiche, finalizzate ad uno sviluppo del tema di base: nell'ordine il leader, Nicole Mitchell al flauto e Angelica Sanchez al piano. Anche i contributi alle percussioni e all'elettronica da parte di Takara e le declamazioni verbali e i flussi elettronici di Damon Locks, nonché le sue spigolose movenze di danza, hanno avuto un senso ben preciso, non solo una funzione riempitiva. La suite, unitaria, vibrante, in parte imprevedibile, ha calibrato vari gradi di energia, organizzando temi dalla marcata caratterizzazione melodico-ritmica e sortite solistiche dai sapori decisi. A parte l'autorevole leadership di Mazurek, non sarebbe giusto fare graduatorie fra i componenti dell'orchestra, tutti motivati e indispensabili. Eppure, come non citare la fondamentale funzione motoria sostenuta dalla sezione ritmica, gli immaginifici arabeschi esotizzanti della flautista, le scorribande risolute e sfavillanti di Mirra? In questa musica, frenesie metropolitane e umori etnici, passato e futuro, una diffusa spiritualità e certezze tecnologiche si sono unite in un canto collettivo di speranza verso una società civile e multiculturale.

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