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Not(t)e al Muse - Fra jazz e scienza

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Paolo Fresu e Gianluca Petrella duo
Museo delle Scienze
Trento
10.12.2014

Non è la prima volta che Scienza e Musica si incontrano: già Pitagora, nel sesto secolo prima di Cristo, aveva studiato le assonanze nell'universo, l'armonia che produce vibrazioni e dunque musica. E Johannes Kepler, nel '600, parlando del moto planetario nel suo testo L'armonia del mondo, parlava di "un suono più grandioso mentre ascendo attraverso la scala armonica dei moti celesti a cose più elevate" e aggiungeva: "Seguitemi, musicisti moderni, e attribuite ciò alle vostre arti."

L'incontro al Muse, il Museo delle Scienze di Trento, ha ribadito che pure oggi, momento in cui la fisica percorre (ormai da un centinaio di anni) strade ardite quanto mai prima, le osservazioni degli scienziati continuano a fare i conti con (e a fare conto su) i suoni prodotti dai fenomeni studiati. Not(t)e al Muse, programmato lo scorso 10 dicembre, è stato un incontro a forte vocazione divulgativa, che metteva in scena Paolo Fresu e Gianluca Petrella, senza dubbio due personaggi scelti per attirare un vasto pubblico, e lo scienziato Eugenio Coccia dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. La narrazione di Coccia, precisa e comprensibile anche per chi (come noi) mastica poco la fisica degli ultimi cento anni, pur essendone attratto e affascinato, era alternata agli interventi musicali del duo.

I tre piani con le balconate che si affacciano sulla corte dove campeggia l'enorme scheletro di una balena, circondata dalle ricostruzioni di rettili triassici, erano dunque stipati di pubblico: chi attratto dalla scienza, chi dai musicisti, chi incuriosito da questo incontro singolare, ma poi non così strano. A ognuno era stata consegnata una cuffia, che mandava bagliori azzurrini, con la quale ascoltare i suoni e la voce del relatore. La prima sorpresa, dopo l'introduzione di Coccia che entra subito in medias res parlando di teoria della relatività e di meccanica quantistica, è nell'abbigliamento dei due musicisti, che si presentano in candida tuta spaziale e si chiamano con gli strumenti da diversi livelli della struttura, confusi tra il pubblico.

Un poderoso glissando del trombone fa capire che i due musicisti intendono accogliere la sfida con grande serietà, con sagacia e pure un pizzico di ironia. Numerose sono le alternanze che lo scienziato e i musicisti mettono in scena, e gli episodi approntati (e improvvisati) da Fresu e Petrella non mancano di varietà: dai fraseggi serrati e dialogici che si dipanano ed echeggiano in luoghi diversi o nella piccola postazione a piano terra dove hanno collocato laptop, tastiere e pedaliere, ai momenti elettronici, a qualche squarcio di lirismo (come il tema di "Nature Boy," sottoposto con delizia da Fresu a smontaggio e rimontaggi). Fino al momento conclusivo, in cui i due si innestano su una base registrata di carattere tribale, con tamburi profondi e martellanti, sovra alla quale gli ottoni evocano a tratti le poderose melodie di Chris McGregor e dei suoi mitici Blue Notes. Come a dire, lavoriamo su spazio e tempo anche noi. E su un'altra dimensione, che ha a che fare con le emozioni. E le suggestive novelle frontiere della fisica, che naturalmente il sottoscritto non si avventura a riassumere, sono sempre accompagnate da una musica.

Foto
Vigilio Forelli

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