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Mina Agossi
ByPuò capitare che una batteria percossa solo con le mani canti come un orchestra, sia melodiosa come un flauto, sia travolgente come il più ispirato batterista rock. Può capitare che un contrabbasso suoni come una chitarra flamenca, o come un basso elettrico o ricordi la viola inquietante di John Cale. Può capitare che una stella del canto francese, fortemente voluta da Archie Shepp nel suo quartetto, colpita da un'improvvisa faringite prima del concerto, canti per quasi due ore, recuperando risorse chissà dove, ipnotizzando il pubblico accorso in un accogliente auditorium della periferia di Cremona.
Può capitare questo e molto altro se ad esibirsi sono Mina Agossi e i suoi fidi Eric Jacot al contrabbasso e Ichiro Onoe alla batteria.
La formula del trio con basso e batteria è per una vocalist tanto affascinante (tutta quella libertà!), quanto spietata perché ti mette a nudo, ti toglie il sostegno, la rete di salvataggio assicurata da uno strumento armonico o da un fiato come contraltare. Ma Mina Agossi sembra perfettamente a proprio agio in un tale contesto e ne sfrutta appieno le potenzialità. A Mina non interessano i clamorosi salti di registro, le ottave impossibili, i giochi di prestigio delle corde vocali, perché intende la voce come un fedele messaggero di emozioni, un prezioso grimaldello per scardinare la semantica di parole e frasi, sussurrate, sillabate, declamate, urlate.
La passione per la danza trasuda dai suoi movimenti sul palco, dall'interagire anche fisico con i suoi partner, da una gestualità mai eccessiva e assolutamente funzionale al momento interpretativo. La voce, dal registro grave, dalla tessitura sgranata, sa essere inaspettatamente vellutata, sensuale intima, assume come un novello Zelig, sembianze le più diverse. Ti si appiccica addosso, ti riveste come una seconda pelle, con una carnalità mai volgare, arrivando al senso più profondo di un verso, suggerendo il lato velatamente ironico di una frase, facendo esplodere in mille frammenti i significati più convenzionali.
Agossi possiede un senso innato dell'improvvisazione, intesa soprattutto come capacità di interagire con l'ambiente, di saper cogliere gli stimoli provenienti dalle fonti sonore più disparate, per cambiare improvvisamente e decisamente la direzione della propria musica.
Inutile quindi parlare di generi e di stili nelle sue performance, perché tutto viene miscelato attraverso un approccio unico, nel quale sono banditi cliché e stucchevoli deja vu. Una strepitosa versione sensuale, avvolgente, a tratti orgiastica dell'hendrixiana "Third Stone from the Sun," resta la vetta assoluta di un concerto che ha dispensato momenti di grande intimità e dolcezza, così come di sincera, giocosa e generosa complicità con il pubblico.
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